Mecenati e pittori colti in flagrante (dettagli)
Titolo: Mecenati e pittori colti in flagrante
Descrizione:
Stralcio dalla premessa redatta da Enrico Castelnuovo per l’edizione italiana di: Martin Wackernagel, Il mondo degli artisti nel Rinascimento fiorentino. Committenti, botteghe e mercato dell’arte, Roma, NIS, 1994.
Una copia dell’opera è presente nel fondo librario dell’autore, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: Il Sole 24 Ore, anno 130, n. 275, p. 33
Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2024)
Data: 1994-10-09
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Sole 24 Ore» (Archivio storico dell'Università di Torino)
Formato: application/pdf
Identificatore: Sole_12
Testo:
«Il Sole 24 Ore» – Domenica 9 ottobre 1994, n. 275, p. 33
ARTE CONCRETA
Lo studio di Martin Wackernagel sugli ateliers rinascimentali fiorentini
Mecenati e pittori colti in flagrante
Uscito per la prima volta nel 1938 e dedicato al lavoro dei maestri, alle loro tecniche e ai rapporti coi committenti, questo libro rappresentò una vera novità di metodo, in quanto apparve solitario in anni dominati dall’idealismo, dall’attribuzionismo e dalle prime esplorazioni iconografiche
Tra pochi giorni sarà in libreria il volume di Martin Wackernagel «Il mondo degli artisti nel Rinascimento fiorentino» (Nis, Roma 1994, pagg. 452, L. 48.000). L’importanza di questo libro e la sua impressionante modernità rispetto ai tempi in cui venne pubblicato per la prima volta (1938) è bene sottolineata nell’articolata introduzione al testo curata da Enrico Castelnuovo, nella quale, tra l’altro, si tratteggia la figura dello storico svizzero e si descrivono le sue personali convinzioni e il panorama dell’ambiente culturale nel quale si trovò a operare. Da questa introduzione abbiamo tratto i passi che qui presentiamo, nell’intento di illustrare al lettore quale fosse l’originalità del taglio con cui l’autore affrontò lo studio delle botteghe e della committenza fiorentine del Rinascimento.
di Enrico Castelnuovo
Nel 1938 l’editore Seeman di Lipsia pubblicava un denso volume di Martin Wackernagel, uno studioso svizzero che insegnava storia dell’arte all’Università di Munster in Westfalia. Il titolo ne era Der Lebensraum des Kunstlers in den florentinischen Renaissance. Lebensraum. Questo libro con il titolo Il mondo degli artisti nel Rinascimento fiorentino, viene ora presentato al pubblico italiano.
Oltre mezzo secolo è passato dalla sua prima pubblicazione, ma esso resta un libro attuale, una pietra miliare, un esempio di una storia dell’arte volta innanzitutto a mettere in luce i nessi tra produzione artistica e società, e la traduzione inglese apparsa nel 1982, accompagnata da una introduzione e da una curata bibliografia aggiuntiva attraverso la quale si può seguire come siano state frequentate molte rotte aperte da Martin Wackernagel, testimonia come esso appaia in una luce addirittura leggendaria e quale ruolo seminale esso abbia avuto. Eppure quando venne pubblicato dovette sembrare in contrasto con le tendenze allora prevalenti, lontano dalla «storia dell’arte senza nomi» di Wölfflin, dalle monografie interpretative di segno idealistico, dalla sempre maggiore complessità della connoisseurship e dell’attribuzionismo, come anche dalle prime esplorazioni iconologiche.
Martin Wackernagel intendeva costruire una storia i cui attori non fossero solo gli artisti ma, accanto ad essi, i committenti, le istituzioni (il sottotitolo del suo libro suona appunto Commissioni e committenti, botteghe e mercato dell’arte); voleva restituire il tessuto sociale entro cui le opere erano state create, inserirle di nuovo nel loro contesto, nel loro spazio, nel loro mondo, appunto. Per far questo occorreva abbandonare un certo principio di gerarchia, spaziare su un orizzonte molto largo, uscire dalla contemplazione dell’unicità per ricostruire serie e tipologie, spezzare l’isolamento conseguente alla musealizzazione, fare storia, appunto, dell’intero mondo artistico.
I propositi venivano dichiarati già in apertura: «Dobbiamo cercare di ricostruire, per quanto è possibile, l’intera vegetazione artistica sviluppatasi in suolo fiorentino, dobbiamo procedere con l’interesse universale, puro e oggettivo, del botanico, il quale trova degni di osservazione non solo i fiori e i frutti profumati, ma l’intera struttura dell’albero, i ciuffi d’erbe e perfino le erbacce». [...]
Per la sua analisi della situazione artistica di Firenze nel Quattrocento Martin Wackernagel disponeva di un materiale straripante che generazioni di storici, di eruditi, di archivisti avevano pubblicato tra Ottocento e Novecento: «La scelta dell’area di ricerca – scriverà nella prefazione – è stata determinata dal fatto che non esiste un altro importante contesto culturale del passato che sia così documentato dalle opere d’arte conservatesi, dai documenti e da altri tipi di notizie come il periodo del Rinascimento fiorentino. Per quanto riguarda Firenze sono stati pubblicati, anche se in modo frammentario e in luoghi talvolta inaccessibili, tanti documenti e altre fonti letterarie che è possibile avere una base sufficiente per la descrizione delle pratiche artistiche e delle condizioni di vita anche senza rincorrere ad altro materiale inedito di archivio».
Occorreva censire quanto risultava dai contratti, dai carteggi, dalle ricordanze, dai diari, dagli inventari, dai libri di conti delle grandi imprese e ancora dai testi teorici e dalla novellistica. Si trattava poi di mettere questi testi in rapporto con le opere ancora esistenti, ma per lo più allontanate dal loro contesto di origine. Tutto doveva essere selezionato, ordinato, disposto secondo griglie che occorrerà inventare. Nessuno fino ad allora aveva tentato di trattare in modo globale e unitario la tipologia delle opere e quella dei committenti, le forme del collezionismo, i modi di funzionamento delle botteghe e del mercato artistico, l’educazione degli artisti, il loro status sociale, i loro comportamenti, la loro coscienza di appartenere a un gruppo. [...]
Tutto il vasto cosmo di nomi, di dati, di informazioni venne ripartito in alcune grandi sezioni: in primo luogo le commissioni artistiche, la loro varietà, le loro tipologie, i campi e i generi in cui si esercitavano, dalle grandi imprese collettive, (per esempio i cantieri del Duomo e di Palazzo Vecchio, cui soprintendevano le massime corporazioni e il Comune), agli interventi e alle richieste singole che riguardano scultura e pittura nelle loro varie tecniche, nei loro prodotti, nelle loro varie destinazioni, fino alle feste pubbliche e alla partecipazione che ad esse prestavano gli artisti. In primo luogo quindi le opere e i monumenti su cui si appuntavano le commissioni, in secondo luogo i committenti alti e bassi, pubblici e privati nonché le forme e le strutture della committenza nella loro diversità e nel loro mutare nel corso del secolo, dai decenni repubblicani al momento dell’egemonia medicea. Infine, terzo punto, gli artisti, il funzionamento delle loro botteghe, l’origine sociale, i modi del loro reclutamento, dell’apprendistato, la loro coscienza di far parte di un gruppo, la struttura del mercato artistico, la formazione dei prezzi, i modi e i tipi del pagamento. [...]
Wackernangel intendeva prendere in esame «la composizione della classe dei committenti nei suoi vari livelli e categorie», nel modo di pensare come nei comportamenti, «anche gli interessi particolari, le motivazioni, i bisogni, le tendenze del sentimento e del gusto delle diverse cerchie, il loro atteggiamento verso gli artisti e tutti i fattori relativi», in una trattazione vasta e piena di distinzioni in cui emergono i contrasti e le varie preferenze espresse da individui appartenenti a gruppi diversi per capacità economica e per cultura.
In questa lettura del mecenatismo condotta in modo non indifferenziato ma variabile secondo i gruppi sociali che lo praticano potremmo trovare annunciate certe posizioni di Antal, laddove per esempio si indicano le diverse preferenze dei committenti a seconda della loro estrazione sociale e si parla del «classico fondo dorato di molti dipinti di Neri di Bicci e dei suoi colleghi» come di un’«espressione delle tendenze tradizionaliste del gusto degli acquirenti piccolo borghesi». Oppure quando si osserva come, a partire dalla metà del Quattrocento, aumentino le commissioni per opere d’arte destinate a dimore private e di converso si creino differenti circuiti di diffusione, uno più vasto per le opere esposte al pubblico, l’altro, infinitamente più ristretto, per quelle destinate alla fruizione privata. [...]
Accanto ai committenti e con questi in stretto contatto al punto da creare un reciproco condizionamento sono gli artisti. Anch’essi sono studiati globalmente come categoria, come gruppo, valutandone l’entità numerica, prendendone in considerazione l’organizzazione, le botteghe, il mercato, la condizione economica, lo status sociale, il temperamento, il comportamento, le immagini che la società se ne faceva. Una ricerca per molti versi nuovi che tocca tutta una serie di punti inesplorati dalla letteratura precedente, e che solo parzialmente in seguito saranno ripresi. [...]
Chi infatti per comprendere la situazione del Quattrocento fiorentino si era occupato fino ad allora del numero e dell’origine sociale degli artisti, del loro reclutamento, dell’apprendistato, dei compensi, della loro psicologia, dei loro comportamenti? Questo approccio globale testimonia della dichiarata volontà di degerarchizzare il terreno, non arrestandosi solo sulle opere maggiori, sugli artisti più noti, sulle tecniche più prestigiose, ma indagando in ogni direzione, facendo luce su episodi, nomi, temi e generi nascosti, considerati poco interessanti e relegati un poco ai margini: non solo i dipinti monumentali, i grandi cicli di affreschi e le celebri pale d’altare, ma le bandiere, i costumi, i pannelli dipinti integrati nel mobilio, nei cassoni, nelle spalliere.
Occorre tener poi conto di un altro fenomeno, apparentemente diverso, ma in realtà complementare a quello della gerarchizzazione. Esso discende dall’abitudine, particolarmente forte negli anni in cui Wackernagel scriveva e largamente promossa e diffusa dalla cultura puro-visibilista, di considerare ogni dipinto come se fosse un quadro da cavalletto, anche quando si trattasse di un affresco staccato o di una tavola sradicata dal complesso di cui faceva parte.
Sulle asettiche pareti del museo ogni opera vive nel suo isolamento, ma è legata alle altre dalla comune appartenenza al dominio della pittura. Un pannello dipinto che avrebbe potuto suscitare scarso interesse nello spettatore quando fosse ancora integrato nel cassone di cui faceva parte, diventerà oggetto di maggiore attenzione quando sia presentato isolato, frammentario, come un autonomo morceau de peinture. Un frammento di predella, uno sportello di polittico segati via dai complessi cui appartenevano sono presentati accanto alla pala destinata all’altare di una chiesa, al tondo di soggetto religioso o al ritratto nati per l’interno di una dimora borghese, al desco da parto dipinto.
Ciò comporta delle modificazioni importantissime nel modo di percepire, di fruire queste opere, modificazioni che certo possono aumentare l’attenzione, l’apprezzamento per il singolo oggetto, ma a scapito della comprensione dell’insieme di cui facevano parte, e che impediscono di valutare le diverse funzioni, i diversi modi della pittura.
Il leit-motiv di Wackernagel, il ripetuto ammonimento a tener conto delle variazioni subite dall’opera rispetto alle originali condizioni in cui esse dovevano essere percepite, a non immaginare le opere come se fossero nate per essere esposte nelle sale di un museo prende di qui il suo valore e il suo significato.
«Quasi tutte le pale d’altare importanti provenienti dalle chiese fiorentine si sono conservate unicamente nei musei: questo fatto ha così profondamente influenzato il nostro modo di vedere e la nostra coscienza che dobbiamo quasi farci violenza per ricordare quanto poco questa collocazione corrisponda alla destinazione originaria dell’opera, destinazione che aveva per molti versi determinato la sua forma». Ciò viene scritto in anni in cui una certa concezione del museo raggiunge il suo apice, in cui nel museo si scorge lo strumento privilegiato per accedere, senza sforzo, alle grandi espressioni artistiche di tutti i luoghi e di tutti i tempi.
Maso Finiguerra, «Giovane seduto intento a disegnare», Firenze, Gabinetto degli Uffizi. Sotto il titolo, Gherardo di Giovanni, «Pittore nello studio», miniatura di un codice pliniano conservato nella Biblioteca Bodleriana di Oxford
NOMI CITATI
- Antal, Frederick
- Comune di Firenze
- EA Seemann
- Finiguerra, Maso
- Gherardo di Giovanni di Miniato
- Neri di Bicci
- Nuova Italia Scientifica
- Wackernagel, Martin
- Wölfflin, Heinrich
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Firenze
o Duomo [Cattedrale di Santa Maria del Fiore]
o Galleria degli Uffizi [Gallerie degli Uffizi]
Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
o Palazzo Vecchio
- Lipsia [Germania]
- Münster [Germania]
o Università di Münster
- Oxford [Regno Unito]
o Università di Oxford, Bodleian Libraries
Collezione: Il Sole 24 Ore
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Mecenati e pittori colti in flagrante,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/107.