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Titolo: Accelerano i tempi e precipitano le cose

Descrizione: Recensione della mostra: 1900 (Parigi, Grand Palais, 14 marzo-26 giugno 2000), a c. di Philippe Thiebaut, catalogo Réunion des musées nationaux. Presentando alcune sezioni, Castelnuovo si sofferma sulla nascita dell’Art Nouveau e sulla sua diffusione in Europa, sulle tecniche artistiche, sui modelli e sui principali protagonisti. Nel contributo è richiamata la mostra Les sources du XX siècle (Parigi, Musée national d’art moderne, 4 novembre 1960- 20 gennaio 1961), organizzata dal Consiglio d’Europa.
L’articolo è introdotto da un trafiletto di Anna Detheridge, autrice della recensione dell’esposizione Art Nouveau 1890-1914 (Londra, Victoria and Albert Museum, 6 aprile- 30 luglio 2000) presente nella stessa pagina.
Una copia del catalogo è presente nel fondo librario dell’autore, conservato nella Biblioteca Storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo, Anna Detheridge

Fonte: Il Sole 24 Ore, 2000, n. 156, p. 41

Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2025)

Data: 2000-06-11

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Sole 24 Ore» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Sole_63

Testo: «Il Sole 24 Ore» – Domenica 11 giugno 2000, n. 156, p. 41




MOTI ONDOSI

Accelerano i tempi e precipitano le cose

Al Grand Palais di Parigi, la mostra «1900» presenta il fenomeno che furoreggiò in tutt’Europa con nomi diversi dall’Art nouveau, al Liberty, al Modern Style: non solo stile decorativo, ma riflesso del periodo eroico del capitalismo liberale



Art Nouveau, Jugendstil, Novecento, Liberty, Modernismo, un nome per ogni Paese dell’Europa in cui nacque. Dalla Francia alla Catalonia, dall’Inghilterra ai Paesi mitteleuropei, all’Italia, la passione per le arti decorative crebbe, furoreggiò è sfiorì nello spazio di qualche breve lustro. Lo stile accompagnò la scalata dell’Occidente al mondo, inglobò, famelico, tutti gli stili, divorando la materia prima come gli altiforni della Krupp, forgiando dalle suggestioni orientaleggianti del mondo islamico, dai fasti rococò del periodo pre rivoluzionario, dagli elementi di folklore e di cultura popolare e soprattutto da una visione della Natura come evoluzione e metamorfosi, un’estetica organica che incorpora l’antico e il nuovo.
L’aspetto più ambiguo e più difficile da comprendere del cosidetto Art Nouveau (ed è sintomatico che non ci fu accordo nemmeno sul nome) è che questo furore decorativo esprime tutto l’ottimismo esuberante dell’era nascente, ma anche molti dei lati oscuri, fobie e involuzioni. All’origine vi era sicuramente un nuovo benessere, l’abbondanza di materie prime, ma a guidare le diverse filosofie e orientamenti furono alcune enclaves di artisti, piccole comunità e utopie spesso fortemente contrarie alle spinte all’industrializzazione. Nelle due mostre qui a seguire «1900» al Grand Palais di Parigi e quella dedicata all’ «Art Nouveau 1890-1914» al Victoria and Albert Museum di Londra si tenta una lettura che dia finalmente il giusto peso al fenomeno, che non rappresentò soltanto uno «stile decorativo» ma il tentativo degli artisti di cimentarsi oltre gli stretti confini della singola opera. La Decorazione e l’Ornamentalismo assunsero in quello scorcio di fine secolo per molti artisti il valore di Opera Totale, di progettualità nuova che abbraccia l’ambiente interno e esterno, dalle carte da parati all’arredo urbano. Il momento non a caso è quello dell’urbanizzazione di massa, del passaggio a un contesto di riferimento che non è più naturale, ma artificiale, esattamente come l’uomo stesso se lo è voluto configurare. (Anna Detheridge).

di Enrico Castelnuovo
«Alla fine della serata si parlava del precipitare delle cose, degli avvenimenti, dei successi, dell’accelerarsi di tutto, e ci si domandava se non fosse proprio questo il carattere delle fini-secolo, se in queste epoche, limitate dai calcoli degli uomini, non si assistesse ad una accelerazione, a un eccesso di incidenti, quasi uno straripare per sbarazzare il secolo che stava per arrivare». Così scrive Edmond de Goncourt nel suo Journal alla data del 5 aprile 1894 e così inizia uno dei saggi introduttivi del bel catalogo dell’esposizione «1900» che chiuderà le sue porte al Grand Palais il prossimo 26 giugno.
Come e dove si manifestò nel campo artistico questa accelerazione, questo precipitare delle cose e degli avvenimenti alla fine del secolo? Sono anni che vedono attivi Cézanne, Pissarro, Pellizza da Volpedo, Monet, Rodin, Degas, Renoir, Frank Lloyd Wright, il giovane Picasso, Munch, Toulouse Lautrec, Klimt, Segantini per non citare che alcuni nomi. Ma non sono tanto le loro opere o i loro modi in questo periodo che la mostra parigina documenta quanto fenomeni globali come il sogno dell’integrazione, dell’unione delle arti, della rinascita dell’artigianato e di certe tecniche in particolare, della rivendicazione delle tradizioni nazionali coniugate alla modernità come l’esplosione delle arti decorative, un fatto che travalica le frontiere e che nasce sotto la spinta della rivoluzione industriale e delle reazioni che essa provoca, come le diverse Secessioni, la nascita delle colonie di artisti, di gruppi, di imprese collettive quali la Guild of Artifact di C.R. Ashbee o le Wiener Werkstatte. Il tutto all’insegna di uno stile comune, arboreo, vegetale, ondeggiante e ondoso dove trionfa la linea sinuosa, uno stile che si definiva, si proclamava e si voleva giovane, nuovo, moderno (Modern Style, Art Nouveau, Jugendstil, Modernismo), che prediligeva certi materiali, certi temi e certe tecniche, dal mosaico all’arazzo, alla carta da parati, dall’illustrazione del libro, al ferro battuto, alla ghisa, al vetro, uno stile che si espande con una eccezionale rapidità sgominando gli ultimi ritorni degli stili storici e che, come agli inizi del Quattrocento il gotico internazionale, ebbe tante culle e tanti centri da Glasgow a Bruxelles, da Parigi a Vienna, da Darmstadt a Monaco, da Barcellona a Nancy, a Torino.
Dicevamo che il catalogo, curato dall’équipe del Musée d’Orsay sotto la guida di Philippe Thiebaut, è bello, ricco e problematico al punto giusto: si può dire lo stesso dell’esposizione? L’impresa non era facile, si trattava di illustrare e documentare un’arte che ha i suoi apogei nella decorazione degli interni, nella creazione di quartieri-modello (la Mathildenhohe a Darmstadt), negli edifici delle esposizioni, effimeri per eccellenza, ma anche nei chioschi, nelle insegne della metropolitana, nell’affiche, nei gioielli, nei vasi, nelle lampade, nei mobili, nelle rilegature, nella fotografia. Si trattava di esplorare un tempo e un mondo già minuziosamente percorsi e interrogati in tante esposizioni, da quella celebre e ormai tanto lontana dedicata molti decenni or sono dal Consiglio d’Europa a "Les sources du XX siècle", di individuare dei temi, delle costanti, delle domande, di stabilire un equilibrio tra i timori e le inquietudini del tramonto e le speranze di un mondo nuovo. E di percorrere terre relativamente meno note, di inserire nel quadro la Polonia e la Finlandia, l’Ungheria, la Russia, la Boemia.
Un’impresa francamente difficile che si è avvantaggiata dello spirito cosmopolita del Musée d’Orsay e della sua ormai sperimentata apertura degerarchizzante verso i prodotti delle tecniche più diverse. Una grande riuscita è stata quella di aver riunito – sotto il titolo comune di Un nouvel art de habiller le mur – i quattro pannelli, dipinti da Vuillard nel ‘96 per la biblioteca del cardiologo parigino Vaquez accanto ai quindici dipinti da Odilon Redon intorno al 1900 per la sala da pranzo del castello neogotico di Donnecy nella Yonne, ad alcune testimonianze superstiti della decorazione di Maurice Denis per la sala da musica di una villa di Wiesbaden, ai disegni preparatori di Klimt per i mosaici del palazzo Stoclet a Bruxelles. Altra sezione interessante quella su La quete des sources nationales, un’indagine vivacemente sentita nei Paesi minacciati in quel tempo da egemonie culturali straniere quali la Finlandia (presente con un’eccellente selezione), l’Ungheria, la Catalogna, la Scozia, o in cerca di una propria identità come gli Stati Uniti di Frank Lloyd Wright. Tra le altre sezioni tematiche oggetti splendidi sono presenti in quella intitolata alla Regressione verso il vegetale e l’acquatico che indaga non solo sul ruolo di modello che hanno potuto esercitare fiori, foglie, rami, germogli, bocci, farfalle, ragnatele, le forme del mondo vegetale e animale che un libro come Kunstformen der Natur dello zoologo tedesco Ernst Haeckel, subito tradotto e diffuso, aveva proposto all’attenzione degli artisti, ma anche il fascino profondo esercitato dal mondo acquatico e sottomarino stimolato da un altro libro di Haeckel, Die Weltrathsel (1900), vibrante incoraggiamento a scrutare la vita sottomarina, e certo anche dal più antico (1869) Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne. Ninfee, papaveri, ortensie ispirano Daum e Lalique mentre Emile Gallé con l’Anfora del re Salomone o con la Main aux Algues et aux Coquillages cerca ispirazione nelle profondità marine.
Gli intenti di portare al popolo soffocato dalla caligine della rivoluzione industriale la luce e la gioia attraverso l’arte, di restituire all’artigianato la bellezza sottrattagli dalla macchina sono presto dimenticati; splendidi, ma costosi oggetti sono prodotti per mecenati altoborghesi assai facoltosi, il mito del ritorno all’età dell’oro si dispiega per pochi. Come ai tempi del gotico internazionale, alcune tra le più alte riuscite vengono raggiunte negli oggetti piccoli e preziosi, un vaso, una spilla, una lampada, una maniglia e il mito della rigenerazione, che un tempo si era espresso sulle pareti del castello della Manta con la Fontaine de Jouvence, si afferma ora nei giardini incantati dell’età dell’oro prossima ventura.
«1900», Grand Palais, Parigi, fino al 26 giugno 2000.

Louis-Ernest Barrias, «La Nature se dévoilant à la Science», 1899; a sinistra, Karl Blossfeldt, «Delphinium» 1899-1905 
NOMI CITATI

- Ashbee, Charles Robert
- Barrias, Louis-Ernest
- Blossfeldt, Karl
- Cézanne, Paul
- Consiglio d'Europa
- Daum [cristalleria]
- Degas, Edgar
- Denis, Maurice
- Detheridge, Anna
- Fried. Krupp Aktiengesellschaft
- Gallé, Émile
- Goncourt, Edmond de
- Guild of Handicraft
- Haeckel, Ernst
- Klimt, Gustav
- Lalique [cristalleria]
- Monet, Claude
- Munch, Edvard
- Pellizza da Volpedo, Giuseppe
- Picasso, Pablo
- Pissarro, Camille
- Redon, Odilon
- Renoir, Pierre-Auguste
- Rodin, Auguste
- Segantini, Giovanni
- Thiebaut, Philippe
- Toulouse-Lautrec, Henri de
- Vaquez, Henri-Louis
- Verne, Jules
- Vuillard, Édouard
- Wiener Werkstätte
- Wright, Frank Lloyd


LUOGHI CITATI
- Barcellona [Spagna]
- Boemia [Repubblica Ceca]
- Bruxelles [Belgio]
o Palazzo Stoclet
- Catalogna [Spagna]
- Darmstadt [Germania]
o Mathildenhohe
- Glasgow [Regno Unito]
- Londra [Regno Unito]
o Victoria and Albert Museum
- Manta [Saluzzo, Cuneo]
o Castello della Manta
- Monaco [Germania]
- Nancy [Francia]
- Parigi [Francia]
o Grand Palais
o Musée d'Orsay
- Torino
- Vienna [Austria]
- Wiesbaden [Germania]
- Yonne [Francia]
o Castello di Domecy-sur-le-Vault

Collezione: Il Sole 24 Ore

Citazione: Enrico Castelnuovo e Anna Detheridge, “Accelerano i tempi e precipitano le cose,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 14 maggio 2025, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/163.