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Titolo: Sibille ritrovate

Descrizione: Castelnuovo presenta gli affreschi quattrocenteschi del Castello di San Vito al Tagliamento, presso Pordenone, sottolineando l'importanza della loro recente riscoperta: ben poco si conserva, infatti, della pittura a tematica profana tra XIV e XV secolo, seppur siano numerose le testimonianze nelle fonti documentarie. Per dare un contesto al pittore, anonimo nonostante l’alta qualità dell’opera, e comprendere la scelta e le modalità di rappresentazione dei soggetti (storie di donne famose, sibille, figure allegoriche e virtù), presenta il committente, il vescovo Antonio Altan (fine XIV sec.-1450): in particolare, ricostruisce i suoi rapporti con cardinal Giordano Orsini, trovando nel palazzo romano di Monte Giordano, dipinto da Masolino, un modello imprescindibile.
L’articolo è pubblicato a partire dalla recente pubblicazione di Enrica Cozzi, Antonio Altan e l'umanesimo. Gli affreschi di San Vito, Pordenone, Grafiche editoriali artistiche pordenonesi, 1987: una copia dell’opera è presente nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d'Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 122, n. 29, p. 3

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1988-02-05

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_63

Testo: «La Stampa» – Anno 122, n. 28 – Venerdì 5 febbraio 1988, p. 3



Friuli, affresco capolavoro

Sibille ritrovate



L’immagine che abbiamo della pittura del Tre e del Quattrocento si basa prevalentemente su opere di soggetto e di destinazione religiosa: polittici, pale d’altare, frammenti di predelle, di cimase, di pilastrini, cicli di pitture murali o singoli affreschi votivi, personaggi del Nuovo e dell’Antico Testamento, storie e figure di Santi, Madonne con il Bambino, Crocifissi.
Non ci dimentichiamo che è esistita una pittura profana, ma questa occupa una parte non molto importante nella nostra memoria. Ci viene in mente qualche ritratto del Quattrocento, qualche cassone, qualche desco da parto, qualche ciclo miracolosamente conservatosi attraverso i secoli o riapparso sotto lo scialbo, che so: la camera del Podestà a San Gimignano o la Guardaroba del Papa ad Avignone, il Buono e il Cattivo Governo del Palazzo Pubblico di Siena, i Mesi nella Torre dell’Aquila a Trento, i tornei cavallereschi del Pisanello a Mantova, le sale dipinte di palazzo Davanzati a Firenze, gli Uomini Famosi di Palazzo Trinci a Foligno o i Prodi e le Eroine del castello della Manta. E, naturalmente, un certo numero di arazzi, dalla Caccia del Duca di Devonshire, oggi al Victoria and Albert Museum a Londra, alla Dame à la Licorne del Musée de Cluny a Parigi, questo scrigno di tesori medievali.
Ma, in fondo, non ci rendiamo conto di quanto sia andato perduto, di quante dimore, di quanti castelli, di quanti palazzi, suntuosamente decorati, abbiano perso il loro smagliante arredo pittorico. Sono sparite le grandi decorazioni dei palazzi dei Duchi di Borgogna o di quelli del Duca di Berry, del Louvre, delle regge d’Inghilterra o d’Aragona, dei castelli dei Savoia, di Castelnuovo a Napoli, del Castello di Pavia, della reggia carrarese a Padova. Non ce ne resta che qualche notizia documentaria, che qualche titulus, nel migliore dei casi una descrizione, più raramente ancora una derivazione. Où sount les neiges d’antan?

Distrutti i cicli cui avevano lavorato gli artisti più celebri la grande decorazione profana del Tre e del Quattrocento è per noi una sorta di Atlantide, di continente sommerso di cui ci parlano i testi e i documenti contemporanei, ma che conosciamo solo attraverso scarsi e frammentari esempi sfuggiti, chi sa perché, alla distruzione, allo stesso modo in cui qualche scoglio, qualche isola o isolotto perduti nel mare rappresentano quanto sopravvive di un intero continente inghiottito dalle acque, o qualche tessera colorata male assortita rappresenta e rievoca, pur attraverso le desolanti lacune, l’immagine di un mosaico. E ogni qualvolta che, riaffiorando sotto lo scialbo, qualcosa riemerge dal naufragio, è una nuova tessera del mosaico che si riaggrega alle altre, una porzione del puzzle che prende forma.
Uno di questi rari e miracolosi affioramenti ha avuto luogo a San Vito al Tagliamento. Si tratta dei resti di un ciclo di affreschi assai lacunoso, dai soggetti enigmatici e dalla superba qualità emersi fortunosamente dalle mura di ciò che oggi appare un’anonima entità immobiliare, ma che un’esemplare ricerca di Enrica Cozzi ha identificato come il palazzo di Antonio Altan, un grande personaggio ecclesiastico del primo Quattrocento, incaricato di mille missioni diplomatiche da papa Eugenio IV e poi nominato vescovo di Urbino.
L’aver restituito l’identità (la complessa personalità del committente ha permesso di chiarire i misteriosi soggetti degli affreschi e di immaginare come possa essere approdato a questo borgo turrito del basso Friuli un pittore superbo ed elusivo. Quando era stato Roma come cappellano del papa, Antonio Altan si era strettamente legato con il cardinal Giordano Orsini tanto che questi l’aveva autorizzato a fregiarsi del suo stemma. Ora una delle meraviglie di Roma quattrocentesca era appunto il palazzo di Monte Giordano che l’Orsini aveva fatto decorare da Masolino con cicli dalla ricca e complessa iconografia – Sibille, Uomini Famosi – che studiati, presi a modello e ammirati dai contemporanei, restarono celeberrimi anche dopo la loro precoce distruzione.
I soggetti per il palazzo di San Vito furono scelti dall’Altan basandosi proprio sul ricordo delle meraviglie di casa Orsini. In un grande salone fece rappresentare le vicende delle donne famose, un tema che, dopo il Boccaccio, era caro agli umanisti. Il fatto singolare è che le eroine non vennero qui dipinte singolarmente, isolate, a comporre una serie, ma entro lo svolgersi delle vicende stesse di cui furono protagoniste.

Così un volto dolcissimo di monaca incoronata accanto una compagna è quello di Costanza d’Altavilla, cantata da Dante nel terzo canto del Paradiso, l’erede della casa normanna di Sicilia che accettò di lasciare il velo di suora per sposare il figlio del Barbarossa e per dare i natali a Federico II. L’episodio entro cui è raffigurata e proprio quello dell’abbandono del chiostro: alcuni cavalieri del corteo nuziale le si avvicinano, hanno volti particolarmente caratterizzati e significativi, in cui si riconoscono quelli del vecchio imperatore Sigismondo e di Giovanni VII Paleologo. C’era dunque l’intenzione di attualizzare la scena dando ai suoi protagonisti i volti riconoscibili, effigiati da tanti artisti, dei più celebri personaggi del momento: gli imperatori d’Oriente e d’Occidente. L’incontro tra i due grandi che doveva sancire la fine del tempo degli scismi era una delle massime attese dell’epoca. Esso non poté mai aver luogo perché il vecchio Sigismondo era già morto quando il Paleologo sbarcò in Italia per partecipare al concilio sulla riunificazione delle chiese, ma il pittore ha voluto inserire nell’affresco le due figure imperiali a sottolineare il significato storico-dinastico della scena.
In un’altra sala si trovavano le immagini delle Sibille, ne restano solo frammenti, quanto basta tuttavia per capire che qui le antiche profetesse pagane non erano dieci, come voleva la tradizione, bensì dodici, secondo il nuovo canone che ne aveva aumentato il numero (aggiungendovi la Agrippa – «Egruppa» si legge a San Vito sopra un bel volto femminile dagli occhi cerulei – e la Europa) per poterlo far corrispondere a quello dei dodici profeti così che personaggi ebrei e pagani potessero essere simmetricamente rappresentati insieme nell’annuncio del Redentore, una innovazione recente messa in opera nella casa romana dell’Orsini.
In un adiacente edificio, anch’esso di proprietà dell’Altan, sono ancora emerse figure allegoriche e Virtù, accompagnate, queste ultime, da iscrizioni con terzine dantesche.
L’iconografia elaborata, i rimandi eruditi chiariscono bene quale atmosfera culturale raffinata e à la page si respirasse a San Vito nel circolo dell’Altan. Ma la scoperta più straordinaria – ed è quanto colpisce chi vede per la prima volta gli affreschi ora staccati e temporaneamente esposti nella chiesa di San Lorenzo – è l’altissimo livello del pittore che lavorò qui verso il 1440 e diresse la decorazione del palazzo. Un artista sottile, singolarissimo, capace di supreme raffinatezze, con una gamma cromatica paradisiaca di verdi, di azzurri chiari, di rosa, di lilla, dalla luminosità eccezionale.
Un pittore che conosce le sottigliezze del gotico internazionale, ma che si apre anche a un nuovo e più moderno modo di far pittura, attento agli effetti della luce, ai contrasti luminosi, come un nordico, come un fiammingo. E una qualità pari a quella di Pisanello, a quella di Masolino. Di lui non sappiamo nulla; forse l’Altan l’aveva trovato a Roma nell’equipe che intorno a Masolino lavorava a casa Orsini, ma non conosciamo confronti che permettano di riconoscerne altrove la mano. Nella loro frammentarietà questi affreschi sono un unicum; di una altezza che le ferite, le abrasioni, le cadute di colore non diminuiscono né offuscano.
Insieme con un altro relitto della grande e perduta pittura profana appare così un nuovo artista, per ora un anonimo di genio, ma certo una «persona prima» (come avrebbe detto Roberto Longhi), della pittura di quegli anni cruciali in cui una altissima civiltà figurativa cedeva le armi dinnanzi all’urgere da più parti di nuovi modi del rappresentare.
Enrico Castelnuovo

San Vito al Tagliamento. Particolare dell’affresco ritrovato 
NOMI CITATI
- Alighieri, Dante
- Altan, Antonio
- Boccaccio, Giovanni
- Borgogna, duchi di
- Costanza d’Altavilla
- Cozzi, Enrica
- Devonshire, duchi di
- Enrico VI, imperatore del Sacro Romano Impero
- Eugenio IV, papa [Gabriele Condulmer]
- Federico I [Barbarossa], imperatore del Sacro Romano Impero
- Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero
- Giovanni VII Paleologo, imperatore dell’Impero Romano d'Oriente
- Jean de Valois, duca di Berry
- Longhi, Roberto
- Masolino da Panicale
- Orsini, Giordano
- Pisanello [Antonio di Puccio Pisano]
- Savoia [famiglia]
- Sigismondo di Lussemburgo, Imperatore del Sacro Romano Impero


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Avignone [Francia]
o Palazzo dei Papi
▪ Torre del Guardaroba
- Firenze
o Palazzo Davanzati
- Foligno [Perugia]
o Palazzo Trinci
- Londra [Gran Bretagna]
o Victoria and Albert Museum
- Manta [Saluzzo, Cuneo]
o Castello della Manta
- Mantova
- Parigi [Francia]
o Musée de Cluny [Musée national du Moyen Âge-Thermes et Hôtel de Cluny]
o Palais du Louvre [Musée du Louvre]
- San Gimignano [Siena]
o Palazzo comunale
▪ Camera del Podestà
- San Vito al Tagliamento [Pordenone]
o Chiesa di San Lorenzo
o Castello di San Vito al Tagliamento
- Siena
o Palazzo Pubblico
- Trento
o Castello del Buonconsiglio
▪ Torre dell’Aquila

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Sibille ritrovate,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/76.