Gli sbalzi di lucchesia (dettagli)
Titolo: Gli sbalzi di lucchesia
Descrizione:
Recensione dell’opera: Oreficeria sacra a Lucca dal XIII al XV secolo, a c. di Clara Baracchini, Firenze, SPES, 1993, 2 voll.; trattasi del catalogo della mostra, tenutasi al Museo nazionale di Palazzo Mansi a Lucca, 19 gennaio-30 settembre 1990. A partire dalla campagna di schedatura delle opere, l’articolo si focalizza sulla ricostruzione del contesto culturale lucchese in cui sono state prodotte: i reciproci scambi tra differenti tecniche artistiche, la circolazione di modelli figurativi tra le città della Toscana, le committenze. Castelnuovo riconosce come fondamentali punti d’avvio degli studi sull’arte lucchese la Mostra d’Arte Sacra. Dal VI al XIX secolo (Lucca, Palazzo Ducale: giugno - settembre 1957) e le ricerche di Carlo Ludovico Ragghianti (Arte a Lucca. Spicilegio, «La Critica d’Arte», VII, 37, 1960, pp. 57-84; riedito in Studi lucchesi, a c. di Gigetta Dalli Regoli, s.l., Rugani edizioni d'arte, 1990).
Al patrimonio culturale lucchese Castelnuovo aveva già dedicato un articolo, incentrato sulla produzione tessile: A Lucca, capitale della seta, «La Stampa», 6 luglio 1989, p. 3 (recensione della mostra: La seta. Tesori di un’antica arte lucchese. Produzione tessile a Lucca dal XIII al XVII secolo (Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi: 16 giugno-30 settembre 1989), a c. di Donata Devoti, catalogo edito da Maria Pacini Fazzi).
Una copia dell’opera è presente nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte:
Il Sole 24 Ore, anno 129, n. 194, p. 27
Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1993-07-18
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Sole 24 Ore» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Sole_8
Testo:
«Il Sole 24 Ore» – Domenica 18 luglio 1993, n. 194, p. 27
TOSCANA AUREA
Il catalogo delle oreficerie sacre prodotte a Lucca dal XIII al XV secolo
Gli sbalzi di Lucchesia
di Enrico Castelnuovo
«Ho visto spesso un gatto senza sorriso, ma difficilmente un sorriso senza gatto», erano queste, più o meno, le parole di Alice di fronte al ghigno del Cheshire cat che rimaneva nell’aria anche quando il gatto era sparito. E questa nuova, bella e utilissima pubblicazione della Spes Oreficeria sacra a Lucca dal XIII al XV secolo è un po’ «a grin without a cat», un sorriso senza gatto, ossia il catalogo di una mostra che esce quando la mostra è da tempo finita. La mostra, una di quelle eccellenti ricognizioni in cui con molto merito si cimenta da anni la Soprintendenza di Pisa, era stata aperta nel 1990; ora a cura di Clara Baracchini, ne esce il catalogo, ma che catalogo! Un repertorio abbondantemente e splendidamente illustrato, un manuale didatticamente assai efficace (si vedano i contributi sulle tecniche dell’eccellente restauratore Giovanni Morigi) un’indispensabile opera di riferimento, un corpus in due volumi di oltre ottocento pagine, una compiuta ricognizione di quanto è rimasto della grande stagione dell’oreficeria medievale lucchese.
Nella geografia artistica dell’Italia medievale Lucca è un nome di grandissima suggestione, ma fino a ieri (le ricerche lucchesi si sono moltiplicate negli ultimi anni) un poco velato di mistero. Rispetto alla situazione di altri centri artistici toscani come Pisa o Siena molti fatti e dati sono rimasti per gran tempo oscuri e controversi; la straordinaria produzione artistica per cui era nota in tutt’Europa, quella delle sete, dei panni lucenses, è andata dispersa in mille luoghi, sì che a pena se ne ritrova traccia in loco (nuova luce vi hanno gettato le ricerche di Donata Devoti e la mostra del 1989), molte vicende della scultura e della pittura sono rimaste fino a poco tempo fa assai annebbiate. Quanto all’oreficeria se si sapeva che in città avevano lavorato numerosi maestri marcando le loro produzioni con il punzone della pantera, insegna tradizionale della città, se i nomi di un certo numero di orafi erano emersi dai documenti grazie alla ricerca degli eruditi ottocenteschi (oggi nuovi importanti ritrovamenti d’archivio sono stati pubblicati nel volume Orafi medioevali di Graziano Concioni, Claudio Ferri, Giuseppe Ghilarducci, Lucca 1991), poco si conosceva delle dimensioni del patrimonio di opere giunte sino a noi, poco era stato fatto per caratterizzare queste opere e i loro produttori, dopo che nel 1960 Carlo Ludovico Ragghianti, riandando ad alcuni problemi medievali lucchesi in occasione della mostra d’arte sacra del 1957 che aveva aperto uno spiraglio sulle ricchezze artistiche della diocesi, aveva dato in proposito (si legga il saggio ripubblicato nei recenti Studi Lucchesi) indicazioni significative.
La posizione privilegiata dell’orafo tra gli artisti medievali (alcuni dei massimi artisti di questo periodo furono orafi, si pensi a Vuolvinio, a Nicolas de Verdun, a Godefroy de Huy), la sua cultura (si ricordi lo straordinario scambio di lettere avvenuto nel XII secolo tra Godefroy de Huy e il suo committente l’abate Wibaldo di Stavelot in cui la competenza letteraria dell’artista si rivela non minore di quella del suo dotto corrispondente) è fuori discussione. Dalla storia di Sant’Eligio, orafo leggendario che diviene vescovo delle massime diocesi francesi e consigliere del re Dagoberto, a quelle di Filippo Brunelleschi iniziatore di tempi nuovi, iscritto alla matricola degli orafi fiorentini che superbamente esibisce questa appartenenza nei confronti dell’arte dei maestri di pietra, la storia dell’oreficeria medievale è una storia che si dipana ad altissima quota. Autentica arte pilota essa per molti secoli domina il panorama artistico. E tuttavia se l’oreficeria fu un’arte preziosa, straordinariamente apprezzata per il pregio dei suoi materiali, per le capacità di coloro che li lavoravano, i suoi prodotti sono stati esposti a mille rischi, non ultimo quello della fusione attuata per recuperare i preziosi metalli da parte di chi, dimenticando l’antico topos «materiam superabat opus», era spinto da un’urgentissima necessità finanziaria. Il caso dell’orafo Gusmin di Colonia, che vide un suo capolavoro disfatto dal committente, il Duca d’Angiò, per bisogno di denaro e che per ciò abbandonò la propria attività e la vita secolare, è emblematico; ma anche gli inventari del Duomo di Lucca mostrano che alla fine del Quattrocento, dopo un secolo di guerre con i fiorentini e di urgenze economiche, non si trova più traccia delle preziose croci rammentate dagli inventari trecenteschi ed è davvero eccezionale che un così gran numero di oggetti abbia potuto ancora sopravvivere nel territorio della diocesi di Lucca.
Il catalogo conta oltre duecento numeri che si scalano dal XIII al XVI secolo. Comprende calici, reliquiari, ostensori, fregi, turiboli e una rara cintura trecentesca ornata di smalti, offerta-preghiera di una devota al corpo di Santa Zita, recentemente pubblicata da Romano Silva su «Arte Medievale», ma i pezzi di gran lunga prevalenti sono le croci, stazionali e astili, e particolarmente queste ultime. Si tratta delle croci che innestate sopra un’asta venivano portate in processione e che ogni pieve, ogni cappella cercava di avere. Il fatto che la chiesa di un piccolo borgo come Trassilico in Garfagnana abbia potuto procurarsi nel primo Trecento, pochi anni dopo essersi liberato mediante una pesante transazione finanziaria da ogni residua servitù feudale nei confronti dei nobili Porcaresi, una splendida croce con smalti senesi di superba qualità è rivelatore della diffusione di questi tipi di oggetti e del prestigio materiale e simbolico di cui dovettero godere. Si tratta di oggetti semplici, ma suntuosamente lavorati, fatti di lamine di argento, di rame o di rame argentato che ricoprono un’anima di legno, con gli elementi in rilievo sbalzati e, più tardi, a partire dal ‘400, fusi. Sono generalmente ornati sulle due facce, da una parte con il Cristo crocifisso, accompagnato, nei tabelloni terminali del braccio orizzontale, dai busti di Maria e Giovanni e su quello verticale da busti di angeli, o da quello del Padre, dal pellicano che si squarcia il petto per dar da bere il proprio sangue ai piccoli, o ancora da busti di santi, al verso su l’Eterno in trono, o l’Agnus Dei, la Vergine o un santo e, nei tabelloni, dalle figure o dagli emblemi dei quattro evangelisti. Questa semplice tipologia si prolunga per secoli con alcune variazioni di impaginazione, di fattura, di tecnica, di disegno, con l’introduzione nei terminali di placchette di smalto translucido al posto delle figure sbalzate, ma nella sua apparente monotonia si apre a una straordinaria varietà di esiti.
Le opere sono state pazientemente reperite in tutto il territorio della diocesi di Lucca. Il catalogo nasce infatti da una attenta ricognizione attuata a partire dal 1978, da un ampio e capillare lavoro di scavo e di censimento che ha permesso (attraverso scoperte importanti come quelle, per non citarne che alcune, delle croci di Lupinaia e di Lucchio, episodi altissimi dell’oreficeria toscana tra Due e Trecento) di ricostruire serie di cui rimangono appena alcuni elementi casualmente sopravvissuti, di riannodare catene di cui restano pochi e sparsi anelli. Nella lamentevole situazione in cui verte, nel nostro Paese, la pubblicazione dell’inventario dei beni artistici, iniziative di questo genere sono particolarmente meritorie, e sono compensate sia dalla scoperta di opere ignote, talora di grande importanza, sia dal riapparire a tratti del tessuto connettivo che originariamente le legava tra loro, un tessuto di cui le trame e l’ordito erano stati gravemente menomati e minacciati di radicale disparizione.
L’intento degli autori – accanto a Clara Baracchini sono Antonella Capitanio, Teresa Filieri, Severina Russo – è stato, d’altra parte, di togliere le opere da una situazione di isolamento, dal ghetto della specificità. Si son voluti saggiare i rapporti tra orafi, scultori e pittori; le opere non sono state lette solo all’interno di una storia esclusiva dell’oreficeria, ma hanno cercato e trovato confronto con i prodotti di altre tecniche, la scultura, la pittura. I contatti degli orafi con artisti attivi in altri campi, i loro interventi in prima persona in altre tecniche rimangono in effetti punti da approfondire che compartimentazioni troppo rigide hanno spesso eluso. I problemi della cultura visiva degli orafi, della loro attenzione a quanto accadeva in altri campi, del loro dialogare con i più novatori tra gli artisti contemporanei sono qui posti in primo piano con positivi risultati.
Molto rimane ancora oscuro in questo campo finora non particolarmente arato e varrà la pena di rievocare un caso che dà da riflettere. Nel settembre del 1352, ad Avignone, il pittore dei papi, Matteo Giovannetti, ricevette un pagamento per un quadernetto contenente ventotto storie di San Roberto da lui disegnate per essere mandate a Parigi per la cassa argentea del santo. Si trattava di una cassa-reliquiario ordinata a orafi parigini per l’abbazia di Saint-Robert alla Chaise-Dieu, il monastero benedettino dell’Alvernia dove papa Clemente VI aveva studiato in gioventù e che giunto al soglio pontificio volle suntuosamente trasformare. È questa una delle rarissime testimonianze, ma certo altre se ne potrebbero trovare, di un contatto diretto tra un pittore e un orafo operosi nel Trecento in luoghi molto lontani tra loro. Se in questo caso è il pittore che con i suoi disegni propone modelli all’orafo in altri la direzione si inverte, e l’orafo dà disegni per vetrate, per sculture o per architetture. Su questo continuo interscambio varrà la pena di indagare ancora ed è appunto ciò che, tra l’altro, si propone questo catalogo.
Si mettono qui in evidenza i rapporti tra il Cristo della croce di Casoli, presso Bagni di Lucca, e le pitture di Giunta Pisano, quelli delle bellissime immagini della croce di Lupinaia con Cimabue e con Nicola, quelli delle croci di Convalle e di Lucchio, probabili opere di Andrea di Jacopo di Ognabene primo autore dell’altare di Pistoia, con Nicola e Giovanni Pisano, e poi si illustrano via via i forti nessi che uniscono certi prodotti lucchesi a opere senesi contemporanee (croce di San Colombano 1330 circa) o a modelli pisani (impressionanti le somiglianze con opere delle botteghe di Nino e di Andrea). Orafi pisani (Lotto di Ser Giovanni Bertalotti che nella croce di Pontremoli appare stregato da Buffalmacco) senesi e lombardo-emiliani (Vincenzo di Michele da Piacenza, un appassionato genio dell’autunno del Medioevo, autore verso il 1411 della suntuosa «Croce dei Pisani» per il signore di Lucca Paolo Guinigi) operarono in Lucchesia o vi mandarono opere, si aggiunga a ciò la fitta circolazione e la massiccia importazione delle placchette di smalto che venivano montate su croci e calici. Si è di fronte a un intrecciarsi di modelli, di botteghe, di prodotti, a rapporti fittissimi con Pisa, Pistoia, Siena, Firenze. Caratteri più marcatamente ed esplicitamente lucchesi appariranno nella seconda metà del secolo, in opere dove è evidente il rapporto con i dipinti del bel pittore cittadino Angelo Puccinelli e più ancora nel corso del Quattrocento e sul suo declinare in quella “estate indiana” della grande oreficeria lucchese dominata dall’astro di Francesco Marti (illustrato anni fa su «Paragone» da Maurizia Tazartes nel panorama toscano la temperie e la cultura artistica lucchesi restano difficili da definire. Tutto ci parla di una committenza ricca e diffusa, di una città aperta e disposta, di artisti in sapiente e calcolato equilibrio tra proposte e modelli differenti, di un luogo di incontro che, nella sua riservatezza, ha saputo conservare una parte importante delle opere che vi furono prodotte, e che da poco scopriamo.
Av.Vv. «Oreficeria sacra a Lucca dal XIII al XV secolo», a cura di Clara Baracchini, Firenze, Spes, 1993, 2 tomi, pagg. 800, s.i.p.
Francesco Marti, «Pastorale» in argento parzialmente dorato, 1492 ca, Lucca, Cattedrale. A destra particolare del ricciolo / Due esempi di affinità tra oreficeria, pittura e scultura: a sinistra un particolare della «Croce dei Pisani» (Lucca, Cattedrale, 1411) confrontata con una tavola di Giovanni da Modena conservata a Bologna (Pinacoteca Nazionale). A destra una croce del XIII secolo (da Lupinaia) messa a relazione con un particolare del pergamo del Battistero di Pisa, opera di Nicola Pisano.
NOMI CITATI
- Andrea di Jacopo d’Ognabene
- Andrea Pisano
- Arte Medievale
- Baracchini, Clara
- Bertalotti, Lotto di Ser Giovanni
- Brunelleschi, Filippo
- Buffalmacco, Buonamico
- Capitanio, Antonella
- Cimabue
- Clemente VI, papa [Bernard Guillemain Pierre Roger]
- Concioni, Graziano
- Dagoberto, re dei Franchi
- Devoti, Donata
- Eligio, santo
- Ferri, Claudio
- Filieri, Teresa
- Ghilarducci, Giuseppe
- Giovannetti, Matteo
- Giovanni da Modena
- Giovanni Pisano
- Giunta Pisano
- Godefroy de Huy
- Guinigi, Paolo
- Gusmin di Colonia
- Marti, Francesco
- Morigi, Giovanni
- Nicola Pisano
- Nicolaus de Verdun
- Nino Pisano
- Paragone
- Puccinelli, Angelo
- Ragghianti, Carlo Ludovico
- Russo, Severina
- Silva, Romano
- Soprintendenza di Pisa [Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno]
- SPES
- Tazartes, Maurizia
- Vincenzo di Michele da Piacenza
- Vuolvinius
- Wibald di Stavelot
- Zita di Lucca, santa
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Alvernia [Francia]
- Avignone [Francia]
- Bologna
o Pinacoteca Nazionale di Bologna
- Casoli [Bagni di Lucca, Lucca]
- Convalle [Pescaglia, Lucca]
- Firenze
- Garfagnana
- La Chaise-Dieu [Francia]
o Abbazia de La Chaise-Dieu
- Lucca
o Cattedrale di San Martino
o Complesso Museale e Archeologico della Cattedrale di Lucca
- Lucchesia
- Lucchio [Bagni di Lucca, Lucca]
- Lupinaia [Fosciandora, Lucca]
- Parigi [Francia]
- Pisa
o Battistero di San Giovanni
- Pistoia
o Cattedrale di San Zeno
- Pontremoli [Massa e Carrara]
- San Colombano [Capannori, Lucca]
- Siena
- Toscana
- Trassilico [Gallicano, Lucca]
Collezione: Il Sole 24 Ore
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Gli sbalzi di lucchesia,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/9.