L’arte di ascoltare i dipinti e le bandiere (dettagli)
Titolo: L’arte di ascoltare i dipinti e le bandiere
Descrizione:
Profilo di Johan Huizinga (Groninga [Paesi Bassi], 7 dicembre 1872-Arnhem [Paesi Bassi], 1º febbraio 1945), in occasione della pubblicazione della raccolta di saggi Le immagini della storia. Scritti, 1905-1941, a c. di Wietse de Boer, Torino, Einaudi, 1993; nel ripercorrere le principali tappe della biografia, Castelnuovo si sofferma sui contributi di Huizinga tradotti in italiano per descrivere i caratteri che contraddistinsero il personale approccio alla ricerca storica e, in particolare, il suo interesse per le opere d’arte come fonti per ricostruire il contesto da cui provengono. Castelnuovo ripubblicò questo articolo nella sua raccolta di saggi La cattedrale tascabile. Scritti di storia dell'arte, Livorno, Sillabe, pp. 263-67 (sezione Scoperta e illustrazione del Medioevo).
Una copia dell’opera è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: Il Sole 24 Ore, anno 129, n. 262, p. 25
Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1993-09-23
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Sole 24 Ore» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Sole_9
Testo:
«Il Sole 24 Ore» – Domenica 26 settembre 1993, n. 262, p. 25
L’arte di ascoltare i dipinti e le bandiere
di Enrico Castelnuovo
«Quando sente pronunziare la parola Rinascimento, il sognatore della bellezza antica vede porpora e oro». Quasi ad illustrare l’esordio folgorante del Problema del Rinascimento la copertina di una nuova raccolta di scritti di Johan Huizinga che esce in questi giorni da Einaudi si accende dei rossi e degli ori delle vesti del Padre Eterno nell’Adorazione dell’Agnello dei Van Eyck. Per i colori Huizinga ebbe una straordinaria sensibilità. Le pagine dell’Autunno del Medioevo sono intrise del nero degli abiti di corte borgognoni, del verde delle camere delle principesse, degli azzurri e degli ori di cui erano coperte le navi di Filippo l’Ardito nel porto di Sluis. È una sensibilità antica, una citazione di Michelet accende il verde, il verde degli occhi di Robespierre, la prolusione all’università di Groningen, L’elemento estetico delle rappresentazioni storiche, che segna l’inizio della sua vita universitaria: «Molti anni dopo la Rivoluzione un giovane chiede al vecchio Merlin de Thionville come avesse potuto prendere parte alla condanna di Robespierre. Il vecchio tace, sembra esserne un po’ dispiaciuto poi d’improvviso si alza in piedi con un movimento violento e dice "Robespierre! Robespierre!... ah! Se tu avessi visto i suoi occhi verdi l’avresti condannato come me". Solamente chi ha visto gli occhi verdi di Robespierre ha potuto capire perché l’Incorruttibile sia stato condannato».
Johan Huizinga è stato uno dei più affascinanti scrittori di storia che abbia contato il Novecento. Scrittore di storia e non solo storico perché la scrittura è una delle grandi qualità di questo studioso geniale vissuto in tempi tormentati (nacque nel 1872, morì nel 1945), quelli delle guerre mondiali – e alla seconda non è sopravvissuto – della ascesa del nazismo, del declino dell’Europa. L’Autunno del Medioevo uscì nel 1919 quando si era appena concluso il primo conflitto, La Civiltà olandese del Seicento nel 1941 quando l’Olanda era occupata dai tedeschi.
Huizinga ha scritto libri straordinari marcandoli con titoli indimenticabili (non so chi nel nostro secolo ne abbia trovato di altrettanto evocativi, pregnanti, impressionanti), come l’Autunno del Medioevo, Homo ludens, Nelle ombre del domani; ha restituito con una eccezionale felicità la civiltà fiammeggiante del Quattrocento borgognone e quella olandese del Seicento. I suoi interessi, le sue curiosità sono stati vastissimi; senza forzare, e molto in anticipo sui tempi, ha introdotto nel suo modo di fare storia una dimensione antropologica, ha esplorato con lievità ed eccezionale efficacia la storia delle mentalità e quella degli immaginari collettivi suscitando ammirazione e diffidenze tanto il suo metodo si rivelava impossibile da incasellare, da modellizzare, da riprodurre. «Je me méfie pas mal du ludique» scriveva il grande Marc Bloch un giorno che lo studioso olandese doveva aver proposto alle Annales qualcuno dei temi cui stava lavorando mentre preparava Homo ludens; del resto sulla ricezione della sua opera in Francia e sugli equivoci che hanno appannato il suo rapporto con le Annales, che pure potevano sembrare la sua ideale tribuna, aspettiamo di leggere lo studio di Els Naaijkens che ne ha già tratteggiato la fortuna italiana (in Incontri. Rivista di studi italo-neerlandesi 1990).
Nella sua ricerca Huizinga ha tentato, come nessun altro di integrare nella storia le testimonianze artistiche, le opere d’arte. Un bel libro di Francis Haskell, History and its Images, appena uscito dalle Yale University Press e dedicato al rapporto che gli storici hanno avuto con le immagini, termina con uno smagliante capitolo dove si esamina il rapporto che Huizinga ha avuto con le opere d’arte fin dai tempi della grande esposizione dei primitivi fiamminghi a Bruges nel 1902. Questa epifania dell’antica pittura settentrionale, ebbe per lui, per l’orizzonte e i modi della sua ricerca, un’importanza determinante come la prefazione all’Autunno del Medioevo avverte: «all’origine di quest’opera ci fu il desiderio di comprendere meglio l’arte dei Van Eyck e dei loro successori in stretto rapporto con la vita di quel tempo».
Le immagini lo avevano sempre affascinato, brioso disegnatore egli stesso (quando assai giovane insegnava in una scuola secondaria riusciva ad appassionare gli allievi alla storia disegnando alla lavagna) era stato amico e biografo del pittore Jan Veth e fraterno interlocutore – fino a che non intervenne una drammatica rottura causata da scelte politiche (la posizione liberale e antinazista di Huizinga è stata di assoluta coerenza) – di André Jolles, critico d’arte e letterato di rara acutezza su cui si vedano i bei saggi che Silvia Contarini sta pubblicando su Intersezioni.
Le sue opere principali sono state tradotte in italiano e alcune (il mitico Tramonto o Homo ludens) hanno avuto numerose edizioni. Esce ora da Einaudi, a cura di Wietse de Boer Le immagini della storia (Torino, Einaudi, 1993, pagg. 392. L. 65.000), un ampio volume di suoi scritti molti dei quali ancora inediti da noi. La raccolta si articola in due parti, La storia tra arte e scienza, la prima, che contiene gli interventi di più generale impegno metodologico, come la prolusione di Groningen del 1905 che si è appena ricordata, e Il compito della storia della cultura (da cui è tratto lo stralcio qui sopra riprodotto), un saggio pubblicato nel ‘29 e anch’esso inedito in Italia; Saggi di storia della cultura la seconda, che raccoglie contributi più specifici su singoli problemi e momenti, dall’amatissimo Quattrocento fiammingo a interventi sul concetto di Rinascimento (Il problema del Rinascimento e Rinascimento e Realismo, che in Italia erano già stati presentati in La mia via alla Storia, pubblicata nel 1967 da Laterza), al Sei e al Settecento olandesi e comprende tra l’altro quella Civiltà olandese del Seicento che già aveva avuto due edizioni da Einaudi.
La presenza delle opere d’arte in questi testi è continua – non meno di Jakob Burckhardt Huizinga era affascinato, stimolato e preoccupato dalle immagini – e nasce da una constatazione ripetuta a distanza di anni, il fatto cioè che diversamente dall’Ottocento, in cui la testimonianza del documento scritto predominava nella idea che si aveva del passato, il nostro secolo prediliga nel ricostruire la fisionomia di altre epoche i testi figurativi. Uno dei saggi qui raccolti, L’arte dei Van Eyck nella vita del loro tempo, un testo uscito nel 1916 che è un po’ il cuore dell’Autunno e che infatti, sarà ripreso negli ultimi capitoli del libro, inizia così: «Il tempo in cui ognuno si formava la propria idea di una civiltà attraverso la lettura sembra essere finito. Una volta il profano istruito usava rappresentarsi il Settecento leggendo diligentemente Voltaire, Diderot, Samuel Johnson e Pope. Quanti leggono ancora questi autori. Per molti la nozione di Rinascimento è diventata un principio di vita prezioso. Ma conosciamo ancora Tasso e Ariosto altrettanto bene il Leonardo e Michelangelo? Ai giorni nostri sono le arti figurative che presiedono al formarsi di simili rappresentazioni culturali. Il mezzo con cui si stabilisce la percezione è cambiato; l’organo della conoscenza storica si è fatto più visivo: il guardare ha preso il posto del leggere».
Molti anni dopo l’inizio della Civiltà olandese del Seicento suona non diversamente: «Se oggi si chiedesse all’uomo della strada, all’olandese munito di un minimo di interesse per la storia, cosa sa della civiltà del Seicento, con ogni probabilità si constaterebbe che il suo bagaglio di nozioni è costituito in prevalenza da impressioni suscitate in lui dalla pittura».
Il Quattrocento visto attraverso Van Eyck, Van der Weyden, Hugo Van der Goes, Dirk Bouts o Gerard David allora? Il Seicento letto nei paesaggi di Rusdael, o di Van Goyen, nei ritratti di Hals o in quelli Rembrandt? L’immagine che la pittura ci dà di un secolo può essere molto diversa da quella che ci propongono le testimonianze letterarie: «Una conseguenza di quel cambiamento è che la nostra immagine di quasi tutte le civiltà passate è diventata più serena di quanto lo fosse prima. Ciò è naturale. Nell’arte il gusto amaro delle epoche che l’hanno creata si volatilizza subito. L’arte non si lamenta mentre dalla letteratura che ripete senza posa l’afflizione per tutta la sofferenza del mondo traspare sempre una nota di dolore e di insoddisfazione». Il fatto che l’immagine di un’epoca possa apparire completamente differente a seconda del fatto che siano prese in considerazione testimonianze letterarie o figurative lo preoccupa e lo affascina, le dimensioni diverse che pitture e testi possono esplorare lo interessano al massimo grado, non fa che ripetere che in certe epoche la letteratura ha possibilità e capacità minori delle arti figurative, ma poi arriva a montare brani letterari, testi di storici o di cronisti, poesie, con tale maestria da concludere «il bagliore dorato e quieto del crepuscolo del medioevo non si sprigiona solo dalla pittura».
In realtà le testimonianze figurative da cui fu affascinato fino all’ultimo gli ponevano più di un problema di lettura. Non si trattava certo di introdurle nella storia con il ruolo di illustrazione, ma neanche di selezionarle e di gerarchizzarle attraverso la loro qualità estetica. Nella sua intelligente prefazione Wietse de Boer ricorda come Huizinga si sia opposto con forza a quella sorta di epurazione estetica dei musei portata avanti negli anni Venti in Olanda sostenendo che indipendentemente dalla loro qualità le opere figurative suscitavano immediatamente "sensazioni storiche".
Esplorare il campo delle immagini voleva dire penetrare in un tempo attraverso dimensioni nuove e diverse. Ma come interpretarne le testimonianze? In un saggio affascinante, una delle rivelazioni di questa raccolta, La fisionomia morale di Filippo il Buono (1932) di cui il curatore sottolinea a ragione l’importanza anche metodologica, Huizinga si pone la questione. Si tratta di delineare un profilo "morale" e che riguardi quindi anche il comportamento, le azioni o piuttosto il modo di agire di un grande personaggio della storia attraverso documenti di vario tipo. L’immagine del duca è rappresentata in due ritratti di cui esistono diversi esemplari che si riconducono a originali perduti di Roger Van der Weyden e in qualche miniatura. Di lui, d’altra parte, si hanno ritratti letterari, come quello dello storiografo di corte, Chastellain o quelli che ne danno altri contemporanei come Guillaume Fillastre, Jean Germain o Olivier de la Marche. Le due serie propongono testimonianze diverse: esplicite, eloquenti, enfatiche addirittura quelle letterarie, trattenute, laconiche ed enigmatiche quelle figurative. Fino a che punto si possono confrontare e integrare?
Ascoltiamo Huizinga che parla di Filippo il Buono: «...Lo ritroviamo, quest’uomo, quale lo descrivono gli scrittori, nell’opera del pittore? Possiamo leggere adesso in questo volto un po’ smorto il cui sguardo assente sembra perdersi nel vuoto, una parte almeno dei tratti così personali e marcati offerti dall’immagine letteraria? La domanda rimane senza risposta. Ci manca il metodo per sottoporre a verifica il confronto fra i due modi di espressione senza cadere in preda alla fantasia o alle frasi fatte. Ciò non vuol dire che un ritratto dipinto, persino in condizioni imperfette di conservazione, non ci sia di utilità incomparabile. In esso vediamo ciò che nessuna parola ci riveli né sappia rivelarci. Solo che il tipo di conoscenza introspettiva che risulta dall’immagine non si lascia ridurre a delle formule. Al massimo potremo lasciare che questa conoscenza estetica, destinata a rimanere inespressa, venga assorbita dall’altra che è esplicita e intellettuale».
Lo storico è un tecnico della parola e dello scritto, la loro decifrazione non gli pone problemi, altro è invece intendere le immagini, leggerle, capire perché secondo i tempi possano essere valutate tanto diversamente la scoperta della straordinaria grandezza di un pittore che precedentemente era guardato poco più che come oggetto di curiosità o di bizzarria, come Brueghel, comporta una nuova valutazione di un secolo, dichiara nella prolusione di Groningen, ma cosa significava che esso fosse stato riscoperto proprio in quel momento? E in che cosa questa rivalutazione cambiava l’idea di quel tempo?
Le opere d’arte ci parlano del tempo in cui furono fatte in modi particolari, facendoci penetrare in dimensioni che non avremmo potuto altrimenti conoscere, ma se ne deve intendere il posto e il ruolo nella vita del tempo. Non si intitola forse L’arte nella vita uno dei capitoli centrali del Tramonto.
E per capire il ruolo dell’arte e quello dell’artista di una cultura che si nutriva particolarmente di immagini e in cui, come ci viene insistentemente ripetuto, «l’arte era ancora strettamente connessa con la vita», è necessario uscire da una dimensione estetizzante e vedere come i confini e le categorie che oggi siamo abituati a porre non esistessero un tempo, o esistessero diversamente che la decorazione di una nave da battaglia, la preparazione di uno dei colossali entremets per i grandi banchetti ducali o la sistemazione di quella Disneyland del Quattrocento che fu il castello di Hesdin, non possono essere disgiunte dalle statue del Pozzo di Champmol di Claus Sluter, vale a dire da capolavori tra i più celebri del finire del medioevo. L’intervento degli artisti aveva luogo nei più diversi oggetti della vita quotidiana: una bandiera, un monile, un’acconciatura, un paramento da torneo non avevano minore importanza di una tavola dipinta. Infinite erano le occasioni che potevano scatenare la "suggestione storica". A ben rifletterci, capiremo meglio la battaglia contro l’epurazione dei musei: non bisogna inceppare la macchina del tempo, quella che permette di restituire il passato.
Jan Van Eyck, «Dio», particolare del pannello centrale della Pala di Gent. Gent, chiesa di San Bavone.
NOMI CITATI
- Annales d'histoire économique et sociale
- Ariosto, Ludovico
- Bloch, Marc
- Boer, Wietse de
- Bouts, Dieric
- Brueghel, Pieter il Vecchio
- Burckhardt, Jakob
- Chastellain, Georges
- Contarini, Silvia
- David, Gérard
- Diderot, Denis
- Einaudi
- Eyck, Hubert van
- Eyck, Jan van
- Filippo II, duca di Borgogna, [l’Ardito]
- Filippo III, duca di Borgogna [il Buono]
- Fillastre, Guillaume
- Germain, Jean
- Goes, Hugo Van der
- Goyen, Jan van
- Hals, Frans
- Haskell, Francis
- Huizinga, Johan
- Incontri. Rivista di studi italo-neerlandesi
- Intersezioni
- Johnson, Samuel
- Jolles, André
- La Marche, Olivier de
- Laterza
- Leonardo da Vinci
- Merlin, Antoine [Merlin de Thionville]
- Michelangelo
- Michelet, Jules
- Naaijkens, Els
- Pope, Alexander
- Rembrandt, Harmenszoon van Rijn
- Robespierre, Maximilien de
- Ruisdael, Jacob van
- Sluter, Claus
- Tasso, Torquato
- Veth, Jan
- Voltaire
- Weyden, Roger van der
- Yale University Press
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Bruges [Belgio]
o Provinciaal Hof
- Digione [Francia]
o Certosa di Champmol
- Gand [Belgio]
o Cattedrale di San Bavone
- Groningen [Paesi Bassi]
o Università di Groningen
- Haarlem [Paesi Bassi]
o Hogereburgerschool [HBS]
- Hesdin [Vieil-Hesdin, Francia]
o Castello di Hesdin
- Sluis [Paesi Bassi]
Collezione: Il Sole 24 Ore
Citazione: Enrico Castelnuovo, “L’arte di ascoltare i dipinti e le bandiere,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/10.