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Titolo: L’800 non fu poi così stupido

Descrizione: Stralcio della prefazione redatta da Castelnuovo per La pittura in Italia. L'Ottocento (a c. di Enrico Castelnuovo, Milano, Electa, 1990, 2 voll.; un’edizione ridotta e fuori commercio è edita lo stesso anno per la Banca Nazionale dell’Agricoltura). Partendo dalla rievocazione della sfortuna critica della pittura dell’Ottocento italiano, in particolare dal giudizio di Roberto Longhi, sono delineati i criteri e le nuove prospettive adottati nell’opera. Per la stessa collana Castelnuovo aveva già curato i due volumi sul XIII-XIV secolo, pubblicati nel 1986 (La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento). L’articolo è introdotto da un trafiletto di Marco Carminati, a cui probabilmente si deve il lavoro redazionale.
Per il giudizio di Longhi cfr. Carlo Carrà, Milano, Hoepli, 1937, riedito in Opere Complete, vol. XIV: Scritti sull’Otto e Novecento, Firenze, Sansoni, pp. 39-46: “Mentre la buona pittura francese dell’Ottocento quasi s’inaugura con quel dipinto calcinoso ed ingrato, ma inconsapevolmente tanto simbolico, che s’intitola: «Bonjour, M. Courbet», è un peccato che ancora manchi alla moderna pittura italiana, oggi poi che molto si parla di composizioni a soggetto, un gran quadro che finalmente si chiami: «Buona notte, Signor Fattori». Non credo, insomma, alla definizione dello «stupido secolo XIX» perché mi par troppo estensiva; ma se si tratta di riservarla alla pittura italiana di quel centennio non mi opporrò che debolmente” (p. 39).
Una copia dell’opera è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Autore di contributo subordinato: Marco Carminati

Fonte: Il Sole 24 Ore, anno 127, n. 306, p. 31

Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1991-12-01

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Sole 24 Ore» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Sole_1

Testo: «Il Sole 24 Ore» – Domenica 1° dicembre 1991, n. 306, p. 31



DAL NEOCLASSICISMO AL DIVISIONISMO
Un volume rivaluta la pittura italiana del secolo scorso, liberandola dai pregiudizi alimentati anche da Longhi

L’800 non fu poi così stupido



Cent’anni rivisitati
Grazie a un libro (AA.VV., «La pittura in Italia. L’Ottocento», Electa, Milano 1991, due tomi, pagg. 960, L. 340.000), la pittura italiana del XIX secolo è finalmente uscita dalla quarantena. A infilarcela aveva contribuito in modo non irrilevante il grande Roberto Longhi. Nel 1914, ai suoi allievi del Liceo Tasso a Roma, Longhi spiegava che dopo Tiepolo, Magnasco e Guardi la pittura italiana era inesorabilmente finita. Un giudizio severo che lo studioso rincarò negli anni successivi formulando la celebre sentenza di «stupido secolo» per tutto l’Ottocento pittorico Italiano.
Le idee di Longhi hanno rappresentato una pesante ipoteca sull’argomento, così come hanno negativamente influito il diffuso senso di inferiorità della nostra pittura rispetto ai protagonisti della scuola francese, e la convinzione manichea che solo le avanguardie hanno contato qualcosa.
Dissolvendo questo ingombrante polverone ideologico, il volume Electa, coordinato da Enrico Castelnuovo, ripresenta questo secolo in un modo più corretto e completo. Con il criterio della ricognizione territoriale, i singoli studiosi regionali hanno affrontato i vari problemi evitando la tentazione di privilegiare scuole o personalità precostituite e si sono imbattuti invece, e molto spesso, in artisti tanto validi e quanto misconosciuti, che gli errori di valutazione del passato avevano relegato nelle soffitte della storia dell’arte.
Del saggio introduttivo di Enrico Castelnuovo diamo qui uno stralcio (M. Car.)

di Enrico Castelnuovo
Se procediamo a leggere la vicenda del nostro Ottocento nello specchio impietoso di Roberto Longhi, troveremo in un testo dedicato a Carrà (1937) la condanna radicale: «Mentre la buona pittura francese dell’Ottocento quasi si inaugura con quel dipinto calcinoso e ingrato, ma inconsapevolmente tanto simbolico, che si intitola "Bonjour Monsieur Courbet" è un peccato che ancora manchi alla moderna pittura italiana, oggi poi che molto si parla di composizioni a soggetto, un gran quadro che finalmente si chiami "Buona notte signor Fattori". Non credo insomma alla definizione dello stupido secolo XIX perché mi par troppo estensiva; ma se si tratta di riservarla alla pittura italiana di quel centennio non mi opporrò che debolmente».
Molto tempo è passato da quando questi giudizi sono stati proposti. La generale rivisitazione del neoclassicismo ha rilanciato i grandi protagonisti italiani, l’attenzione al gusto neo-gotico e le nuove letture del romanticismo hanno riproposto i temi, il significato e i valori della pittura di storia, le discussioni e le polemiche sul realismo hanno suggerito la possibilità di nuove interpretazioni di certi fenomeni; nuovi astri sono saliti all’orizzonte, mentre i valori più tradizionalmente consacrati, i Macchiaioli, hanno cominciato a muoversi nell’Europa delle mostre e hanno conosciuto studiosi, esegeti, estimatori oltre oceano.
E tuttavia rileggere con più ampia, ramificata, articolata strumentazione la pittura italiana dell’Ottocento vuol dire abbandonare o addirittura rovesciare i giudizi di Longhi? O questi conservano una qualche esemplarità che non riguarda solo la loro collocazione storica e il tempo in cui furono scritti? In ultima analisi che posto, che dimensione occupano i pittori dell’Ottocento italiano nel panorama della pittura europea?
Un tempo avevamo, o credevamo di avere, dei criteri, delle linee di giudizio; per quanto riguarda l’Ottocento in Francia, come in Inghilterra, come in Italia davamo la preferenza ai pittori che non appartenevano all’establishment accademico, a coloro che avevano cercato nuove vie, sfidato le istituzioni, stupito e irritato il pubblico dei contemporanei, a coloro che avevano combattuto battaglie contro l’arte ufficiale, che sovente erano stati emarginati, a coloro la cui grandezza era stata tardivamente riconosciuta. Va da sé che questi criteri erano allarmantemente opinabili, si servivano di una chiave di lettura estremamente univoca, proiettavano nel passato scelte, valori, obiettivi, strategie del presente.
Con il lento e progressivo trasformarsi e istituzionalizzarsi delle avanguardie, con i diversi recuperi e i differenti approdi alla figuratività che si sono avvicendati, con il crescente appannarsi della tradizione del nuovo, con l’ascesa inarrestabile di un pluralismo rampante e non di rado volgare si è assistito a un recupero di molti personaggi, opere ed episodi della cultura figurativa ufficiale dell’Ottocento. Si sono estremamente allargate le maglie della selezione affiancando, e in certi casi tentando di sostituire, le figure che per un certo tempo avevano prevalso. A queste metamorfosi, a questi recuperi e trasformazioni del gusto indagate da Francis Haskell con tanta finezza, a queste riscoperte che risentono della moda si accompagna una, questa volta pienamente opportuna, ricollocazione della pittura italiana dell’Ottocento in un’ottica un poco meno francocentrica, un po’ meno polarizzata sul confronto con quella che fu consacrata come la linea vincente.
Dall’Italia i pittori guardarono, in diversi tempi verso luoghi diversi, non solo verso Parigi (e del resto Parigi riuniva tante e così diverse proposte, tanti e così diversi circuiti), ma anche verso Ginevra, Lione, Düsseldorf, Monaco, Vienna, verso l’Olanda e l’Inghilterra. In periodo preunitario esistevano poi per le accademie delle antiche capitali dei riferimenti privilegiati legati anche a parentele dinastiche. Considerare il contesto europeo e non la sola Parigi era un’operazione necessaria se si volevano comprendere gli orizzonti, le tangenze, i musei immaginari, i riferimenti, le mete, i progetti dei pittori italiani.
Un problema fondamentale è quello di restituire il panorama, la gerarchia, il canone che erano generalmente percepiti dai contemporanei, sovrapponendoli e mettendoli a confronto con il panorama che è il nostro, con la gerarchia, il canone che noi oggi adottiamo. Ma se oggi abbiamo di fronte a noi tanti più nomi e tanti più problemi, se prendiamo in considerazione tanti più pittori, se meglio conosciamo meccanismi e strutture del campo artistico, se crediamo che non si possa fare storia semplicemente opponendo l’uno all’altro artisti o tendenze, che il nostro compito, oggi, non sia quello di salvare dieci nomi per dannare gli altri, se sappiamo che il momento della ricomposizione deve precedere quello della selezione, non sarebbe questo il tempo di fare un ulteriore passo in avanti, di constatare come si abbia ancora molto da esplorare e da riflettere sugli usi della pittura, sulle sue mediazioni, sul posto che l’immagine dipinta, disegnata, stampata, aveva occupato nella cultura dell’Ottocento, un secolo in cui, prima della generalizzata adozione della fotografia e della riproduzione fotomeccanica, le domande, gli usi e la diffusione delle immagini furono più grandi di quanto mai non fosse stato? La pratica del disegno era, per esempio, ben più generalizzata di quanto in seguito sia stato, veniva esercitata largamente per diverse motivazioni. Questo dovremmo considerare in una storia della pittura e dovremmo farci rientrare fenomeni come i gentiluomini-pittori, le tante pittrici-dilettanti, la circolazione e la diffusione degli album di modelli da un lato e quello dei taccuini di schizzi dei viaggiatori dall’altro, la pratica della copia, quella del disegno tecnico e industriale, quella del disegno degli archeologi e dei medievisti come Alfredo d’Andrade, degli storici dell’arte come Cavalcaselle e quella del disegno per la stampa, per i giornali, per l’editoria.

Adeodato Malatesta, «La famiglia Guastalla», 1871, Modena, Galleria Estense; accanto, Ippolito Caffi, «Il foro romano», 1841, affresco, Padova, Casino Pedrocchi.

NOMI CITATI

- Caffi, Ippolito
- Carminati, Marco
- Carrà, Carlo
- Cavalcaselle, Giovanni Battista
- Courbet, Gustave
- D’Andrade, Alfredo
- Electa
- Fattori, Giovanni
- Guardi, Francesco
- Haskell, Francis
- Longhi, Roberto
- Magnasco, Alessandro
- Malatesta, Adeodato
- Tiepolo


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Düsseldorf [Germania]
- Ginevra [Svizzera]
- Lione [Francia]
- Modena
o Galleria Estense
- Monaco [Germania]
- Padova
o Casino Pedrocchi
- Parigi [Francia]
- Roma
o Liceo-Ginnasio “Torquato Tasso”
- Vienna [Austria]

Collezione: Il Sole 24 Ore

Citazione: Enrico Castelnuovo, “L’800 non fu poi così stupido,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/1.