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Titolo: La crème delle icone russe

Descrizione: Castelnuovo offre un'introduzione alla produzione e alla ricezione delle icone in Russia e nell’Europa occidentale, in occasione della mostra promossa dal Banco Ambrosiano Veneto: L’immagine dello spirito. Icone dalle terre russe (Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 1° settembre-1° dicembre 1996), a c. di Carlo Pirovano, catalogo Electa. Nella stessa pagina interviene anche Vittore Branca, presidente della Fondazione Giorgio Cini, ed è offerto uno stralcio del contributo di Engelina Smirnova, tratto dal catalogo (Le icone russe della collezione del Banco Ambrosiano Veneto). Sul tema tornerà in occasione della recensione della mostra Icônes russes. Galerie Tretiakov, presentata sul quotidiano nel dicembre 1997.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: Il Sole 24 Ore, anno 132, n. 232, p. 24

Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2024)

Data: 1996-08-25

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Sole 24 Ore» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Sole_32

Testo: «Il Sole 24 Ore» – Domenica 25 agosto 1996, n. 232, p. 24



VENEZIA/ FONDAZIONE CINI

La crème delle icone russe



Dal 1° settembre al 1° dicembre prossimo la Fondazione Giorgio Cini di Venezia ospita una grande mostra dedicata alle icone russe di proprietà del Banco Ambroveneto. Intitolata «L’Immagine dello Spirito», la rassegna veneziana rappresenta un’occasione privilegiata di ammirare una selezione di 120 icone provenienti dalla collezione bancaria vicentina, la quale possedendo ben 400 opere del genere è ritenuta la più importante raccolta di icone russe fuori dalla Russia. Un comitato internazionale di esperti presieduto da Carlo Pirovano (vi fanno parte E. Smirnova, T. Tsarevskaja, E. Haustein-Bartsch, J. Lindsay Opie, A. Ryndina, G. Klokova, G. Basile) ha operato la scelta delle opere da studiare, restaurare e presentare tenendo presenti due obiettivi prioritari: quello di far ammirare al pubblico solo opere di altissima qualità (di rara visione fuori dai musei russi) e quello di offrire un quadro cronologico della produzione delle icone che fosse il più vasto possibile, facendolo spaziare dal XIII al XIX secolo. Per presentare sulle nostre pagine questa singolare esposizione – che calza con gli interessi della Fondazione Cini in quanto esalta i legami culturali tra Venezia e l’Oriente, e che l’Ambroveneto ha organizzato per festeggiare il suo primo centenario di attività – abbiamo invitato tre illustri studiosi: Enrico Castelnuovo, che traccia nel suo articolo un profilo storico della produzione delle icone russe; Engelina Smirnova, che è autrice di un saggio del catalogo Electa, dal quale abbiamo tratto (per gentile concessione) un breve stralcio sulla rivalutazione delle icone nel nostro secolo. E infine Vittore Branca, presidente della Fondazione Cini, che ha voluto sottolineare il legame tra le icone russe e la lunga attenzione alla storia della pietà riservata dalla Fondazione fin dagli anni 50, attraverso incontri, convegni e pubblicazioni. Al termine della rassegna alla Cini (aperta tutti i giorni tranne il lunedì dalle ore 10 alle ore 18), le icone dell’Ambroveneto verranno esposte a Vicenza in Palazzo Leoni Montanari, che diventerà così il primo «museo bancario» italiano aperto regolarmente al pubblico. (M. Car.)

«I russi non sospettano neppure quali tesori artistici possiedono. Ho già avuto agio di esaminare a Mosca la collezione Ostrouchov... E ovunque la stessa brillantezza, la manifestazione di un fortissimo sentimento. I vostri studenti hanno qui, in casa propria dei modelli artistici... infinitamente superiori a quelli degli altri Paesi. I pittori francesi devono andare a studiare in Russia, in questo campo l’Italia offre meno». Così nell’ottobre del 1911 Henri Matisse, che stava istallando nella casa moscovita di Sergei Scukin la Dance e la Musique, indicava a modello ai giovani artisti le icone russe. Negli stessi giorni Ostruchov scriveva al direttore dell’Ermitage: «C’è qui Matisse tutto sconvolto dalla pittura delle icone, ci perde la testa e passa con me giorni interi a correre per conventi, chiese e collezioni». Più tardi sarà il pittore stesso a dichiarare a Gaston Diehl: «La rivelazione mi è venuta sempre dall’Oriente... è davanti alle icone di Mosca che ho compreso la pittura bizantina».
Come quelle serbe e bulgare, le icone russe derivano nei loro soggetti e nei loro modi da quelle bizantine. Opere e artisti provenienti da Costantinopoli erano arrivati in Russia e avevano avuto un ruolo importante, un esempio famoso è quello di Teofane il greco che negli anni settanta del Trecento giunse a Novgorod dove affrescò la chiesa della Trasfigurazione. La Russia fu il solo dei Paesi slavi che mantenne la sua indipendenza e non cadde sotto il giogo turco e proprio il Quattrocento, il secolo della caduta di Costantinopoli e dell’avanzata turca nei Balcani, fu un’età felice per l’arte dell’antica Russia le cui icone, meno aristocratiche e austere di quelle bizantine, sono in diretto rapporto con una religiosità strettamente legata alla vita attiva. Le grandi icone russe sono oggi nella massima parte conservate nei musei e nelle collezioni della Russia, in particolare la galleria Tret’jakov di Mosca e il Museo Russo di San Pietroburgo. Era stato Ivan il Terribile per primo che nel Cinquecento aveva tentato, sottraendole a chiese e monasteri, di concentrare nella capitale le icone più importanti e più celebri, non certo per aprire un museo ma per poter controllare l’uso di immagini venerate a cui si attribuivano grandi poteri.
Alla fondazione Cini si apre il 1° settembre una mostra di icone russe della collezione del Banco Ambroveneto. Le opere esposte, un centinaio, e altre che come queste facevano parte di una amplissima raccolta, riunita da un entusiasta collezionista, saranno presentate a mostra finita in una apposita e permanente sistemazione a Vicenza presso la sede della banca. E questa – con il museo delle icone di Recklinghausen in Renania – sarà la più importante raccolta pubblica di icone russe al di fuori della Russia.
La mostra veneziana è di grande interesse sia per le opere che presenta – un raro e affascinante gruppo di antiche icone di Novgorod, assai rare al di fuori della Russia e una ricca e variata selezione di icone più recenti, dal Sei all’Ottocento – sia per il modo in cui esse sono state studiate e pubblicate nel catalogo. Lodevole da questo punto di vista il modo con cui sono state affrontate le icone più recenti il cui studio era stato trascurato. La vicenda delle icone russe non si arresta infatti alla fine del Seicento anche se a partire dai tempi di Pietro il Grande si venne a creare uno iato tra la pittura cittadina e ufficiale orientata verso i modelli occidentali e quella contadina e popolare, e la mostra permette di esplorare questo mondo sconosciuto. Quanto al catalogo, curato da una équipe internazionale, offre ottime schede e approfondimenti insoliti, per citarne solo alcuni, sui restauri a cui le opere sono state sottoposte (una buona indagine sulla storia dei restauri è un prezioso capitolo di una storia della critica e della fortuna), sulle icone nell’Ottocento e sulle rize, le preziose coperture argentee delle icone che sono spesso autentici capolavori di oreficeria.
Nel corso dell’Ottocento era avvenuta la riscoperta delle antiche icone russe. È un capitolo che dovrebbe rientrare nella vicenda del “gusto dei primitivi” ed essere integrato in una più vasta storia del fenomeno che non comprenda solo l’occidente e che tenga conto del fatto che anche Goethe si interessò alle icone russe. In qualche modo si possono paragonare le ricerche ottocentesche russe sulle icone a quelle promosse dai romantici del Nord sulle antiche pitture fiamminghe e tedesche in cui venivano ricercate testimonianze di una cultura nazionale e di una autentica religiosità. Alle antiche icone russe ci si avvicinava per una quantità di ragioni più vasta e variata e in qualche modo più impellente e più coinvolgente – perché proiettata sul presente – di quanto non avvenisse tra i cultori dei primitivi d’occidente. Alle antiche icone venivano infatti attribuiti significati, valori e attualità assai differenti di quanto poteva avvenire a un fondo d’oro toscano o a una tavola della scuola di Colonia. I Vecchi Credenti – membri di una tendenza religiosa tradizionalista che non aveva mai accettato le novità introdotte nel culto dal patriarca di Mosca Nikon nel XVII secolo e che si era così separata dalla chiesa ufficiale – erano spinti ad accostarle e a ricercarle nel loro sforzo verso una radicale restaurazione che recuperasse le antiche forme dell’ortodossia e i valori della tradizione e, attraverso la ricerca che ne facevano, testimoniavano del loro amore per gli antichi tempi della patria; un celebre racconto di Leskov, l’Angelo Sigillato, (1873) introduce a questo mondo a parte, e agli estimatori e raccoglitori di icone che si trovavano tra di loro. Altri facevano delle antiche icone russe i vessilli di un panslavismo culturale e politico, cercavano nelle icone un ideale etico e vedevano in esse la vivente incarnazione della religiosità popolare, altri ancora ne erano attirati per ragioni formali, per un apprezzamento estetico. Nacquero sullo scorcio del secolo le prime grandi collezioni di icone, a San Pietroburgo quella formata da N.P. Likhacev – autore di un libro sullo stile di Rubliov – che successivamente entrò a far parte del Museo Russo, a Mosca quella di I.S. Ostrouchov, quella appunto che aveva suscitato l’entusiasmo di Matisse e che poi passò alla Galleria Tret’jakov.
Ma un dato assai particolare caratterizzava la pittura russa di icone: questa era nell’Ottocento ancora ampiamente praticata. Esistevano, per così dire, dei primitivi contemporanei. Nikolaj Kondakov, uno dei padri fondatori della storia dell’arte bizantina che era salito nel 1881 al monastero di Santa Caterina del Sinai alla ricerca di manoscritti e di icone, non si limitò a studiare le testimonianze del passato, ma indirizzò le sue ricerche anche verso la contestualizzazione del fenomeno delle icone nell’ambito della religiosità e del folklore contadino. Nel 1900 partecipò su incarico dello zar, a una ricognizione nel governatorato di Vladimir, una delle regioni russe dove più si conservava la tradizione dell’icona. Qui nel villaggio di Palech esistevano da secoli famiglie di pittori i cui prodotti erano particolarmente apprezzati e in quelli di Ms’tra [Mstiora] e di Choluj la produzione di icone coinvolgeva addirittura gran parte della popolazione, con una precisa divisione del lavoro. I risultati della missione furono esposti in una specifica relazione diretta allo zar, dal titolo Sulla situazione della pittura popolare russa di icone. Considerata la fortuna che i testi sulle icone hanno avuto negli ultimi anni che hanno visto l’uscita di tanti studi di carattere teorico, iconografico, religioso (e più di un coffee-table book), si dovrebbero tradurre le indagini di Kondakov sulle antiche icone del Sinai e quelle sulla moderna produzione di icone nel governatorato di Vladimir. L’accostamento sarebbe rivelatore.
Lo studio delle icone – cui grandi storici dell’arte russi come Victor Lasareff e Michail Alpatov hanno dedicato in passato studi fondamentali – conosce grandi difficoltà, che riguardano sia gli autori che la datazione e queste difficoltà sono accresciute dai restauri e dai completamenti e dalle ridipinture che nel corso del tempo queste opere, considerate in primis come immagini devozionali e quindi suscettibili di estensive e invadenti manutenzioni, hanno subito. Rarissime sono le icone datate: tra la fine del Duecento e il Cinquecento ne conosciamo appena qualcuna e solo Pietro il Grande introdusse nel 1710 norme precise per cui un’icona doveva essere datata con l’anno, il mese e il giorno di esecuzione, e portare il nome e il patronimico del suo autore. Quanto ai loro autori si conoscono, attraverso le cronache, un certo numero di nomi ma mentre di alcuni, come il grande Andrej Rubliov il primo artista largamente – e anche popolarmente – noto dell’arte russa, cui fu dedicato l’indimenticabile film di Tarkovskj, come Teofane il greco, come Dionisij o Efrem sono note un certo numero di opere, di molti altri, come Alimpio di Pecersk la cui icona della Dormitio fu – secondo la leggenda – terminata dagli angeli, come Procoro di Gorodec o Daniele il Nero che lavorarono con Rubliov non se ne conosce alcuna. La grandissima maggioranza è composta di opere adespote che sono state raggruppate per scuole e centri di produzione o per personalità fittizie, come quella del cosiddetto «Maestro del Cremlino» cui Michael Alpatov dedicò una monografia.
Il controllo sull’aspetto delle opere degli artisti fu assai stretto tanto che poté insorgere in certi momenti una forte tensione tra il potere e gli artisti e il pittore poté essere considerato come tendenzialmente o potenzialmente insubordinato. Nel 1551 ai tempi di Ivan il Terribile (e da noi del Concilio di Trento) il Concilio dei Cento Capitoli (così chiamato perché le domande dello Zar e le risposte degli ecclesiastici vennero presentate divise in singoli paragrafi) si occupò di loro in una delle prime questioni, constatandone la superbia e l’indocilità, raccomandando la vigilanza delle autorità religiose e imponendo l’imitazione dei modelli di Rubliov e dei migliori maestri antichi.
In Occidente l’interesse per le icone è stato favorito da diverse motivazioni, dal loro carattere volutamente non realistico ma altamente elaborato nella rappresentazione dello spazio, nell’uso delle proporzioni e dei colori, dal loro aspetto apparentemente ripetitivo per cui la disposizione, i personaggi, i colori, le espressioni, gli elementi, la stessa impaginazione di una scena potevano essere riprese con minime, ma significative variazioni attraverso il tempo, e, last but non least, dall’aura mistico-religiosa che esse suscitano e che intorno a loro aleggia. La mostra e il catalogo si accostano al problema in un modo oggettivo e filologico, che intende tener conto dei diversi aspetti dei problemi e rispondere in qualche modo al desiderio che Anton Cechov aveva espresso a Nicolaj Kondakov nel 1901: che cioè «si trovasse qualcuno che scrivesse la storia della pittura di icone della Russia».
«L’immagine dello Spirito. Icone dalle terre russe. Collezione Ambroveneto». Venezia, Fondazione Cini, fino al 1° dicembre. Catalogo Electa.

«Natività», icona russa del XV secolo. Nel riquadro piccolo, «Ascensione di Elia», icona russa del XVI secolo 
NOMI CITATI

- Alipio, sant’
- Alpatov, Michail Vladimirovič
- Banco Ambrosiano Veneto [Intesa Sanpaolo]
- Basile, Giuseppe
- Branca, Vittore
- Carevskaja, Tatʹjana
- Carminati, Marco
- Čechov, Anton Pavlovič
- Čërnyj, Daniil
- Concilio dei Cento Capitoli [Stoglavyj Sobor]
- Diehl, Gaston
- Dionisij
- Efrem il Siro, sant’
- Electa
- Goethe, Johann Wolfgang von
- Haustein-Bartsch, Eva
- Ivan IV, zar di Russia [Ivan il Terribile]
- Klokova, Galina
- Kondakov, Nikodim Pavlovič
- Lazarev, Viktor Nikitič
- Leskov, Nikolaj Semënovič
- Lichačev, Nikolaj Petrovič
- Maestro del Cremlino
- Matisse, Henri
- Nicola II Romanov, imperatore di Russia
- Nikon, patriarca di Mosca [Nikita Minič]
- Opie, John Lindsay
- Ostroukhov, Il'ja Semënovič
- Pietro I, Imperatore di Russia [Pietro il Grande]
- Pirovano, Carlo
- Prochor di Gorodec
- Rublev, Andrej
- Ryndina, Anna Vadimovna
- Ščukin, Sergej Ivanovič
- Smirnova, Engelina
- Tarkovskij, Andrej Arsenʹevič
- Teofane il Greco
- Vecchi Credenti


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Cholui [Russia]
- Costantinopoli [Istanbul, Turchia]
- Mosca [Russia]
○ Galleria Tret'jakov
- Mstëra [Russia]
- Novgorod [Russia]
○ Chiesa della Trasfigurazione sull’Il’ina
- Palech [Russia]
- Recklinghausen [Germania]
○ Ikonen-Museum Recklinghausen
- San Pietroburgo [Russia]
○ Hermitage [The State Hermitage Museum]
○ Museo di Stato Russo
- Santa Caterina [Egitto]
○ Monastero di Santa Caterina
- Venezia
○ Fondazione Giorgio Cini
- Vicenza
○ Palazzo Leone Montanari
- Vladimir [Russia, Oblast' di Vladimir]

Collezione: Il Sole 24 Ore

Citazione: Enrico Castelnuovo, “La crème delle icone russe,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/131.