Sopravvissuta a iconoclastia e a calamità (dettagli)
Titolo: Sopravvissuta a iconoclastia e a calamità
Descrizione: Castelnuovo propone obiettivi e metodologie per tracciare una storia dell’arte ebraica: l’intervento è tratto dalla relazione inaugurale tenuta al Festival di cultura ebraica (Venezia, 19-26 novembre 1995), intitolata Presenza ebraica nel campo artistico: qualche osservazione e molti problemi.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: Il Sole 24 Ore, anno 131, n. 317, p. 34
Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2024)
Data: 1995-11-26
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Relazione:
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Identificatore: Sole_23
Testo:
«Il Sole 24 Ore» – Domenica 26 novembre 1995, n. 317, p. 34
LE IMMAGINI DI UNA CIVILTÀ
Chiude oggi a Venezia la rassegna di cultura ebraica
Sopravvissuta a iconoclastia e a calamità
L’arte giudaica è un continente tuttora in gran parte inesplorato caratterizzato da interdizioni e disseminazioni, ma anche da apporti multiculturali e committenze a pittori non ebrei
L’intervento che pubblichiamo qui sotto è tratto dalla relazione inaugurale «Presenza ebraica nel capo artistico: qualche osservazione e molti problemi», tenuta da Enrico Castelnuovo alla rassegna di cultura ebraica a Venezia.
di Enrico Castelnuovo
«I Rabbi del tempo antico dicevano che vi erano centinaia di modi per accostarsi allo studio del Talmud. Lo stesso vale per lo studio dell’arte ebraica», scriveva Cecil Roth. Le grandi esposizioni, i libri, i corpus, i facsimili di manoscritti, le riviste dedicate all’arte ebraica (Jewish Art è giunto al suo ventesimo volume) si sono moltiplicate negli ultimi decenni, ma sarebbe poco concludente costruire una storia dell’arte ebraica – includendovi le opere prodotte per l’uso e la funzione di comunità ebraiche anche se eseguite da artisti non ebrei – entrandovi per una sola porta e costruendo un percorso unitario, dal tempio di Salomone alle vetrate di Chagall, nei termini in cui sono state scritte le storie dell’arte nazionali.
La distruzione dei monumenti, a partire appunto da quella del tempio, il cui aspetto e i cui arredi suscitarono per secoli una straordinaria suggestione proponendosi nei modi più diversi come modelli, la disseminazione del popolo ebraico, le sue odissee, le ripetute cacciate, gli spostamenti, le interdizioni di praticare determinati mestieri, tecniche e professioni, (ma esistono nel Tre e nel Quattrocento nomi di artefici, carpentieri e architetti ebrei tra Germania, Spagna, Portogallo, Italia e Polonia), le persecuzioni fino alla tragedia della Shoah, rendono questa storia tragica e accidentata. Si aggiunga che il forte e ricorrente aniconismo ebraico, le limitazioni alla produzione e all’uso delle immagini, l’avversione alle rappresentazioni umane, il tabù che interdiceva ogni naturalistica rappresentazione dell’immagine di Dio, complicavano ulteriormente la vicenda. Eppure le presenze ebraiche nel campo artistico sono state numerose e significative e solo si tratterà di adoprare dei modi di approccio che tengano conto della loro portata e del loro senso.
L’Antico Testamento ricorda nomi di artefici ebrei, Bezaleel e Ooliab «dotati dal Signore di abilità e intelligenza» che per Mosè lavorarono all’arca, o di immigrati fenici, come Hiram «artefice di lavori in bronzo di grande capacità e pieno di talento», che Salomone fece venire da Tiro per decorare il tempio e queste precoci evocazioni di nomi sono estremamente significative come significativi sono gli affreschi con storie bibliche della sinagoga di Dura Europos (III secolo) tanto rivelatori per la nascita della pittura cristiana, i mosaici pavimentali della più tarda sinagoga di Beth Alpha (VI secolo) o la imponentissima migrazione e disseminazione di simboli ebraici studiata da E.R. Goodenough. E tuttavia non saranno questi gli inizi di una storia unitaria: per identificare le presenze ebraiche e il loro ruolo nella storia dell’arte occorre prendere in considerazione l’intero campo, affrontare il comportamento delle culture ebraiche nei confronti della produzione artistica come anche dell’iconoclastia, studiare l’immagine, a partire da un certo momento caricata e connotata negativamente, dell’ebreo nell’arte occidentale e nella società bizantina multiculturale e multietnica dove essa non conobbe le deformazioni care agli occidentali. Indagare sulle vicende non solo degli artisti, ma dei committenti e dei pubblici nei tempi antichi e in quelli della diaspora, in quelli della segregazione e in quelli dell’emancipazione e dell’assimilazione fino a quelli della persecuzione e dello sterminio, e, dopo l’emancipazione, seguire i collezionisti, i critici, i mercanti, gli storici e gli editori d’arte ebrei, in altre parole indagare su tutti gli agenti del campo artistico.
Alle immagini fu affidato un ruolo importante nello scatenare i sentimenti antisemiti spesso pilotati dai frati. Gli ebrei vennero accusati di iconoclastia blasfema, di distruzioni, di danneggiamenti di immagini sacre, di icone – i Miracles de la vierge di Gauthier de Coincy sono pieni di questi episodi – e di crocifissi e sappiamo come da un autentico caso di iconoclastia ebraica – praticato dal mercante Norsa a Mantova pur con tutti i crismi della legalità giuridica ed ecclesiastica – nacquero sommosse popolari e trasse origine la Madonna della Vittoria di Mantegna. Ben altra portata ebbe l’iconoclastia cristiana di cui testimonia l’epigrafe sull’incisione dell’interno della antica sinagoga di Ratisbona: Anno Domini MDXIX iudaica ratispona Synagoga iusto Dei iudicio funditus est eversa. Autore della stampa era stato Albrecht Altdorfer, membro proprio di quel consiglio cittadino che nel 1519 emise il decreto di espulsione degli ebrei e di distruzione della loro sinagoga. Generalmente le sinagoghe erano state costruite – proprio a causa delle interdizioni – da architetti non ebrei, tuttavia una situazione particolare si presentò nelle comunità ebraiche relativamente autosufficienti dell’Europa orientale. Ne esistevano qui di riccamente decorate da artisti ebrei itineranti. La leggendaria sinagoga di Mogilev in Bielorussia era stata dipinta dal «maestro esperto nella santa opera Hayyim, figlio di Yitzhak Eisik Segal della santa comunità di Slutzk» che scriveva «Ho viaggiato molti giorni nella terra della vita, ho sentito mio dovere eseguire questa decorazione donata da cuori pii». I suoi dipinti vennero copiati da El Lissitsky, che nel 1916 vi si era recato su incarico della Società etnografica ebraica di Russia. Malgrado le mille espulsioni e distruzioni ne esistettero anche in Germania, come quella di Rechhofen (Ansbach) in Baviera dipinta nel Settecento da un pittore itinerante di nome Eliezer Sussmann, restaurata per il suo singolare valore dall’ufficio bavarese dei monumenti nel 1914 per poi venire distrutta dai nazisti. Una più tarda e commovente pittura ebraica è la decorazione ottocentesca con la veduta di Gerusalemme di una Sukkah (il padiglione a cielo aperto in cui ci si celebrava la festa delle capanne) di Fischach, oggi al museo di Gerusalemme). Ma era il libro che nella vita ebraica aveva una autentica centralità, una centralità che gli era stata conferita duemila anni fa «dalla rivoluzione farisaico-rabbinica che aveva trasformato l’ebraismo da un sistema legato al tempio a una cultura religiosa atta a sopravvivere e a fiorire nei contesti più diversi», (L.S. Gold). Erano i libri biblici, il Pentateuco, il libro di Ester (quest’ultimo sempre sotto forma di rotulo, Megillah il rotulo per eccellenza), il Talmud, la Haggadah, un testo molto diffuso – ne restano oltre duecento esemplari illustrati – intorno alla Pasqua, pieno di consigli igienici e di prescrizioni rituali per il Seder, il banchetto pasquale, erano libri di preghiere – il Mahzor e il Siddur –, erano trattati medici, e astronomici, scritti di Maimonide e di altri autori ebrei.
Fu a partire dal Duecento, quando le botteghe cittadine si affiancarono e si sostituirono agli scriptoria monastici, che si sviluppò l’illustrazione dei codici ebraici. In Spagna agli inizi del Quattrocento Profiat Duran scriveva: «Uno dovrebbe contemplare sempre bei libri con splendide decorazioni, bella calligrafia, pergamena e rilegatura. La contemplazione di forme piacevoli, belle immagini e disegni allarga e stimola la mente e rafforza le sue facoltà» e in Portogallo Abraham ben Judah ibn Hayyim aveva redatto, forse già nel 1262, un trattato per i colori da usare per miniare, il Libro de como se facen as cores.
Tra i capolavori della miniatura catalana-aragonese del Trecento si contano molti libri illustrati per committenti ebrei e talora da pittori ebrei, né si dimentichi che il grande atlante catalano del 1376-7 era stato redatto e disegnato da due ebrei, Abraham Cresques e suo figlio Jafuda. I problemi dei libri miniati ebraici presentano mille aspetti, si va da codici come l’Haggadah degli uccelli, decorato in Germania all’inizio del Trecento dando ai diversi personaggi – persino a Mosé che riceve le tavole – teste di volatili, a quelli illustrati in micrografia, vale a dire con disegni tracciati non da linee ma da serie di minutissime lettere, spesso opere dello scriba che aveva redatto la Masorah, il commento al testo biblico, agli splendidi libri ordinati nell’Italia del Quattrocento da committenti ebrei ad artisti cristiani e a copisti ebrei. In questi secoli l’illustrazione di codici ebraici fu uno dei grandi capitoli della storia della miniatura occidentale.
A sinistra una pagina della Haggadàh (Aragona, 1350-1360) del Museo Nazionale di Sarajevo. A destra una pagina della Bibbia di Cervera (Cervera, Spagna, 1300) conservata nella Biblioteca Nacional di Lisbona.
NOMI CITATI
- Altdorfer, Albrecht
- Chagall, Marc
- Cresques, Abraham
- Cresques, Jafuda
- Duran, Profiat
- Gautier de Coincy
- Gold, Sally Louisa
- Goodenough, Erwin Ramsdell
- Hayyim ben Yitzhak Aizek Segal
- Hayyim, Abraham ben Judah ibn
- Jewish Art
- Jewish Historical and Ethnographic Society [Russia]
- Lissitzky, El
- Mantegna, Andrea
- Norsa, Daniele di Leone [mercante]
- Roth, Cecil
- Sussmann, Eliezer
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Bechhofen [Baviera]
o Sinagoga
- Beth Shean [Israele]
o Sinagoga di Beth Alpha
- Dura Europos [Siria]
o Sinagoga
- Fischach [Baviera]
- Gerusalemme [Israele]
o Israel Museum
o Tempio di Gerusalemme
- Lisbona [Portogallo]
o Biblioteca Nacional de Portugal
- Mahilëŭ [Mogilëv, Bielorussia]
o Sinagoga
- Mantova
- Ratisbona [Germania]
o Sinagoga
- Sarajevo [Bosnia ed Erzegovina]
o Museo Nazionale della Bosnia ed Erzegovina
- Sluck [Slutsk, Bielorussia]
- Venezia
Collezione: Il Sole 24 Ore
Etichette: _Convegno, Arte ebraica
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Sopravvissuta a iconoclastia e a calamità,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/122.