Magistri sfuggenti (dettagli)
Titolo: Magistri sfuggenti
Descrizione:
Recensione dell’opera: Il Duomo di Modena, a c. di Chiara Frugoni, fotografie di Ghigo Roli, Modena, Panini Editore, 1999, 3 voll. La pubblicazione è parte della collana Mirabilia Mirabilia Italiæ, curata da Salvatore Settis, di cui Castelnuovo aveva già presentato alcuni titoli su «La Stampa» (La Galleria delle carte geografiche in Vaticano e Il Battistero di San Giovanni a Firenze) e «Il Sole 24 Ore» (Orsanmichele a Firenze e Il Duomo di Pisa).
A partire dal caso di Lanfranco e Wiligelmo, i cui nomi spiccano sulla Cattedrale di Modena, l’intervento tocca alcune delle problematiche che più connotano il profilo dell’artista nel Medioevo, come il significato simbolico delle firme e dell’anonimato, la sua posizione sociale, l’organizzazione del lavoro nei cantieri delle cattedrali e il rapporto con i committenti.
Nell’articolo sono ricordati il convegno L'artista medievale (Modena, 17-19 novembre 1999, cui Castelnuovo era intervenuto con un contributo intitolato I volti dell'artista medievale. Molte domande, poche risposte, edito negli atti) e l’esposizione Quando le cattedrali erano bianche - Lanfranco e Wiligelmo. Mostre sul Duomo di Modena dopo il restauro (Modena-Nonantola: 21 luglio 1984-prorogata al 31 luglio 1985 - recensita su «La Stampa»).
Una copia dell’opera è presente nel fondo librario dell’autore, conservato nella Biblioteca Storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: Il Sole 24 Ore, 2000, n. 116, p. 43
Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2025)
Data: 2000-04-30
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione:
Formato: application/pdf
Identificatore: Sole_62
Testo:
«Il Sole 24 Ore» – Domenica 30 aprile 2000, n. 116, p. 43
ME FECIT
Il mistero degli artisti medievali: erano celebrità di cui s’è persa memoria o umili artefici votati all’anonimato?
Magistri sfuggenti
di Enrico Castelnuovo
L’artista medioevale, cui è stato dedicato recentemente a Modena, organizzato dal locale Museo Civico e dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, un importante convegno internazionale, resta per noi un personaggio enigmatico. A partire dal nome che troppo spesso ignoriamo (ma alla Normale si sta da tempo lavorando a un census computerizzato dei nomi degli artisti medioevali italiani, che riserverà molte sorprese), dall’organizzazione della bottega o del cantiere, dai suoi viaggi, dalla circolazione dei modelli, dalla sua cultura. Ora lo incontriamo sotto le vesti del monaco, ora negli abiti del laico, ora in una bassa posizione nella scala sociale in quanto praticante non un’arte liberale, ma una meccanica, ora invece promosso canonico onorario di una importante cattedrale, ora illetterato se non addirittura analfabeta, ora letterariamente esperto tanto da contendere per iscritto con un dotto abate, ora alla soglia della povertà, ora abbastanza facoltoso da poter offrire a una chiesa una importante opera d’arte, ora superbamente autonomo nelle sue creazioni, ora completamente sottomesso alle attese del committente il cui nome viene trionfalmente esibito sulle opere e delle cui volontà appare semplice esecutore.
La stessa espressione «Me fecit» che suggella con un nome alcune opere si presta al dubbio: cosa significa fecit: eseguì o fece eseguire, si riferisce all’artista o al committente? E cosa dobbiamo pensare quando le fonti ci dicono che certi importanti personaggi ecclesiastici come Bernwardus, una delle persone prime dell’età ottoniana, promotore delle celebri porte bronzee di Hildesheim, avrebbero praticato essi stessi le arti meccaniche? Si trattò di amatori e conoscitori sofisticati o di persone in grado di praticare direttamente queste tecniche? Gli studi recenti hanno tendenza a considerare leggendarie queste notizie, ma il solo fatto che a grandi personaggi venissero attribuite tali capacità ci fa ritenere che le attività artistiche fossero altamente considerate e riconosciute, non solo nei loro prodotti ma anche, malgrado la loro appartenenza alle minori arti meccaniche, nelle persone degli artefici.
Né molto di più conosciamo delle gerarchie che i contemporanei attribuivano alle diverse pratiche artistiche, dell’immagine o piuttosto delle immagini, che se ne facevano: talora il nome di un orafo, ma molto più spesso quello di un fonditore di campane, viene ricordato sul suo prodotto, mentre viene taciuto quello dell’autore di un capitale ciclo di affreschi o di un solenne portale scolpito; talora come a Modena i nomi di Lanfranco e di Wiligelmo o come a Pisa quelli di Buscheto e di Rainaldo vengono esaltati e perennemente incisi sulle facciate degli edifici, dando luogo a una sorta di letteratura artistica lapidaria, autentico preludio alla critica d’arte, talora invece i nomi degli artefici sono omessi, nascosti, dimenticati. Ne troviamo alcuni menzionati in cronache abbaziali o gesta episcopali o altri appena visibili scolpiti nella parte inferiore di un timpano o grafiti nelle volute di un capitello, ma più spesso sono, e si direbbe deliberamente, taciuti.
«Advenit quidam vir incognitus» (giunse uno sconosciuto) troviamo scritto nella Vita di Meinwerk là dove si descrive l’arrivo del valente architetto che costruì accanto al prelato la cattedrale di Paderborn, né la Vita di Gauzlino, l’abate parente di re e fondatore di Saint-Benoit-sur-Loire ricorda il nome del «princeps artificum» che eresse sulla facciata della chiesa abbaziale la torre che, secondo il desiderio dell’abate, doveva essere modello a tutta la Francia, né tantomeno Sugerio di Saint Denis si degna di ricordare qualche nome tra i tanti degli artefici che si gloria di aver fatto venire a lavorare nella sua abbazia. Per giunta mentre in età romanica troviamo qua e là nomi iscritti sulle opere, e non solo in Italia, ma anche in Francia, nel momento del grande fiorire delle cattedrali gotiche oltralpe questi nomi scompaiono d’un tratto. Cosa può significare un fatto come questo: una nuova organizzazione del cantiere, una nuova ripartizione dei compiti?
Su questi problemi si sono affrontati a lungo gli storici dell’arte dalle romantiche esaltazioni dell’anonimo artista medioevale, virtuoso e umile, alle attente sillogi di nomi e di testimonianze raccolte in età positivista e ancora, seppur con più solidi argomenti, se ne discute oggi. Forse non sempre sappiamo porre le domande giuste, forse vogliamo leggere le situazioni del passato con gli occhi del presente e cerchiamo distinzioni e opposizioni per un tempo e in modi in cui esse non avrebbero avuto senso; forse anonimato e lode dell’artista sono due facce della stessa medaglia. Ma certo i potenti Comuni italiani dovettero trovare nell’esaltazione del sommo monumento civico, la cattedrale, e dei suoi artefici un motivo di orgoglio e di propaganda municipale, e ciò poté distinguere la situazione di questi architetti, di questi scultori, da quella di coloro che vennero impiegati nelle grandi imprese vescovili o abbaziali, règie o imperiali d’oltralpe e fa intravedere il sorgere in Italia di un diverso rapporto tra artefici e committenti, di una diversa immagine dell’artista.
Ciò appare evidente a Modena dove sull’abside della cattedrale una grande lapide evocando la bellezza della costruzione («marmoribus sculptis domus hec micat undique pulchris» – quest’edificio brilla per ogni dove per i suoi bei marmi scolpiti –) ricorda con grande elogio il nome del suo costruttore «ingenio clarus Lanfrancus doctus et aptus est operis princeps huius rectorque magister» (Lanfranco celebre per ingegno, dotto e capace è capo rettore e maestro di quest’opera). Inciso nella sua forma attuale nel Duecento, il testo era stato dettato un secolo prima da Aimone canonico e "magister scholarum" della cattedrale. Forse fu lo stesso Aimone a celebrare nella lapide in facciata, che, sostenuta dai patriarchi Enoc ed Elia, simboli di immortalità per essere stati assunti direttamente in cielo senza passare per la morte terrena, ricorda la fondazione dell’edificio, la grandezza di Wiligelmo con i famosi versi, incisi sul marmo dell’artista medesimo: «Inter scultores quanto sis dignus onore, claret scultura nunc Wiligelme tua».
Alla cattedrale di Modena è ora dedicata un’opera in tre tomi edita da Panini e curata da Chiara Frugoni (Modena 1999, pagg. 1.264 complessive, L. 1.200.000). Come negli altri volumi (questo è il nono) della collana Mirabilia Italiae diretta da Salvatore Settis i saggi sono seguiti dalle schede (ben 1.611) e queste a loro volta trovano tutte adeguata illustrazione in un amplissimo atlante. Insieme alle varie pubblicazioni (sempre edite da Panini) che hanno accompagnato e seguìto la mostra Lanfranco, Wiligelmo. Il Duomo di Modena del 1984 questo nuovo intervento contribuisce a fare della cattedrale emiliana il monumento medioevale italiano più attentamente indagato e documentato. Molti degli autori che troviamo in questo libro, da Adriano Peroni a Enrica Pagella a Saverio Lomartire a Marina Armandi, a Giancarlo Palazzi, a Rolando Bussi alla stessa Frugoni sono gli stessi che avevano collaborato alla mostra dell’84, affiancati questa volta da più giovani ricercatori, ma rispetto ad allora ci sono delle interessanti novità su diversi piani, da quello iconografico a quello cronologico. E poi il volume non seleziona solo una parte della storia dell’edificio, ma la abbraccia tutta, comprendendo e documentando quindi, accanto a quanto è in cattedrale quanto da essa proviene e si trova oggi nel lapidario, nel tesoro del Duomo o in altri musei e collezioni. Accanto ai capolavori romanici sono illustrate opere più recenti come frammenti di affreschi due e trecenteschi, come l’eccezionale edicola in rame di San Geminiano trattata a sbalzo nel 1376 da Gemignano de Parolis, un ramaio di Modena che accanto a quella del committente, un illustre giurista, ha lasciato la sua immagine con tanto di stemma con tre paioli che fanno riferimento alla sua professione, come i polittici dipinti da Serafino de’ Serafini o eseguiti in terracotta da Michele da Firenze, alle tarsie e ai dipinti di Cristoforo Canozi da Lendinara, ai rilievi e alle statue di Agostino di Duccio, ai presepi in terracotta di Antonio Begarelli o del sommo Guido Mazzoni alla pala di san Sebastiano di Dosso Dossi e via via fino alle lapidi e ai monumenti ottocenteschi. Tuttavia anche nelle trasformazioni, nei mutamenti e negli arricchimenti posteriori, la splendente cattedrale di Modena, uno dei capolavori del romanico europeo, si presenta ai nostri occhi, attraverso le esaltanti testimonianze che ne lodano gli artefici, come il più esplicito e insigne monumento alla gloria dell’artista medioevale.
La facciata del Duomo di Modena; La lapide commemorativa di Wiligelmo collocata sulla facciata del Duomo di Modena
NOMI CITATI
- Agostino di Duccio
- Aimone di Modena
- Armandi, Marina
- Begarelli, Antonio
- Bernwardus di Hildesheim
- Busketus [Buscheto]
- Bussi, Rolando
- Canozi, Cristoforo [Cristoforo da Lendinara]
- De Parolis, Gemignano
- Dosso Dossi [Giovanni Francesco di Niccolò Luteri]
- Frugoni, Chiara
- Gauzlin, abate
- Lanfranco
- Lomartire, Saverio
- Mazzoni, Guido
- Meinwerk, vescovo
- Michele da Firenze
- Pagella, Enrica
- Palazzi, Giancarlo
- Panini [Franco Cosimo Panini Editore]
- Peroni, Adriano
- Rainaldus [Rainaldo]
- Serafini, Serafino de’
- Settis, Salvatore
- Suger di Saint-Denis
- Wiligelmo
LUOGHI CITATI
- Hildesheim [Germania]
o Cattedrale di Santa Maria Assunta di Hildesheim
- Modena
o Cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo e San Geminiano
o Museo civico di Modena
- Paderborn [Germania]
o Cattedrale di Santa Maria, San Liborio e San Chiliano
- Parigi
o Basilica di Saint-Denis
- Pisa
o Cattedrale di Santa Maria Assunta
o Scuola Normale Superiore
- Saint-Benoit-sur-Loire [Francia]
o Chiesa abbaziale di Saint-Benoit-sur-Loire
Collezione: Il Sole 24 Ore
Etichette: _RECENSIONE (pubblicazione), Artista [ruolo]
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Magistri sfuggenti,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 13 maggio 2025, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/161.