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Titolo: Contro feticci e miti dei capolavori d’arte

Descrizione: Intervento sul patrimonio culturale, a partire dai temi affrontati nel convegno L'histoire de l'art, accès au patrimoine. Enjeux et moyens (Nancy, 25-26 ottobre 1980); gli atti sono editi dal Ministère de la Culture et de la Communication nel 1981, con prefazione di André Chastel.
Castelnuovo presenta il Museo dell’École de Nancy come un modello virtuoso di tutela del patrimonio culturale e della storia del proprio territorio, dichiarandosi contrario alla celebrazione dell’opera d’arte come capolavoro avulso dal suo contesto. Segnala quanto flussi turistici massicci e incontrollati non siano sostenibili e provochino danni ai siti culturali, di contro al completo abbandono in cui versano altri luoghi non ancora valorizzati: in questo il Museo insegna come divulgare la memoria del territorio attraverso le proprie raccolte. A tal proposito, ricorda che al convegno sono state portate ad esempio due mostre piemontesi:

  • Valle di Susa. Arte e storia dall'XI al XVIII secolo (Torino, Galleria civica di arte moderna: 12 marzo-8 maggio 1977), a c. di Giovanni Romano;
  • Cultura figurativa e architettonica negli Stati del Re di Sardegna, 1773-1861 (Torino, Palazzo Reale, Palazzo Madama, Palazzina della Promotrice: maggio-luglio 1980), a c. di Enrico Castelnuovo e Marco Rosci.
Non è certa la partecipazione di Castelnuovo al convegno, parte delle iniziative promosse nel 1980 dal governo francese nell’ambito dell’Année du Patrimoine; una copia degli atti è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 114, n. 253, p. 3

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1980-11-15

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_10

Testo: «La Stampa» – Anno 114, n. 253, Sabato 15 novembre 1980, p. 3



La città modello di Nancy

Contro feticci e miti dei capolavori d’arte



Dietro le alte grate d’oro gli alberi della Place Stanislas hanno i colori dell’autunno, quei gialli chiari o bruni, quei rossi profondi che corrono per i flaconi e i vasi iridati di Gallé, per i vetri dei Daum. È una delle più belle piazze del mondo la Place Stanislas a Nancy, uno degli esempi più suggestivi di quelle Places Royales dove lo spazio delimitato da edifici simmetrici è dominato dalla statua del sovrano.
Un modo di organizzare lo spazio e il consenso che era nato con Enrico IV e che ai tempi di Luigi XV era arrivato all’apogeo, con la Place Vendôme, la Concorde, Amalienborg a Copenhagen, Nancy appunto. Era questa la residenza di Stanislas Leczinski, un re che spogliato della Polonia aveva ottenuto in cambio la Lorena e qui aveva voluto creare, a esempio per l’Europa dei sovrani assoluti, a modello per i vicini principi tedeschi, una nuova capitale.
Spazi amplissimi, simmetrie orchestrate con sapienza, palazzi e padiglioni concepiti e strutturati in modo unitario dall’architetto Emmanuel Héré. E poi l’idea incredibile e genialmente suntuosa delle grate forgiate da Jean Lamour e dorate con oro zecchino, grate che mascherano l’arrivo di certe strade, che si alzano davanti alle fontane barocche come grandi porte per cui si penetra dallo spazio del re a quello della natura. Oltre le grate d’oro, al di là dello spazio controllato e gerarchizzato delle grandi piazze in successione, comincia la città di tutti i giorni, grigia, un po’ provinciale.
Per trovar tracce dell’altro grande momento della storia di Nancy, quello che ne fa con Darmstadt e Torino una delle capitali dello style 1900, bisogna muoversi verso la periferia. Tracce rare purtroppo: la speculazione edilizia e la ristrutturazione conseguente non hanno lesinato colpi neanche qui, ma qua e là ne restano ancora. In una villa superstite è installato, dal 1965, il Museo dell’Ecole de Nancy, tempio e repositorio dell’Art Nouveau, popolato di vetri, di arazzi, di vasi, di flaconi e di specchi, di vetrate, di ferri battuti, di bronzi, di affiches, e soprattutto di grandi insiemi di ammobiliamento, sale da pranzo – luoghi dei nuovi riti –, studi, salotti, camere da letto dalle linee ora guizzanti e tortuose, ora più severe e trattenute.
È l’eredità della borghesia di Nancy, di un patrimonio creato in anni in cui la spartizione della regione – dopo la guerra del ‘70 i prussiani erano a Metz e la frontiera a due passi – aveva stimolato una sorta di ricerca di identità. Con il trionfo di Emile Gallé all’Esposizione Universale di Parigi del 1889 Nancy si scopre una vocazione, quella dei métiers d’art, delle arti applicate.
Si moltiplicano i laboratori artistico-artigianali dove si modella il ferro, si lavora il vetro, si scolpisce il legno, si disegna, si progetta. E prestissimo si moltiplicano i committenti: agiati rentiers, commercianti, medici, professori si buttano a capofitto nella corrente. Accanto a questi i dilettanti: come altrove erano esistiti architetti e pittori-gentiluomini qui proliferano artigiani alto-borghesi. Talora lavorano solo per loro: un eminente grammatologo, Ferdinand Brunot, professore in Sorbona e autore di una storia della lingua francese in più volumi, disegna e scolpisce con le proprie mani buffets e librerie di singolare scompostezza, trasformando i mobili in piante con trochi, rami e foglie.
Il piccolo cenacolo degli iniziati ebbe subito coscienza che quello che si stava facendo a Nancy era qualcosa di nuovo. E prestissimo sorse la convinzione che questi oggetti, che questi progetti facessero parte di un patrimonio culturale che andava tramandato e difeso. Una coscienza che si misura da molti segni: c’era chi abitava ormai a Parigi ma che, per una sorte di pietas municipale, legava il proprio arredamento alle collezioni cittadine e chi, volendo rinnovare gli interni della propria casa al momento del trionfo del geometrismo Art Déco, pensava di offrire al museo quegli insiemi floreali che non voleva più, ma di cui al tempo stesso intuiva la singolarità e l’importanza.
In questa città che molto ha distrutto, ma che molto ha saputo conservare, si è tenuto, diretto da André Chastel, un colloquio internazionale sulla storia dell’arte come strumento di accesso al patrimonio culturale (in Francia il 1980 è l’Année du Patrimoine). Molti intervenuti, francesi soprattutto, ma anche tedeschi e italiani. Si è anche parlato di Torino e c’è da esserne soddisfatti visto che le grandi mostre torinesi degli ultimi anni (da quella della Val di Susa a quella sugli Stati del Re di Sardegna) sono state portate a esempio.
Si sono appresi fatti e cifre impressionanti: i milioni di spettatori che sfilano ogni anno a Versailles, le centinaia di migliaia di entrate che registrano i castelli della Loira. E i danni e le degradazioni dovuti al superaffollamento dei santuari culturali. Le grotte di Lascaux, culla della pittura, sono state chiuse al pubblico, e per sempre, a causa dei danni causati dall’enorme affluenza di visitatori che modificando temperatura e umidità ha minacciato di distruggere i dipinti. Così accanto a quella vera si è costruita, o piuttosto scavata e arredata, una nuova grotta di Lascaux, fedelissima copia dell’originale, dove, ormai esclusivamente, il pubblico avrà accesso.
Da una parte questi eccessi di popolarità, dall’altra le distruzioni, la dimenticanza, l’abbandono. Da una parte la degradazione per eccesso, dall’altra per difetto. Di fronte a questi problemi che implicano certi orientamenti della cultura e della divulgazione è bene ripetere in tutti i modi che è necessario uscire dalla «cultura del capolavoro», dall’idea di un patrimonio culturale ridotto a qualche simbolo o luogo deputato cui si ha accesso preferibilmente d’estate, come alla spiaggia, per riuscire a far penetrare dappertutto una «cultura della tutela», della «contestualizzazione». Non più il museo immaginario di Malraux con pesca miracolosa e azzardoso avvicinamento di capolavori fuori del tempo e dello spazio, ma l’abitudine, la pratica quotidiana del patrimonio culturale; in questo senso il Museo dell’Ecole de Nancy, con il suo materiale ricco e composito, con il suo allegro bric-à-brac, può proporre un esempio.
C’è chi si lamenta che troppo poco si parla oggi di opere d’arte e troppo di beni culturali, ma di fronte a questa divaricazione tragicomica tra il feticismo per qualche oggetto e luogo (Dio sa quante maniglie e pomi di finestra scompaiono ogni anno da Versailles sottratti dall’adorante entusiasmo dei visitatori, visto che si è dovuta adibire un’intera stanza a deposito dei pezzi di ricambio!) e l’abbandono di migliaia, di decine di migliaia di altri, si impongono vie diverse da quelle sin qui battute.
Alla fine del Settecento, quando è cominciata quell’operazione di selezionare e antologizzare i capolavori, presto culminata nelle spoliazioni di Napoleone che voleva fare del Louvre il museo dei musei, Quatremère de Quincy si opponeva coraggiosamente al principio che potremmo chiamare di decontestualizzazione, vale a dire all’estrazione delle opere dal loro ambiente e dalla loro storia, un effetto che si può ottenere anche con quella forma di sradicamento e di isolamento che è favorita dal mito del capolavoro.
Oggi con i percorsi culturali obbligati e la gerarchizzazione delle opere distinte con una o più stelle secondo la loro presunta importanza siamo al termine del cammino. Lungi dall’essere un provincialismo il rapporto prioritario da stabilirsi con l’ambiente in cui si vive, con la sua storia e le sue diversissime testimonianze, è la strada maestra per la riappropriazione di un passato e, a partire di là, verso la comprensione di altri passati, di altri presenti.
Enrico Castelnuovo
NOMI CITATI

- Brunot, Ferdinand
- Chastel, André
- Daum [cristalleria]
- Enrico IV, re di Francia
- Gallé, Émile
- Héré de Corny, Emmanuel
- Lamour, Jean
- Leszczyński, Stanisław
- Luigi XV, re di Francia
- Malraux, André
- Napoleone I, imperatore
- Quatremère de Quincy, Antoine Chrysostome


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Copenaghen [Danimarca]
o Palazzo di Amalienborg
- Darmstadt [Germania]
- Metz [Francia]
- Montignac [Francia]
o Grotte di Lascaux
- Nancy [Francia]
o Musée de l’École de Nancy
o Place Stanislas
- Parigi [Francia],
o Musée du Louvre
o Place Vendôme
- Torino
- Valle della Loira [Francia]
- Versailles [Francia]
o Musée national des Châteaux de Versailles et de Trianon

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Contro feticci e miti dei capolavori d’arte,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/23.