Ritratto in tondo di Macrino d'Alba (dettagli)
Titolo: Ritratto in tondo di Macrino d'Alba
Descrizione:
Recensione dell’opera: Edoardo Villata, Macrino d’Alba, presentazione di Giovanni Romano, Alba, Fondazione Ferrero, 2000 (stampa: Editrice Artistica Piemontese).
Castelnuovo introduce la produzione e la fortuna critica di Macrino d’Alba, con particolar riguardo al confronto col suo contemporaneo Gandolfino di Roreto, soffermandosi sul legame con Pinturicchio e sui modelli di riferimento, sull’apporto del viaggio a Roma e sui committenti, in particolare la corte dei Paleologi. L’articolo attacca ricordando la recensione di Bortolo Ghineri, anagramma di Roberto Longhi, alla monografia dedicata da Giovanni Bistolfi al pittore: Macrino d’Alba. Appunti su la vita e le opere di un pittore piemontese del secolo XV, Torino, Lattes, 1910 (Macrino d’Alba, «Piemonte», 29 dicembre 1910, riedito in Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, VIII.1, Fatti di Masolino e di Masaccio e altri studi sul quattrocento 1910-1967, Firenze, Sansoni, 1975, p. 180).
Una copia dell’opera è presente nel fondo librario dell’autore, conservato nella Biblioteca Storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: Il Sole 24 Ore, 2000, n. 239, p. 30
Editore: Il Sole 24 Ore; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2025)
Data: 2000-09-03
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Relazione:
Formato: application/pdf
Identificatore: Sole_68
Testo:
«Il Sole 24 Ore» – Domenica 3 settembre 2000, n. 239, p. 30
SCAFFALART
La monografia dedicata a un raffinato maestro del rinascimento piemontese
Ritratto in tondo di Macrino d’Alba
di Enrico Castelnuovo
Nel dicembre 1910 appariva su un periodico piemontese a firma Bortolo Ghineri la recensione a un libro di Gian Bistolfi sopra Macrino d’Alba. La firma (che verrà utilizzata anche in futuro) altro non era che l’anagramma del giovanissimo Roberto Longhi, allora un laureando di Pietro Toesca, che, alle primissime armi, si cimentava con un pittore suo conterraneo. Viene oggi a riproporne l’opera e la figura un’eccellente monografia di un giovane studioso allievo di Giovanni Romano, Edoardo Villata, di cui la Fondazione Ferrero, perseguendo come è tra i suoi obiettivi «la valorizzazione di intellettuali e artisti di origini albesi le cui opere hanno varcato i confini locali per imporsi sulla scena internazionale» ha curato in modo encomiabile la pubblicazione.
Fu infatti quella di Macrino – un soprannome, dovuto forse a una esile corporatura che Gian Giacomo di Alladio esibì tenacemente nelle numerose firme apposte alle sue opere – una vicenda singolare che lo portò lontano dal natio loco, a divenire quindi artista di corte dei Paleologi, a ricevere commissioni importanti per la Certosa di Pavia, quella di Asti e per il Duomo di Torino. Né d’altra parte gli mancò in tempi più prossimi a noi una buona reputazione nell’ambiente cosmopolita dei conoscitori tanto che un suo splendido trittico fu acquistato già nel 1831, dall’Istituto Städel di Francoforte, e altrettanto precocemente alcune sue tavole varcarono l’oceano sì che Edith Wharton ricorda in un episodio del suo Old New York una “lovely Adoration” di sua mano. Un artista di origine albese quindi «le cui opere hanno varcato i confini locali per imporsi sulla scena internazionale» sì da meritare pienamente l’attenzione della Fondazione Ferrero. Un antico maestro di notevole statura, ma, in fondo, non sempre amato dai piemontesi forse per aver troppo vistosamente risciacquato i suoi panni in Tevere.
Giunse infatti a Roma appena ventenne da Alba, dove verosimilmente era nato verso il 1470, e qui dovette muoversi nell’ambiente dei della Rovere, cui il vescovo di Alba Andrea Novelli era particolarmente legato, ed entrare nel circolo del Pinturicchio di cui assorbì quell’antica mania che lo contraddistinse e che lo spinse a studiare, misurare, disegnare, dipingere in ogni modo le antiche rovine che tanto lo affascinavano. Con la banda di Pinturicchio penetrò nelle latebre della Domus aurea a copiare quei ghiribizzosi motivi decorativi che saranno chiamati grottesche. Costituì così un repertorio vasto e variato che distribuì sapientemente nello sfondo dei suoi dipinti, ma riflettè anche sul modo di organizzare unitariamente una pala “alla moderna” abbandonando l’abitudine nordica di compartimentare nei singoli pannelli di un polittico personaggi e scene.
Ritornato da Roma in Piemonte, diede immediatamente prova della sua modernità in un’ancona per il San Francesco di Alba con la quale si trovò implicitamente a competere con l’astigiano Gandolfino di Roreto che per la stessa chiesa aveva appena dipinto un polittico. L’opera di Macrino con le sue ampie aperture paesistiche, e la sapiente distribuzione di monumenti della Roma antica e medievale, dovette sembrare ai contemporanei straordinariamente più moderna di quella del pittore astigiano che da Alba non ricevette più alcuna commissione, e gli aprì il cammino verso le grandi commissioni dei certosini (per Pavia e Asti) e verso la corte dei marchesi del Monferrato.
Qui ebbe modo di collocare opere in alcuni punti chiave della geografia sacra del marchesato (l’abbazia di Lucedio per cui gli ordinò una pala un membro della famiglia marchionale, Annibale Paleologo e il santuario dell’Assunta a Crea per cui lo impegnò Gian Giacomo San Giorgio di Biandrate, vicario generale del marchese) e si rivelò un ritrattista raffinato e apprezzatissimo (tutto attorno alla sua effigie di un alto personaggio dell’ambiente aleramico corre la scritta Macrini manu post fata vivam) memore del Perugino e di Pinturicchio, ma, attento anche ai modelli leonardeschi, come rivelano le deliziose immagini dei futuri marchesi, Guglielmo IX Paleologo e di sua moglie Anna di Alençon inserite nella predella di una pala dipinta per il santuario dell’Assunta a Crea. In tutto questo periodo Macrino si mantenne fedele ai modi e agli stilemi che aveva elaborato a Roma e alla sua passione antiquaria non mancando mai di disseminare nelle sue opere il ricco repertorio rovinistico, di cui si era fatto un marchio distintivo, e tentando di dar forma a uno “stile paleologo” di un raffinato, ma raggelato, classicismo. E questo proprio mentre Gandolfino, che, mentre lavorava alla pala della Certosa, si ritrovò di nuovo di fronte ad Asti, mostrava, nella contemporanea e moderna pala per Santa Maria Nuova della stessa città, di orientarsi verso modelli padani e lombardi. «Per un breve e emozionante momento, in questo “crinale 1498”, è Asti — annota efficacemente Edoardo Villata — teatro di questo confronto a suon di pale sempre più moderne e aggiornate, l’avanguardia pittorica in Piemonte». Un altro confronto importante si svolse più tardi nel Duomo di Torino dove Macrino nel 1505 affronta con un’importante pala, commissionatagli per l’altare di San Solutore da Amedeo di Romagnano vescovo di Mondovì e strettamente legato alla cattedrale torinese, il duo Spanzotti-Defendente Ferrari che da poco avevano consegnato il polittico per l’altare dei Calzolai della medesima chiesa.
Ma i tempi andavano rapidamente mutando e l’opera di Macrino, fondamentalmente legata alla cultura del Pinturicchio e dell’appartamento Borgia, seppur attenta a suggerimenti leonardeschi, cominciava ad apparire leggermente démodée rispetto a quella dei più giovani rappresentanti della “maniera moderna” di ritorno da Roma come Eusebio e Gaudenzio Ferrari. Si allentano i legami con la corte paleologa e l’artista sembra chiudersi in un orizzonte più locale apprestando opere per le chiese di Alba e dei dintorni fino alla sua morte avvenuta in una data imprecisata, successiva al 1513.
Macrino ha lasciato molte opere firmate e non poche datate e la sua maniera è facilmente riconoscibile sì che non erano i problemi attributivi quelli più preoccupanti; l’impegno più grave era invece quello di restituirne la cultura, il progetto e il rapporto con le preferenze e le attese dei committenti, di ricostruire, interrogando con lunga pazienza i documenti, un tessuto attorno alle sue opere caratterizzando, volta per volta, la particolare temperia dei centri dove lavorò, dalla Roma di papa Borgia, all’Alba del vescovo Novelli, ad Asti alla Casale Paleologa, di chiarire il significato e il peso che ebbe la sua opera nel Piemonte fin de siècle. É quanto ha fatto con grande finezza ed eccezionale competenza Edoardo Villata che con questo suo libro, intrecciando la lettura di documenti dei più diversi tipi e quella delle opere, collocando con giustezza l’artista nelle varie situazioni e nei diversi contesti in cui si è trovato a operare, restituendo con maestria i due versanti della produzione e della ricezione, ci ha dato una monografia per molti aspetti esemplare accompagnata da un esauriente catalogo delle opere e da un ottimo “percorso critico”.
Edoardo Villata, «Macrino d’Alba», Fondazione Ferrero, Alba 2000, pagg. 228, s.i.p.
Macrino d’Alba, «Ritratto di Anna Alençon», Crea, Santuario
NOMI CITATI
- Alessandro VI, papa [Rodrigo Borgia]
- Anna d’Alençon
- Bistolfi, Giovanni
- Compagnia dei Calzolai [Torino]
- Della Rovere [famiglia]
- Ferrari, Defendente
- Ferrari, Eusebio
- Ferrari, Gaudenzio
- Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero
- Gandolfino di Roreto [Gandolfino d’Asti]
- Ghineri, Bortolo [vedi Roberto Longhi]
- Longhi, Roberto
- Macrino d’Alba [Gian Giacomo de Alladio]
- Novelli, Andrea
- Paleologi [famiglia]
- Paleologo, Annibale
- Paleologo, Guglielmo IX, marchese di Monferrato
- Perugino [Pietro di Cristoforo Vannucci]
- Pinturicchio [Bernardino di Betto Betti]
- Romagnano, Amedeo di
- Romano, Giovanni
- San Giorgio di Biandrate, Gian Giacomo
- Spanzotti, Giovanni Martino
- Toesca, Pietro
- Villata, Edoardo
- Wharton, Edith
LUOGHI CITATI
- Alba [Cuneo]
o Chiesa di San Francesco d’Alba
- Asti
o Certosa di Valmanera
o Chiesa di Santa Maria Nuova
- Casale Monferrato [Alessandria]
- Certosa di Pavia [Pavia]
o Certosa di Pavia
- Città del Vaticano
o Palazzo Apostolico in Vaticano
▪ Appartamento Borgia
- Francoforte sul Meno [Germania]
o Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie
- Mondovì [Cuneo]
- Piemonte
- Roma
o Domus Aurea
- Serralunga di Crea [Alessandria]
o Santuario di Santa Maria dell’Assunta
- Tevere
- Torino
o Cattedrale di San Giovanni Battista [Duomo]
- Trino [Vercelli]
o Abbazia di Santa Maria di Lucedio
Collezione: Il Sole 24 Ore
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Citazione: Enrico Castelnuovo, “Ritratto in tondo di Macrino d'Alba,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 12 maggio 2025, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/168.