A Lucca, capitale di seta (dettagli)
Titolo: A Lucca, capitale di seta
Descrizione:
Recensione della mostra: La seta. Tesori di un'antica arte lucchese. Produzione tessile a Lucca dal XIII al XVII secolo (Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi: 16 giugno-30 settembre 1989), a c. di Donata Devoti, catalogo edito da Maria Pacini Fazzi. Castelnuovo presenta un quadro della produzione e della commercializzazione della seta a Lucca tra XII e XIII secolo, inquadrando la città come un centro di primaria importanza nel Basso Medioevo e sottolineando la preziosità di questi manufatti tessili. Si sofferma sui motivi decorativi, ma soprattutto introduce il lettore ai significati simbolici e alle suggestioni che le stoffe seriche stimolavano nell’immaginario dell’uomo medievale: l’articolo ricorda il monaco Reginaldo di Durham che, nel raccontare la traslazione di alcune reliquie, più che dalla loro santità era ammaliato dalla bellezza dei tessuti che le avvolgevano.
Una copia del catalogo è presente nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d'Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 123, n. 150, p. 3
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1989-07-06
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_65
Testo:
«La Stampa» – Anno 123, n. 150 – Giovedì 6 luglio 1989, p. 3
Esportò per secoli i suoi preziosi tessuti in tutta Europa
A Lucca, capitale di seta
In mostra i tesori di una storia sconosciuta
LUCCA. La fama di Lucca, la sua fortuna mercantile fu per lungo tempo affidata alle stoffe, ai bellissimi panni di seta che qui venivano approntati e che da ogni parte erano ricercati, richiesti, contesi. In Occidente fu questo per secoli il massimo tra i centri produttori di tessuti di gran pregio. Oggi tuttavia ben poco resta in loco di questo patrimonio (la più antica stoffa lucchese rimasta nel tesoro di San Martino è della fine del Trecento) e per conoscere la fisionomia dei celebratissimi «pannos lucanos», come erano chiamati negli inventari medievali che minuziosamente, come si fa con le cose di maggior valore, ne registravano i modi e le forme della decorazione (ad compassos, cum rotis), le materie (de serico cum auro), i soggetti e i colori («ad dracones et gallos quasi sanguinum»), bisogna andare a cercarne altrove gli esemplari superstiti. Nei tesori delle chiese del Nord, da Danzica a Uppsala, dove la riforma interruppe l'uso dei paramenti ritardandone la consunzione, ma li conservò gelosamente per il loro valore e il loro splendido aspetto o ancora nei grandi musei di arti decorative sorti nell'Ottocento per proporre un repertorio di modelli agli artisti e ai designers, in Inghilterra, Germania, Francia (in Italia, ma con minor ricchezza, nei musei civici di Modena, di Torino, di Venezia, al Bargello o a Roma a Palazzo Venezia). Una mostra bella e sofisticata (La Seta. Tesori di un'antica arte lucchese, fino al 30 settembre) riunisce nella maestosa cornice seicentesca di Palazzo Mansi, prelevandoli da tutt'Europa, e riportandoli per pochi mesi nella loro patria alcuni degli splendidi frammenti superstiti presentandoli con un catalogo assai utile, bene illustrato a colori a cura di Donata Devoti al cui impegno appassionato e alla cui competenza si deve l'impresa, opportunamente sostenuta dalla lucchese Banca del Monte per celebrare il suo cinquecentenario.
Nuvole di colore nelle chiese
Tra i grandi prodotti artistici del Medioevo le stoffe sono forse quelli che meno conosciamo, che meno ricordiamo. Gli affreschi, i mosaici, le vetrate, le sculture, gli smalti, le oreficerie riempiono la nostra memoria, ma le stoffe? Eppure i preziosi tessuti di seta erano un tempo considerati tra le meraviglie del mondo. In chiesa i loro colori marcavano il volgere dell'anno, le funzioni, le occasioni della preghiera. In certe ricorrenze l'intero edificio poteva essere trasformato dai parati che ricoprivano le colonne, scendevano dall'alto tra le finestre lungo le mura della navata, seguivano le curve dell'abside dietro l'altare. Degli antichi, sontuosi arredi ci conservano memoria le pitture: chi entri nella cripta romanica della cattedrale di Aquileia vedrà un fregio con cavalieri in combattimento che decora lo zoccolo dell'abside: è una pittura che imita una stoffa pregiata fissandone sul muro i disegni, l'impaginazione, finanche le pieghe. E molte chiese romaniche hanno conservato i resti di bei velari dipinti che, più durevoli e meno costosi, evocano lo splendore delle stoffe, di quei sottili capolavori cui si guardava con stupefatta ammirazione.
Un incondizionato, entusiasta ammiratore ne fu, per esempio, il monaco inglese Reginaldo di Durham, che, attorno al 1175 rievoca una solenne cerimonia che settant’anni prima si era svolta nella sua cattedrale, la traslazione delle reliquie di un santo venerato. Tanto tempo è ormai passato da quel giorno ed egli racconta avvenimenti ben più vecchi di lui, ma per descriverli ritrova emozioni e sensazioni che in altre occasioni ha conosciuto, ed ecco che scompaiono le pareti della piccola cella in cui scrive per far luogo alla grande chiesa, ecco i fedeli accalcarsi, i religiosi trasportare i santi corpi, la cerimonia svolgersi con i suoi riti solenni, le preghiere, i suoni, i canti, i fumi dell'incenso.
Ma più che le virtù del santo o la potenza miracolosa delle reliquie una cosa desidera soprattutto tramandare: la bellezza, la varietà, lo splendore dei tessuti che avviluppavano i sacri resti, le loro materie, i loro colori, i loro disegni: «...la dalmatica [...] offre una varietà di rosso porpora sconosciuta ai nostri giorni anche ai conoscitori [...] Sottilissime figure di fiori e di piccole bestie, assai minuziose nella fattura come nel disegno sono intessute in questa stoffa. Per bellezza decorativa il suo aspetto è variato da una spruzzata contrastante di colore piuttosto incerto che si mostra giallo. L'incanto di questa variazione viene fuori nel modo più bello nell'abito purpureo purpureo [...]».
L'attrazione che queste stoffe esercitano sta nel pregio dei materiali utilizzati, nell'elezione dei colori, nei disegni, nella impaginazione, nella studiata iterazione dei motivi e nel gioco estremamente raffinato tra il fondo e le zone operate, ottenuto nella tessitura che si esplica in contrasti cromatici e materici spettacolari negli sciamiti (da examitum: sei fili), nei diaspri, nei lampassi prodotti a Lucca. Un celebre diaspro lucchese del Duecento vede affrontati in alternanza verticale coppie di pappagalli e di gazzelle che posano su palmette; le teste, le zampe, gli zoccoli e certe parti del corpo degli animali, così come alcune foglie e bocci dei vegetali sono broccate in filo d'oro (un inventario papale del 1295 descrive una simile stoffa lucchese con, entro circoli, uccelli rossi dalle teste e dalle zampe d'oro), il resto del disegno è della stessa tonalità del fondo (negli esemplari conservati verde, rosa antico, bianco), ma il modo con cui è stato operato lo rende più intenso e acceso.
Sembra di leggere le pagine di Reginaldo di Durham: «A ogni due coppie di uccelli o di bestie emerge un determinato disegno, come qualche albero frondoso che qua e là separa questi motivi e li isola in modo da distinguerli. La figura dell'albero è finemente disegnata e mostra il germogliare delle foglie, per quanto esili, dalle due parti. Al di sotto, nella fila adiacente, spuntano di nuovo figure di animali tessute in rilievo [...]».
La reliquia di San Ranieri
Il motivo degli animali affrontati, aquile, pappagalli, gazzelle, leoni è frequente nelle stoffe più antiche che lo derivano da modelli sassanidi, bizantini o islamici. Una trovata di recente a Pisa entro una cassetta smaltata che conteneva una reliquia di San Ranieri esplicita, con appositi titoli, i soggetti: «Papagalo, Falcone, Leone, Grifone». Nel Trecento le coppie simmetriche diminuiscono, una maggior libertà anima figure e teorie di animali, leoni, lupi, splendidi uccelli del paradiso, immagini queste di origine orientale come dall'Oriente giunge il fiore di loto che prende ad infittirsi nelle stoffe lucchesi. Un gran telo di lampasso, oggi ad Amburgo, uno dei più straordinari oggetti esposti, mostra degli orsi neri che tentano di arrampicarsi su alberi azzurri su ognuna delle cui cime sta rannicchiato un cane celeste, mentre aquile ad ali spiegate picchiano in volo verso la zolla d'erba fiorita in basso.
A Lucca la seta era di casa dal XII Secolo, la materia greggia arrivava dall'Asia Minore in «torselli», fagotti lunghi dalla forma particolare la cui immagine compare nello stemma dell'arte dei mercanti. Qui veniva lavorata, filata, tinta e tessuta. Qui erano state messe a punto innovazioni tecnologiche, protette come segreti di Stato, quali certi filatoi che permettevano operazioni complesse con pochissimi lavoranti, qui si moltiplicarono mestieri e professionalità specializzate, filatori, tessitori, tintori (lo statuto dell'arte dei tintori del 1255 è firmato da 86 maestri), battiloro, che confezionavano i fili d'oro e d'argento che venivano utilizzati nei tessuti di pregio, disegnatori di tessuti.
Ma il controllo delle varie fasi e la proprietà della produzione restò essenzialmente in mano a un gruppo ristretto di famiglie che avevano creato le compagnie mercantili che importavano la materia prima e quindi esportavano e commercializzavano in tutt'Europa il prodotto finito. L'enorme disparità economica che sì creò tra le varie forze impegnate nella produzione dei tessuti fu causa di contrasti violenti e di lotte intestine che esplosero ricorrentemente e della diaspora che allontanò dalla città toscana maestri valentissimi partiti per esercitare altrove le proprie capacità.
Allo splendore subentra l'abbandono che descrive, nel 1419, Giovanni Sercambi: «[...] Et chosì molti della ciptà di Lucha si sono partiti, chi è andato a Vinegia, chi a Bologna, chi a Firenze, chi a Genova, chi in contado, chi al soldo; e a questo alcun riparo non si prende a conservare tali artieri e la città in buono stato».
Nella città si continueranno a produrre pregiate stoffe di seta fin quasi al Settecento, ma con ben minore inventività e crescenti difficoltà di vendita di fronte alla concorrenza delle altre manifatture, Venezia, Firenze, Genova. È lontano ormai il grande momento che aveva visto animali e piante, motivi bizantini, suggestioni cinesi e dróleries gotiche intrecciarsi negli splendidi disegni dei suoi panni, comporre un cortese e favoloso bestiario, l'aristocratico e preziosissimo bestiario lucchese.
Enrico Castelnuovo
Arte spagnolo-moresca, del secolo XII. In basso, animali simbolici rinascimentali
NOMI CITATI
- Banca del Monte di Lucca [BPER Banca]
- Devoti, Donata
- Ranieri, san [Ranieri Scacceri]
- Reginaldus di Duhram
- Sercambi, Giovanni
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Amburgo [Germania]
o Museum für Kunst und Gewerbe Hamburg
- Aquileia [Udine]
o Basilica di Santa Maria Assunta
- Bologna
- Danzica [Polonia]
- Firenze
o Museo Nazionale del Bargello
- Genova
- Lucca
o Cattedrale di San Martino
o Museo Nazionale di Palazzo Mansi
- Modena
o Museo civico di Modena
- Pisa
- Roma
o Palazzo Venezia
- Torino
o Museo Civico d'Arte Antica [Palazzo Madama]
- Uppsala [Svezia]
- Venezia
o Musei civici di Venezia
Collezione: La Stampa
Etichette: _RECENSIONE (mostra), Tessuti
Citazione: Enrico Castelnuovo, “A Lucca, capitale di seta,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/78.