Cacciatore d'arte (dettagli)
Titolo: Cacciatore d'arte
Descrizione:
In occasione dell’apertura del convegno Giovanni Morelli e la cultura dei conoscitori (Bergamo, ex chiesa di Sant'Agostino, 4-7 giugno 1987) e della mostra Giovanni Morelli da collezionista a conoscitore (4 giugno-31 luglio 1987) Castelnuovo tratteggia un profilo del protagonista e del suo metodo d’indagine applicato al riconoscimento delle opere d’arte.
La relazione introduttiva del convegno è tenuta dallo stesso Castelnuovo ed è raccolta nel primo volume degli atti: una copia dell'opera è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d'Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 121, n. 129, p. 3
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1987-06-04
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_53
Testo:
«La Stampa» – Anno 121, n. 129 – Giovedì 4 giugno 1987, p. 3
Morelli e la cultura dei conoscitori
Cacciatore d’arte
BERGAMO — Si apre oggi nell’ex chiesa di S. Agostino un convegno internazionale su «Giovanni Morelli e la cultura dei conoscitori» che si concluderà domenica. Vi parteciperanno studiosi di fama internazionale tra cui John Pope-Hennessy, Francis Haskell, Henri Zerner, Everett Fahy, Artur Rosenauer.
Roberto Longhi non l’aveva molto a genio. Soleva contrapporlo, negativamente, all’amatissimo Cavalcaselle e, pur riconoscendone le doti di conoscitore, lo tacciava di presuntuoso attaccabrighe, di scrittore men che mediocre e definiva il suo metodo «limitatamente chiromantico», «esteticamente inservibile». Bernard Berenson invece lo portava alle stelle paragonando la portata della rivoluzione culturale da lui compiuta nella storia dell’arte a quelle operate da un Winckelmann nell’archeologia, da un Darwin nella biologia.
E certo Giovanni Morelli non fu un personaggio facile né da trattare, né da definire. Fu un uomo veramente singolare, medico, curioso di geologia e di scienze naturali, accorto e fortunato collezionista, scrittore, profondamente imbevuto di cultura tedesca e fervente patriota, amico del grande naturalista Agassiz come di Jakob Burckhardt, deputato di Bergamo per più legislature e quindi senatore del Regno, gran viaggiatore, a proprio agio nel salotto di Bettina von Arnim come in quello di donna Laura Minghetti, autore di qualche articolo e di due o tre libri-bomba che misero a rumore il mondo dei musei e degli storici dell’arte.
Giunse a mutare molte attribuzioni scoprendo opere importantissime, rivelando ed esaltando capolavori dimenticati, declassando e mortificando reputazioni considerate solidissime, suscitando vocazioni, destando in Italia e soprattutto all’estero ammirazioni incondizionate e odi imperituri.
Fu certo uno degli italiani che sul finire dell’Ottocento godé di maggior fama internazionale, riuscendo a stupire e ad affascinare i personaggi più diversi, da Victoria imperatrice di Germania a Sigmund Freud.
Malvisto dai democratici saliti al potere dopo la caduta della destra, inviso ai clericali, detestato dal Kunstcaporal Wilhelm von Bode mitico e tout-puissant direttore delle raccolte imperiali di Berlino, ammirato da sir Henry Layard, scopritore di Ninive ed eminenza grigia della National Gallery di Londra, Giovanni Morelli ebbe un chiaro senso della propria superiorità intellettuale, un accentuato fastidio per le perorazioni degli esteti o per le discettazioni fumose o antiquario-erudite degli accademici, un disprezzo per il trasformismo, il pressappochismo, la demagogia, l’inefficienza della classe politica, una sfiducia, crescente negli ultimi anni, per ciò che in Italia era possibile fare.
Così pian piano, mentre si allontanava dalla politica, cominciò a scrivere di storia dell’arte e a proporre un nuovo metodo, che volle chiamate sperimentale, di guardare alle pitture, un nuovo modo di leggerle, di proporne l’autore, di attribuirle. Teatro dei suoi dirompenti esercizi furono le grandi gallerie tedesche di Berlino, Dresda, Monaco e quelle romane, la Doria e la Borghese in particolare, questo banco di prova dei conoscitori su cui dopo di lui si provarono Adolfo Venturi e Roberto Longhi.
Attento a non mescolarsi troppo all’insoddisfacente situazione italiana, desideroso di discutere le proprie proposte con i più diretti interlocutori, Morelli prese a pubblicare suoi saggi in tedesco su una rivista viennese, la Zeitschrift für bildende Kunst e in tedesco pubblicò quindi anche i suoi libri. Si premurò anche di assumere un’altra identità presentandosi sotto le esotiche spoglie di un gentiluomo tartaro che, nel corso del grand tour, si misura con i grandi monumenti della pittura italiana, Firmò così i suoi scritti col nom-de-plume di Ivan Lermolieff, anagramma abbastanza trasparente del proprio, facendoli figurare tradotti in tedesco da un alter ego il cui nome, ancora una volta, è calcato sul suo: Johannes Schwarze. Fin la pacifica residenza brianzola di Gorla appare nei suoi testi sotto l’esotico e slavizzante nome di Gorlaw.
E da Gorlaw l’elusivo tartaro riprende puntualmente e spietatamente i cataloghi e le attribuzioni delle grandi gallerie europee con risultati a dir poco mirabolanti, non ultimo l’identificazione di una delle più importanti opere di Giorgione, la Venere della Galleria di Dresda, fino ad allora trascurata e negletta perché considerata una copia del Sassoferrato da Tiziano. Questa e altre straordinarie trouvailles che sconvolsero il piccolo mondo degli storici dell’arte furono il frutto, secondo Morelli, dell’applicazione del suo «metodo sperimentale».
Che consisteva, grosso modo, nel concentrare l’esame e l’attenzione non sugli aspetti più appariscenti, sugli elementi più carichi di espressività di un dipinto, gli atteggiamenti degli occhi o della bocca di un personaggio, l’andamento di un panneggio, ma proprio su quelli meno evidenti, più secondari, ripetitivi, abituali, meccanici. Mentre i caratteri clamorosamente innovativi sul piano espressivo e compositivo saranno oggetto della maggiore attenzione da parte dei discepoli, degli imitatori, dei copisti, dei falsari, è al contrario probabile che gli automatismi di un artista non appartengano che a lui e non siano tanto appariscenti da suscitare l’attenzione e l’imitazione.
Facile riconoscere una significativa innovazione di Leonardo nel modo fortemente caratterizzato (e caratterizzante in senso espressivo e psicologico) di rendere una bocca – il sorriso della Gioconda –; immediatamente si identifica nel modo di rappresentare e atteggiare gli occhi uno dei segreti dell’espressività di Raffaello, e questi elementi, fatalmente, saranno ripresi, divulgati, riprodotti, copiati. Ma quale potere di suggestione, quale capacità espressiva hanno un’orecchia o un’unghia?
I libri di Morelli presero dunque l’aspetto di manuali di anatomia o di antropologia criminale per i minuti confronti di orecchie e di unghie stabiliti in apposite tavole, e ciò naturalmente suscitò non poco sconcerto, sia per la singolarità della, cosa, sia per il carattere provocatorio che l’operazione assumeva, quasi che a distinguere l’individualità, il mondo poetico, per tutto dire l’anima di un artista, si potesse giungere solo attraverso il triviale confronto di parti non nobili e pochissimo suggestive.
I tempi in cui visse il Morelli furono quelli del fitto e continuo accrescimento delle grandi gallerie nazionali di recente fondazione, da Berlino a Londra a Budapest, furono quelli della pubblicazione dei primi moderni cataloghi scientifici delle collezioni, quelli in cui il mercato si allargava costantemente in seguito alle secolarizzazioni, alla alienazione di tante antiche raccolte patrizie.
Fu un periodo in cui si determinavano e prendevano forma le nuove strutture e i nuovi agenti della storia dell’arte, nascevano e si moltiplicavano le cattedre, si precisavano funzioni e fisionomia del personale dei musei, di queste istituzioni che in quegli anni si ingrandivano enormemente e moltiplicavano le loro funzioni, sorgevano le riviste specializzate, si caratterizzava la fisionomia dei conoscitori, questa nuova razza di cui Morelli fu uno dei massimi esponenti.
In questa situazione si trattò naturalmente per lui di impostare una strategia che lo portasse a distinguersi e a caratterizzarsi rispetto ai colleghi. Ciò esaltò e in qualche modo provocò la vis polemica del Morelli rispetto, per esempio, all’altro grande conoscitore del tempo, Giovanni Battista Cavalcaselle, sì che costante fu, a partire da una certa data, la polemica tra i due padri della nuova storia dell’arte, e crescente l’animosità partigiana dei discepoli.
A leggere gli scritti del Morelli, di cui è gran peccato non esista nessuna recente edizione italiana, o le memorie, mai tradotte, del Bode, il fatto è fin troppo evidente. E quasi fino a noi, attraverso Bode, Friedländer, Berenson, Longhi, sono giunti gli echi di queste polemiche, il gusto per la battuta ironica e sprezzante, la tendenza a schierarsi incondizionatamente o con l’uno o con l’altro.
Ma il metodo di Morelli ha altre ragioni di interesse: impressionantemente simile a quello praticato da Sherlock Holmes nel suo privilegiare i particolari, gli indizi impercettibili, insignificanti agli occhi dei più e magari degli stessi protagonisti, fu visto da Sigmund Freud come «strettamente apparentato con la tecnica della psicoanalisi medica», avvezza anch’essa «a penetrare cose segrete e nascoste in base ad elementi poco appariscenti o inavvertiti o "rifiuti" della nostra osservazione».
Quasi dimenticata per decenni, la figura di Morelli e il suo metodo sono tornati d’attualità proprio per il loro significato epistemologico. Da Edgar Wind, a Hubert Damisch, a Carlo Ginzburg, che in pagine affascinanti ne ha fatto il protagonista del suo «paradigma indiziario», il metodo di Morelli non cessa di incuriosirci, di porci delle interrogazioni. Forse non è solo legato a un tempo e a una cultura di stampo positivistica Si rifà a un modo di conoscere molto più diffuso e anche molto più antico. L’ancestrale cultura del cacciatore, di colui che osserva, seleziona, classifica, interpreta, sceglie. Si situa in una dimensione e in una tradizione che vanno molto al di là della storia dell’arte.
Enrico Castelnuovo
Lorenzo Costa: «S. Giovanni Evangelista» (Raccolta Morelli)
NOMI CITATI
- Agassiz, Louis
- Arnim, Bettina von
- Berenson, Bernard
- Bode, Wilhelm von
- Burckhardt, Jacob
- Cavalcaselle, Giovanni Battista
- Costa, Lorenzo
- Damisch, Hubert
- Darwin, Charles
- Fahy, Everett
- Freud, Sigmund
- Friedländer, Max Julius
- Ginzburg, Carlo
- Giorgione
- Haskell, Francis
- Holmes, Sherlock
- Layard, Austen Henry
- Leonardo da Vinci
- Lermolieff, Ivan [Giovanni Morelli]
- Longhi, Roberto
- Minghetti, Laura
- Morelli, Giovanni
- Pope-Hennessy, John
- Raffaello
- Rosenauer, Artur
- Sassoferrato
- Schwarze, Johannes
- Tiziano
- Venturi, Adolfo
- Vittoria, imperatrice di Germania
- Winckelmann, Johann Joachim
- Wind, Edgar
- Zeitschrift für bildende Kunst
- Zerner, Henri
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Bergamo
o Chiesa di Sant’Agostino [Università degli Studi di Bergamo]
- Berlino [Germania]
o Bode-Museum
- Dresda [Germania]
o Gemäldegalerie Alte Meister
- Londra [Regno Unito]
o National Gallery
- Milano
o Gorla
- Monaco [Germania]
o Alte Pinakothek
- Roma,
o Galleria Borghese
o Galleria Doria Pamphilj
Collezione: La Stampa
Etichette: _Convegno, Storia e storici dell'arte
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Cacciatore d'arte,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/67.