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Titolo: Vermeer e la suocera

Descrizione: Stralci della prefazione redatta da Castelnuovo per l’edizione italiana di: John Michael Montias, Vermeer. L’artista, la famiglia, la città, Torino, Einaudi, 1997. I brani scelti introducono la famiglia dell’artista e il contesto socio-economico delle Fiandre della seconda metà del XVII secolo, per concentrarsi poi sulle ricadute che hanno avuto sulla sua attività. Significativo che l’unico quadro menzionato sia la Diana e le ninfe (Mauritshuis, L'Aia): è ricordata la scelta del proprio maestro Roberto Longhi di porre l'opera in chiusura della Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi (Milano, Palazzo Reale, aprile-giugno 1951) per sottolineare i rapporti di Vermeer con la cultura italiana, questione già introdotta nel saggio giovanile Gentileschi padre e figlia («L’Arte», XIX, 1916, p. 282; riedito da Abscondita con introduzione di Mina Gregori nel 2011).
Accompagna l’articolo un passo del libro di Montias sulla la conversione al cattolicesimo dell’artista, propedeutica al matrimonio con Chatarina Bolnes.
Una copia dell’opera è presente nel fondo librario dell’autore, conservato dalla Biblioteca Storica d'Ateneo "Arturo Graf".

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: Il Sole 24 Ore, anno 133, n. 142, p. 21

Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2024)

Data: 1997-05-25

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Sole 24 Ore» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Sole_41

Testo: «Il Sole 24 Ore» – Domenica 25 maggio 1997, n. 142, p. 21



Attraverso documenti emersi dagli archivi di Delft è stata ricostruita nei dettagli la vita familiare del pittore

Vermeer e la suocera



Da anni impegnato nello spoglio degli archivi di Delft alla ricerca di notizie sull’organizzazione del lavoro degli artisti e degli artigiani olandesi del Seicento, lo storico dell’economia Johan Michael Montias si è imbattuto in un ricco filone di importanti documenti inediti che riguardavano la persona di Vermeer, i suoi familiari più stretti, la sua professione, l’ambiente artistico, mercantile e politico in cui si trovò a operare.
Vagliando e ordinando questo materiale archivistico, Montias è riuscito a costruire una singolare biografia del pittore, ora disponibile anche in italiano grazie all’edizione Einaudi con prefazione di Enrico Castelnuovo presente in libreria a partire dal 30 maggio (J.M. Montias, Vermeer. L’artista, la famiglia, la città, Torino, 1997, pagg. 352, L. 80.000).
Ad introdurci allo studio di Montias è lo stesso Castelnuovo, con un articolo che rielabora parte della prefazione del volume; all’autore della biografia è invece riservato lo stralcio in calce, nel quale si racconta come il luterano Vermeer, per metter su famiglia e ottenere prestigiose commissioni, non esitò a convertirsi al cattolicesimo.

di Enrico Castelnuovo
Annoiato dallo studio dell’economia dei Paesi dell’Est, un terreno fino a pochi anni fa privo di sorprese, John Michael Montias aveva preso la decisione di dedicarsi alla storia dell’arte, sia pure da un particolare punto di vista dello storico economico. Durante gli anni Settanta, concentrò i suoi interessi sugli artisti e gli artigiani di Delft, e mentre lavorava agli archivi di quella città non pensava certo di poter trovare qualcosa di nuovo su Vermeer.
Su un artista, cioè, che per la sua notorietà era stato particolarmente e ripetutamente indagato e studiato e su cui tra fine Ottocento e primo Novecento il fondatore della moderna storia dell’arte in Olanda, Abraham Bredius, infaticabile indagatore di archivi, aveva scovato non poco; ma fu proprio – come racconta nell’introduzione – mentre perlustrava gli archivi della Camer van Charitate della città che si imbatté con molta sorpresa in un certo numero di documenti inediti e di grande importanza riguardanti l’artista e la sua famiglia. Nacque così quest’opera che è il ritratto di un singolo artista nel suo ambiente, ma anche un’indagine sulla professione di artista nell’Olanda del Seicento nella cornice della vita urbana, politica, religiosa del Paese e che, illuminando l’ambiente in cui si mosse Vermeer, illustra le forme e i meccanismi del mercato artistico e del collezionismo nell’Olanda del Seicento. Ricostruisce piccoli mondi separati e distinti che convergono illuminando la vita e l’attività del pittore di Delft, la sua produzione, la sua ricezione immediata e postuma. Porta alla luce il grande patrono di Vermeer, Pieter Claesz van Ruijven, che gli acquistò via via gran parte della produzione e nuove notizie procura su altri collezionisti dell’artista come Jacob Dissius, erede di van Ruijven, o Hendrick van Buyten, il misterioso panettiere presso cui un francese di passaggio a Delft era riuscito a vedere un’opera di Vermeer.
Uno degli enigmi che da tempo tormentano gli storici dell’arte, e anche i falsari più geniali come van Meegeren, sono i rapporti tanto ineludibili quanto sfuggenti di Vermeer con la pittura italiana. Tanti anni fa la Mostra del Caravaggio e dei Caravaggeschi a Milano (1951), si chiudeva sul «misterioso quadro giovanile del genio di Delft», la Diana e le ninfe dell’Aia che Roberto Longhi aveva voluto far venire come per tener fede a una via di ricerca annunciata già nel 1916 in Gentileschi padre e figlia. Il fatto che il dipinto fosse «stato concesso con tanta buona grazia pur sapendo in che connessione storica avrebbe figurato» gli pareva testimoniare che «la strada, anche qui, non è affatto smarrita, si è anzi fatta più larga». Da allora nessun evento clamoroso, neppure il ritrovamento di una copia dal fiorentino Ficherelli, eseguita con ogni probabilità da Vermeer e presentata alla mostra dell’Aia, è venuto a far precipitare questa situazione sospesa. Ancora una volta potrà essere utile accostare una miriade di piccoli fatti, dalla notizia sul fratello minore di Maria Thins che molti anni addietro era un giovane pittore a Roma e che qui era morto, alle rare menzioni di quadri italiani tra i vari possessi dei familiari, ai caravaggeschi di Utrecht appesi alle pareti della casa di Maria Thins, alla scelta nel 1672 di Vermeer come esperto per giudicare l’autenticità di un certo numero di quadri italiani acquistati da un commerciante di Amsterdam dal principe elettore di Brandeburgo. Senza clamore il cerchio si stringe.
Via via il lettore è trasportato nell’ambiente degli intermediari e dei commercianti d’arte di cui la famiglia di Vermeer forniva un campionario a vari livelli: dai rigattieri come la nonna paterna Neeltge Goris, una di quelle donne chiamate uijtdraegsters (letteralmente «quelle che portano fuori»), che rivendevano opere acquistate in occasione di successioni e liquidazioni ereditarie, e che fu un’infaticabile e sfortunata organizzatrice di lotterie artistiche, ai trafficanti più o meno equivoci come il nonno materno, Balthasar Gerrits, uomo di dubbie compagnie, orologiaio speculatore e, ai suoi bei tempi, falsario di moneta, ai locandieri-mercanti, come il padre, Reynier Jansz Vermeer, detto Vos, a quelli che chiameremmo operatori multivalenti che univano un’attività nel campo artistico al commercio di quadri, come il cognato, marito della sorella Gertruy, un artigiano specializzato nel fare cornici d’avorio che era registrato nella gilda di San Luca come commerciante d’arte, e come Vermeer stesso che, come vedremo, praticò un modesto commercio. Si è introdotti nel bell’albergo dai sette camini all’insegna della città di Mechelen gestito a Delft dal padre Reynier dove si fermavano pittori e commercianti e dove Vermeer aveva trascorso la giovinezza, quindi nell’angolo papista della città con la sua chiesa semiclandestina, dove l’artista andò a vivere dopo il suo matrimonio e la conversione al cattolicesimo. Si entra nella casa della suocera dove Vermeer viveva con la moglie e i suoi dieci figli, e nel suo studio in cui il lavoro procedeva estremamente a rilento e da cui uscivano opere che per quanto estremamente apprezzate e pagate ai prezzi più alti del tempo, non bastavano ai bisogni della famiglia.
Si precipita alla fine nella tragedia del dicembre 1675 causata da una delle ricorrenti guerre e illuminata da una drammatica supplica che la vedova Catharina Bolnes e la suocera Maria Thins rivolgono il 27 luglio del 1677 ai parlamentari dell’Olanda e della Frisia occidentale. Essa suona così: «le richiedenti informano riverentemente gli stati che Johannes Vermeer durante la guerra lunga e rovinosa non solo non poté vendere alcuna sua opera, ma anche non poté, a suo grande svantaggio, commerciare le opere di altri maestri che gli rimasero invendute. Questa situazione, combinata con il grande peso finanziario causato dai figli e con la mancanza di una sua qualsiasi proprietà personale, l’ha condotto in un tal declino e decadenza prendendolo al cuore tanto da portarlo alla follia e in un giorno e mezzo dalla salute alla morte».
La guerra che prematuramente travolse Vermeer a poco più di quarant’anni, fu una costante del Seicento europeo e ciò fu tanto più vero per i Paesi Bassi che attraverso la guerra nacquero, si innalzarono, decaddero. Il secolo si era aperto nel pieno del conflitto che infuriava fra gli abitanti delle province del Nord che si erano scossi di dosso il dominio spagnolo costituendo nel 1579 l’Unione di Utrecht e rifiutando nel 1581 la soggezione al regno di Filippo II, e gli spagnoli che volevano ristabilirlo. Nel 1584 era stato assassinato l’animatore della resistenza, Guglielmo il Taciturno, nel 1585 gli spagnoli riconquistavano Anversa, ma la guerra continuò sotto la direzione di Maurizio d’Orange così che all’inizio del Seicento il conflitto durava ormai da una trentina d’anni e costituiva la trama di fondo su cui si andava costruendo la storia del Paese e continuò pur interrotto da una lunga tregua, fino alla pace di Westfalia nel 1648. Vennero poi le guerre con l’Inghilterra, la prima dal 1652 al 1654, la seconda dal ‘65 al ‘67, e poco dopo nel 1672, «l’anno della catastrofe», si aprì quella rovinosa con la Francia le cui conseguenze trascinarono Vermeer nella miseria, nella pazzia e nella morte.
Si era verificata nel frattempo un’incredibile espansione economico-commerciale, erano state fondate le due grandi Compagnie delle Indie: quella delle Indie orientali, nel 1602, quindi quella delle Indie occidentali, nel 1621. Gli olandesi erano a Batavia, in Brasile, nell’America del Nord, in breve le Province Unite vennero ad avere le flotte mercantili e militari più potenti di Europa. Il tutto si accompagnò a una forte immigrazione dalle Fiandre, a una grande espansione demografica e a una crescente urbanizzazione.
In questo mondo, i pittori e la pittura hanno una forte presenza, non decorano più le chiese o almeno non lo fanno in una scala paragonabile con quanto avveniva nella vicina e cattolica Anversa (tuttavia la committenza cattolica non fu, come vedremo, indifferente), ma riempiono letteralmente le case, o almeno quelle dei cittadini di un certo rango. Il viaggiatore inglese John Evelyn, che il 31 agosto 1641 visita la fiera di Rotterdam, si stupisce per l’abbondanza di dipinti in vendita: «Arrivammo tardi a Rotterdam dove c’era il mercato annuale, ossia la fiera, così ricca di pittura (specialmente paesaggi e “drolleries” come chiamano qui queste rappresentazioni comiche) che ne ero sorpreso. Ne ho comprate alcune, e le ho spedite in Inghilterra. La ragione dell’abbondanza di pitture e del loro modico prezzo sta nella mancanza di terre in cui impiegare il denaro, così che è comune trovare un qualsiasi contadino che investe in questi beni due o tremila sterline. Le loro case ne sono piene e le vendono alle fiere con grandi guadagni».
Negli stessi anni così scriveva un altro viaggiatore inglese, Peter Mundy: «Quanto alla pittura e all’interesse che la gente prova nei suoi confronti penso che nessuno vada più lontano di loro, poiché in questo Paese ci sono stati uomini eccellenti in questa facoltà, come Rembrandt eccetera. Tutti in generale cercano di ornare le loro case, specialmente le stanze esterne che danno sulla strada con opere costose. Non sono da meno macellai e panettieri nelle loro botteghe che sono ben messe, e spesso anche fabbri e ciabattini vorranno qualche quadro nella loro fucina o nel loro negozio. Tale è la nozione generale, l’inclinazione e il piacere che i nativi di questo Paese hanno nei confronti della pittura».
Quella che – rispetto alla situazione italiana o francese – potremmo chiamare la distribuzione demografica delle pitture in Olanda è diventata una sorta di topos perennemente ripetuto, e opportunamente J.M. Montias, discutendo e analizzando queste fonti, ha corretto le conclusioni che ne erano state tratte sulla base dei recenti lavori quantitativi di storici economici sul numero dei pittori e la produzione di pitture nelle Province Unite nei due secoli cruciali della loro storia (1580-1800). Si è certo calcata troppo la mano sulla diffusione delle pitture nelle classi più basse della società, e su un generale allargamento della loro distribuzione, sta di fatto però che la percentuale dei pittori rispetto alla popolazione era in quegli anni piuttosto alta in Olanda, che alto era il numero dei dipinti prodotti e che d’altra parte le collezioni e i gabinetti di curiosità appartenevano in Olanda a borghesi e reggenti di istituzioni piuttosto che, come nel resto d’Europa, a re, nobili e prelati.
Fu in questo contesto che Vermeer si trovò a operare. Grazie agli aiuti dell’onnipresente e attivissima suocera Maria Thins, grazie all’innalzamento sociale che gli aveva portato il matrimonio con la discendente di una famiglia patrizia di Gouda, grazie alla solidarietà dell’ambiente cattolico, all’apprezzamento dei suoi dipinti da parte di alcuni importanti concittadini, grazie al fatto che la sua pittura cominciava a essere conosciuta al di là dei confini della città anche nell’ambiente dei ricchi collezionisti protestanti, grazie, infine, al piccolo commercio di quadri che egli stesso praticò, poté per alcuni anni trascorrere una vita serena, malgrado l’esuberante numero di figli e l’estrema lentezza del suo lavoro e quindi della sua produzione. Tutto questo però si basava su un equilibrio assai fragile, la guerra con la Francia e la difficile congiuntura economica fecero precipitare questa situazione. La tragica vicenda di Vermeer coincise con la fine dell’effimero e straordinario splendore di Delft. Durante due decenni la piccola città provinciale che era stata economicamente stimolata all’inizio del secolo dall’immigrazione proveniente dal sud delle Fiandre, ma che artisticamente era vissuta a lungo all’ombra dell’Aia da cui distava poco più di sei miglia, divenne, dopo la morte prematura del giovane Willem II d’Orange nel 1650 e l’inizio di un lungo periodo senza statolder in cui l’influenza della corte forzatamente diminuì, uno straordinario e moderno centro artistico. Il centro più importante dell’Olanda che attirò da Amsterdam e Haarlem pittori quali Paul Potter, Carel Fabritius, Pieter de Hooch. Alla morte di Vermeer questo splendore era tramontato, dei pittori chi era già morto, come Carel Fabritius nell’esplosione della polveriera che nel 1654 distrusse una parte della città, chi era partito come Pieter de Hooch o de Witte, e non rimaneva alla città – avverte Montias –, per impedirle di ricadere nella sonnolenza provinciale da cui l’immigrazione l’aveva svegliata un secolo prima, che la fiorente industria della sua ceramica bianca e azzurra.
La storia di quest’uomo, della sua famiglia e della sua città si presentano singolarmente intrecciate. Sono le varie fila di questo intreccio che John Michael Montias ha seguito e sciolto in questo libro. La ricchezza dei documenti, l’abilità nel leggerli e interrogarli, il modo di montarli in sequenza ne fanno un caso unico.

Jan Vermeer, «Allegoria della pittura», Vienna, Kunsthistorisches Museum

NOMI CITATI

Bolnes, Chatarina
Bredius, Abraham
Buyten, Hendrick Ariaensz. van
Compagnia olandese delle Indie occidentali
Compagnia olandese delle Indie orientali
Dissius, Jacob Abrahamsz.
Einaudi
Evelyn, John
Fabritius, Carel
Federico Guglielmo, grande elettore di Brandeburgo
Ficherelli, Felice
Filippo II, re di Spagna
Gerrits, Balthasar Claes
Gilda di San Luca [Delft]
Goris, Neeltge
Guglielmo I, principe d’Orange [il Taciturno]
Guglielmo II, principe d'Orange
Hooch, Pieter de
Longhi, Roberto
Maurizio, principe d’Orange, statolder
Meegeren, Han van
Montias, John Michael
Mundy, Peter
Potter, Paulus
Rembrandt, Harmenszoon van Rijn
Reynst, Gerard
Ruijven, Pietr Claesz. van
Thins, Jan Willemsz.
Thins, Maria
Unione di Utrecht
Vermeer, Gertruy
Vermeer, Johannes
Vermeer, Reynier Jansz.
Wiel, Anthony Gerritsz. van der
Witte, Emmanuel de


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Amsterdam [Paesi Bassi]
- Anversa [Belgio]
- Delf [Paesi Bassi]
○ Herberg Mechelen [locanda]
○ Stadsarchief Delft
- Fiandre [Belgio]
- Gouda [Paesi Bassi]
- Haarlem [Paesi Bassi]
- L’Aia [Paesi Bassi]
○ Mauritshuis
- Milano
○ Palazzo Reale
- Rotterdam [Paesi Bassi]
- Utrecht [Paesi Bassi]
- Vienna [Austria]
○ Kunsthistorisches Museum

Collezione: Il Sole 24 Ore

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Vermeer e la suocera,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/140.