Le prodezze dello "sculptor Benedictus" (dettagli)
Titolo: Le prodezze dello "sculptor Benedictus"
Descrizione:
Recensione dell’opera: Benedetto Antelami e il Battistero di Parma, a c. di Chiara Frugoni, Torino, Einaudi, 1995. Castelnuovo aveva già presentato il restauro del Battistero, diretto da Bruno Zanardi, sulle pagine de «Il Sole 24 Ore» nel 1993.
Una copia dell’opera è presente nel fondo librario dell’autore, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: Il Sole 24 Ore, anno 132, n. 27, p. 34
Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2024)
Data: 1996-01-28
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione:
Formato: application/pdf
Identificatore: Sole_27
Testo:
«Il Sole 24 Ore» – Domenica 28 gennaio 1996, n. 27, p. 34
SCAFFALART
Un nuovo volume dedicato al Battistero di Parma e al suo grande artefice: Benedetto Antelami
Le prodezze dello «sculptor Benedictus»
di Enrico Castelnuovo
Il Battistero di Parma per la sua bellezza, la novità della sua struttura, la ricchezza, la complessità e la diversità della sua decorazione è uno dei più straordinari monumenti dell’Italia dei Comuni. E in qualche modo uno dei più enigmatici. Perché mai alla estrema fine del dodicesimo secolo, quando oramai il battesimo veniva generalmente impartito all’interno delle chiese, si decise di collocare la vasca battesimale fuori del Duomo e di costruire un edificio monumentale rivestito di marmi preziosi e senza dubbio costosissimo? Perché dotarlo di tre portali decorati con elaboratissimi programmi scultorei di grande ricchezza e complessità quando finora questo tipo di impianto era stato riservato alle cattedrali e alle grandi chiese abbaziali? Una risposta a queste domande va cercata nell’alto livello delle aspirazioni che i cittadini riversarono nell’impresa, nel valore civico che vi attribuirono scorgendo nell’edificio ove attraverso il battesimo si nasce a nuova vita il tempio e il luogo di una comune identità, ospitandovi così anche le prede di guerra, i cimeli conquistati in battaglia e mostrandosi tanto coscienti e fieri della sua grande bellezza e della sua singolarità da decidere, nel 1262, otto anni dopo la consacrazione, di abbattere alcune case a esso prossime di modo che opus Baptisterii possit videri.
A qualche anno di distanza dal compimento del restauro dell’edificio e dalla pubblicazione dei due volumi promossi dalla Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza ed editi da Franco Maria Ricci esce ora da Einaudi Benedetto Antelami e il Battistero di Parma a cura di Chiara Frugoni. Esso si articola in un gruppo di eccellenti saggi, oltre che della medesima curatrice (che parla delle sculture all’interno del Battistero), di Willibald Sauerlaender che si occupa dell’Antelami, di Albert Dietl che chiarisce il programma delle sculture esterne e le sue funzioni iniziatiche e ammonitrici, di Saverio Lomartire che traccia un profilo estremamente articolato dell’architettura del Battistero integrando in modo esemplare la storia degli studi e degli interventi all’analisi diretta dell’edificio.
Il formato quadrato, un po’ particolare che distingue questo volume dagli altri saggi Einaudi lo apparenta alla Colonna Traiana di Settis, ai Sassi di Matera di Restucci-Dell’Aquila, a quei Saggi cioè in cui il discorso delle immagini ha, accanto alla parola scritta, un rilievo particolare, ed è così anche in questo caso dove duecento illustrazioni a colori e oltre cento in bianco e nero, mostrano, documentano e argomentano il monumento cui l’ultima campagna di restauro ha restituito la smagliante policromia, quella materia rutilans et forma solemnis di cui sulla fine del Duecento parlava il cardinale Gherardo Bianchi. I testi e le immagini vengono a comporre così non tanto o non solo un libro bello da vedere e da sfogliare, ma un saggio di grande spessore critico, molto concreto e leggibile, dove storia e storia dell’arte si incrociano e si compongono. Ma i problemi affrontati in questo libro non riguardano solo il Battistero. È un libro su un monumento ma anche su un grandissimo scultore e costruttore del Medioevo: Benedetto Antelami.
Il suo nome è riportato due volte nei monumenti medievali più illustri di Parma, il Duomo e il Battistero. Una prima volta su una lastra con la Deposizione della Croce in cattedrale da una iscrizione che, accanto alla data 1178 ne specifica l’autore: Antelami dictus sculptor fuit hic Benedictus, una seconda volta in Battistero da un asciutto distico sul portale della Vergine: Bis binis demptis annis de mille ducentis/Incipt dictus opus hoc scultor Benedictus (tolti due volte due anni da milleduecento cominciò quest’opera lo scultore Benedictus).
Sulla base di queste due firme, dei circa venti anni trascorsi tra di esse, delle differenze stilistiche tra la lastra e le sculture del Battistero (che compongono un insieme anch’esso all’interno assai diversificato), della presenza in altri luoghi (Fidenza, Vercelli, Milano) di opere che possono mostrare rapporti con quelle firmate, delle consonanze che sculture provenzali o della Francia del Nord sono sembrate manifestare quali con la lastra, quali con le sculture del Battistero, si è venuti a costituire un corpus delle opere dello sculptor Benedictus, a discuterne autografia e collaborazioni, e, ispirandosi al modello dell’artista moderno in cerca di aggiornamento nei centri dell’avanguardia, a immaginare un percorso che lo avrebbe portato in giovinezza nel cantiere di Saint Trophime di Arles, poi, più tardi, nei cantieri delle cattedrali dell’Ile de France.
Willibald Sauerlaender di cui questo volume contiene un saggio lucidissimo e pieno di idee traccia un bilancio critico di questa vicenda ne mostra i punti deboli, introduce nuovi elementi di discussione e avanza delle importanti proposte di metodo. Questa prima fra tutte: «... nella scultura romanica non si deve distinguere solo tra stili, maestri e mani diverse, ma anche fra compiti, generi e livelli linguistici diversi» (p. 35). Ciò comporta che differenze tra opere possano discendere non tanto da interventi di mani diverse quanto, analogamente a quanto avveniva in letteratura, dalla variazione dei modi e dei livelli linguistici dettati dalle funzioni, dai temi e dai soggetti. Così per esempio la lastra con la Deposizione, proveniente dalla decorazione di un pulpito, di un altare o di un pontile, era trattata con la sottigliezza, la raffinatezza e la ricchezza di un’opera di oreficeria – l’ars sacra per eccellenza del medioevo – e certe differenze tra essa e le sculture dei portali del Battistero si possano spiegare a partire dalla diversità dei compiti a esse affidate. Un criterio di lettura, quello dei compiti, delle Aufgaben care a Jakob Burckhardt, poco preso in considerazione dagli storici dell’arte. Eppure: «Sulle sculture del Battistero sono osservabili livelli linguistici mutevoli a seconda delle tematiche, vale a dire a seconda che si tratti di angeli, re biblici, leggende profane, mostri o immagini di calendario» (p. 47).
Un altro prezioso avvertimento esce da queste pagine, ed è quello di non leggere in astratto – secondo un’idea generale dell’iconografia dei portali medievali – i programmi delle tre grandi porte, ma di intenderli tenendo conto della loro collocazione e della loro funzione originaria. Si tratterà dunque di decifrare il programma della porta settentrionale, la porta della Vergine, rivolta verso la cattedrale che aveva appunto il titolo di Santa Maria, tenendo presente che questa era la porta principale per la quale il sabato di Pasqua e il giorno di Pentecoste entrava il vescovo alla testa di una solenne processione per impartire il Battesimo. Sarà quindi comprensibile che presenti nella lunetta la Madonna con il Bambino al centro dell’Adorazione dei Magi incorniciata da una corona di Profeti e Apostoli e negli stipiti l’albero di Jesse e quello delle dodici tribù di Israele allusivi alla genealogia della Vergine e all’incarnarsi di Cristo mentre nell’architrave le storie di San Giovanni Battista si riferiscono al titolare del sacro edificio. Di fronte al portale riservato al vescovo e ai sacerdoti che impartivano il battesimo si apre, sul lato della città, il portale per i battezzandi e questo è estremamente più semplice senza stipiti scolpiti e porta nella lunetta, la leggenda di Barlaam e Josaphat una metafora della vita e un’esortazione – diretta appunto ai battezzandi – a non trascorrerla cedendo agli allettamenti terreni. Un terzo portale, sul lato occidentale si apriva verisimilmente su un’area cimiteriale e comporta nella lunetta Cristo Giudice, nell’architrave i giusti e i reprobi resuscitati al momento del Giudizio, negli stipiti le sei opere di Misericordia e le sei età dell’uomo quali appaiono nella parabola dei vignaiuoli. Tenendo conto di questi contesti funzionali e topografici è possibile comprendere l’articolarsi dei programmi assai complessi dei portali dove vita, morte, condanna e salvezza si intrecciano tanto strettamente.
Altro punto di discussione, la presenza di precise influenze di opere francesi nell’opera dell’Antelami. Sauerlaender pur riconoscendo riferimenti alla facciata della chiesa di pellegrinaggio di Saint-Gilles in quella straordinaria opera antelamica che è la facciata del San Donnino di Fidenza – cui dedica alcune pagine esemplari – contesta l’abitudine abbastanza generalizzata di voler riconoscere di continuo e un po’ dovunque nel corpus antelamicum riferimenti precisi a opere francesi e invita da una parte a distinguere quelli che si rivelano essere meri aspetti del costume e della moda dalle vere e proprie analogie stilistiche, dall’altra a scorgere i tratti che legano Antelami alla tradizione romanica emiliana e al suo tanto peculiare realismo.
Chiude questo libro eccellente e ben argomentato un intervento di Bruno Zanardi che tratta di alcuni fatti, di alcuni chiarimenti e di alcune scoperte emerse durante l’ultima (1986-1992) campagna di restauro quel restauro che sarebbe bene una volta per tutte discutere seriamente in sede opportuna e con argomentazioni scientifiche e non in modo necessariamente ridotto, parziale o addirittura fazioso sulle colonne dei quotidiani o, fatto ancor più singolare, nei palazzi di giustizia. C’è da chiedersi come fa Saverio Lomartire nel suo bel saggio «se mai valga ancora la norma che nel Duecento vietava, in prossimità del Battistero di tirarsi per i capelli o prendersi a schiaffi, “trahere capillos vel alapam daret”».
«Benedetto Antelami e il Battistero di Parma», a cura di Chiara Frugoni, Einaudi, Torino 1995, pagg. XXII+294, L. 200.000.
Il Battistero di Parma. Sotto, l’interno del Battistero con i «Mesi» antelamici
NOMI CITATI
- Antelami, Benedetto
- Burckhardt, Jacob
- Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza [Crédit Agricole Italia]
- Dell’Aquila, Pino
- Dietl, Albert
- Einaudi
- Franco Maria Ricci
- Frugoni, Chiara
- Gerardo Bianchi [Gerardus Blancus]
- Lomartire, Saverio
- Restucci, Amerigo
- Sauerländer, Willibald
- Settis, Salvatore
- Zanardi, Bruno
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Arles [Francia]
o Cattedrale di Saint-Trophime
- Fidenza [Parma]
o Cattedrale di San Donnino [Duomo]
- Île-de-France [Francia]
- Milano
- Parma
o Battistero di San Giovanni Battista [Parma]
o Cattedrale di Santa Maria Assunta [Duomo]
- Saint-Gilles [Francia]
o Abbazia di Saint-Gilles
- Vercelli
Collezione: Il Sole 24 Ore
Etichette: _RECENSIONE (pubblicazione), Arte XII secolo
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Le prodezze dello "sculptor Benedictus",” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/126.