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Titolo: Ghiberti: e l’artista divenne intellettuale

Descrizione: Intervento incentrato sull’evoluzione del ruolo sociale dell’artista nel passaggio tra medioevo e rinascimento, a partire dal caso di Lorenzo Ghiberti e dei Commentari; Castelnuovo licenzia questo articolo in occasione della presentazione in Palazzo Vecchio a Firenze degli atti del convegno Lorenzo Ghiberti nel suo tempo, tenutosi due anni prima nell'ambito del sesto centenario della sua nascita (Firenze, 18-21 ottobre 1978; atti editi da Leo S. Olschki, 1980, 2 voll.).
Una copia dell'opera è presente nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 115, n. 49, p. 3

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1981-02-27

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_11

Testo: «La Stampa» – Anno 115, n. 49 – Venerdì 27 febbraio 1981, p. 3



L’intuizione di un maestro del ‘400 Ghiberti

Ghiberti: e l’artista divenne intellettuale



Un grande artista fiorentino è stato giorni fa celebrato in patria con tutti gli onori. Cerimonia in Palazzo Vecchio nel Salone dei Duecento, squilli delle chiarine, le celebri trombe d’argento dei valletti della repubblica, indirizzo del sindaco, discorso di uno dei massimi storici dell’arte del nostro tempo, Rudolf Krautheimer [leggasi Richard], duca e maestro degli studi ghibertiani, e non solo di questi (la cui monografia su Ghiberti, esemplare per metodo e intelligenza, non è mai stata tradotta in italiano). Un cerimoniale fastoso non usuale quando si tratti di presentare al pubblico gli atti di un congresso; che questa era l’occasione: la pubblicazione dei due bei volumi su Ghiberti nel suo tempo (ed. Olschki) con le relazioni fatte nel 1978 al convegno promosso per il sesto centenario della nascita dell’artista dall’Istituto Nazionale di Studi per il Rinascimento.
Un artista celeberrimo, certo, ma misterioso, bifronte, che guardò verso il gotico cosmopolita delle corti e verso le nuove formulazioni coerenti e radicali di quel che si suole chiamare Rinascimento. Rivale di Brunelleschi ora ebbe la meglio (nella famosa gara per le porte del Battistero, primo caso di questa importante istituzione del campo artistico che è il concorso pubblico, bene indagato in un testo di Antje Kosegarten), ora la peggio (per esempio nei lavori per la Cupola del Duomo), orafo celeberrimo, ma anche architetto, disegnatore di vetrate, scrittore, storico, anzi il primo storico dell’arte italiana. Sappiamo tante cose di lui, ma la sua personalità sembra sfuggirci. Maggiore luce potrà venire dal libro che ci ha lasciato (esaminato in due importanti interventi di Graziella Federici-Vescovini e di Janice Hurd) e che noi chiamiamo Commentari un nome che forse egli non volle mai dargli.
Tre parti di cui siamo soliti leggere solo la sezione centrale, il secondo libro, in cui con un piglio e con un’impronta personale che piacevano tanto al grande Schlosser da preferirlo al paludato e cortigiano Vasari, parla dei grandi artisti fiorentini e senesi che l’hanno preceduto. Non è fiorentinocentrico, come lo sarà Vasari, anzi tra tutti preferisce proprio un senese, Ambrogio Lorenzetti, si ferma a ricordarne gli affreschi, ne evoca i particolari, alternando la frase presa in prestito dallo scrittore antico e l’annotazione personale.
E diversamente dall’orgoglioso Vasari, mostra di essere veramente cosmopolita: lo scultore che ammira di più è un certo Gusmin «maestro nell’arte statuaria molto perito» nato a Colonia e che aveva lavorato per il duca d’Angiò, uno dei massimi committenti d’opere d’arte del suo tempo. Si ferma a questo proposito su un episodio che doveva averlo colpito e preoccupato profondamente, mostrandogli come il nuovo statuto dell’artista appena conquistato, come quella liberazione che appena si andava delineando dalla schiavitù delle arti meccaniche fossero in fondo legati a un filo.
Gusmin aveva realizzato una splendida opera per il suo committente, ma un giorno il Duca a corto di denari decise di farla fondere per ricavarne l’oro di cui era fatta, mostrando di valutare il prezzo della materia più di quello che vi aveva impresso la mano dell’artista, il quale vide «disfare l’opera la quale aveva fatta con tanto amore e arte pe’ pubblici bisogni del duca». Assistendo alla distruzione della sua creazione Gusmin prende coscienza della alienazione totale che condiziona lo stato dell’artista lascia la professione e si ritira «su uno monte ove era un grande romitorio».
Ghiberti ha coscienza che i tempi di Gusmin sono ancora vicini e per difendere la nuova condizione dell’artista sceglie un comportamento complesso e non ancora pienamente valutato. In campo artistico a Firenze è lui il grande mediatore, tratta con i massimi committenti, le arti, la repubblica, l’opera del Duomo, calcola le probabilità e le possibilità del successo valutando le attese del pubblico e dei committenti, pronto a trattenersi quando non è sicuro di far passare messaggio, la soluzione che gli stanno a cuore.
È un po’ quanto succede per la formella del concorso. Molti indizi fanno ritenere che Ghiberti in quell’anno 1401 sapesse bene cos’era il nuovo stile «gotico internazionale», d’oltralpe. C’era tra l’altro a Firenze uno scultore nordico, su cui ora comincia a portarsi l’attenzione, Piero di Giovanni tedesco. Costui nel 1399 aveva fatto una scultura della Vergine col Bambino per la nicchia della corporazione dei Medici e Speziali, di Or San Michele, il cui panneggio è un vero manifesto del «weiches Stil», dello stile dolce e manierato delle «Belle Madonne».
E d’altra parte Ghiberti, come ci racconta lui stesso, era stato, nel 1400, alla corte dei Malatesta a Pesaro dove oggetti del nuovo stile non dovevano certo mancare. Eppure quando con mille precauzioni, cautele, ripensamenti, esegue la formella con il Sacrificio di Isacco per il concorso, mette in sordina il nuovo stile e tenta una sorta di compromesso col classicismo fiorentino che a ragione crede poter avere migliori probabilità. Vince la prova e a questo punto si getta letteralmente nel gusto internazionale.

Per l’artista informato ed accorto non c’era certo bisogno di aspettare il rientro in Spagna dello Starnino per abbracciare il nuovo linguaggio che sapientemente e volutamente aveva tenuto sotto controllo. Come tutti sanno Ghiberti non sarà opposto ai mutamenti. La sua stagione internazionale conoscerà un declino e una nuova fase si aprirà, ma non sarà una conversione superficiale.
E qui ritorna il caso difficile dei Commentari. Noi storici dell’arte in un certo senso consideriamo quest’opera in funzione ancillare, ne prendiamo quanto ci può servire in primo luogo per fornirci notizie sul Trecento, sulle opere del Ghiberti medesimo ecc., ma trattiamo il resto con fastidio.
Il primo libro lo consideriamo un centone di notizie sull’arte antica ripreso da qualche antico testo che circolava, il terzo lo troviamo pieno di ripetizioni e confuso e tedioso, ci annoia quanto vi si dice sull’occhio, sulla percezione, sulle ipotesi che allora circolavano sulle leggi dell’ottica.
Il fatto è che Ghiberti non è più Cennini, non gli basta fare un libro di ricette sul modo pratico di disegnare o di lavorare ad affresco o di scolpire. Ghiberti sa che la salvezza per l’artista nella sua nuova condizione sta appunto nel divenire, nell’essere, nel sembrare un intellettuale. Ha di fronte l’esempio di Alberti, ma la sua condizione è ancora diversa, perché è un pratico, un artista, un grande impresario, il responsabile della più grande bottega che sia in Firenze. Allora compila affannosamente e riunisce le note (che detta a persone che tra l’altro male intendono i nomi che fa), si occupa di notomia, di geometria, di ottica, di storia delle arti, recente ed antica. Le citazioni sono spesso tradotte e arrangiate alla buona, un po’ affastellate. Plinio, Vitruvio, Alhazen, Avicenna, Peckham, Bacon, Witelo si alternano.
Un tale entusiasmo, un tale interesse fanno del resto pensare che le connessioni tra ottica, geometria e pratica artistica possano essere seguite anche più indietro. Non vorrei avventurarmi su terreni pericolosi e poco controllabili, ma non è assurdo pensare che l’ambiente viterbese del tempo in cui Pietro Ispano (papa Giovanni XXI, 1276-77), riuniva alla sua corte Witelo, Pecham e i più celebri scienziati del tempo abbia potuto avere qualche influenza sullo sviluppo della nuova pittura tridimensionale, né che la presenza a Parigi, e alla corte di Charles V, di Nicolas Oresme, il massimo geometra del suo tempo, abbia qualche rapporto con la eccezionale importanza che la rappresentazione dello spazio assume nei disegni e nei progetti di Jean de Bondol, pittore del re e autore dei cartoni degli arazzi dell’Apocalisse di Angers.
I Commentari sono un po’ la punta dell’iceberg e Ghiberti è l’esemplare e geniale rivelatore di una situazione che andava da tempo maturando. In realtà questo rapporto tra riflessione sull’ottica, sulla geometria e modi della rappresentazione non ha avuto inizio a Firenze nel Quattrocento per la prima volta; è la via che libererà l’artista dalla sua condizione di meccanico: andrà riesplorata insieme alla storia della Scienza.
Enrico Castelnuovo 
NOMI CITATI
- Alberti, Leon Battista
- Alhazen
- Arte dei Medici e Speziali [Firenze]
- Avicenna
- Bacon, Roger
- Bondol, Jean de
- Brunelleschi, Filippo
- Carlo V, re di Francia [il Saggio]
- Cennini, Cennino
- Federici Vescovini, Graziella
- Ghiberti, Lorenzo
- Giovanni XXI, papa [Pietro Ispano, Pietro di Giuliano]
- Gusmin di Colonia
- Hurd, Janice Levine
- Kosegarten Middeldorf, Antje
- Krautheimer, Richard
- Lorenzetti, Ambrogio
- Malatesta [famiglia]
- Olschki [Leo S.]
- Opera di Santa Maria del Fiore [Firenze]
- Oresme, Nicolas
- Peckham, John
- Piero di Giovanni [P. Tedesco]
- Plinio il Vecchio
- Schlosser, Julius von
- Starnina [Gherardo di Jacopo]
- Vasari, Giorgio
- Vitruvio Pollione, Marco
- Witelo

LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Firenze
o Battistero di San Giovanni Battista
o Orsanmichele
o Duomo [Cattedrale di Santa Maria del Fiore]
o Istituto Nazionale di Studi per il Rinascimento
o Palazzo Vecchio
▪ Salone dei Duecento
- Parigi [Francia]
- Pesaro [Pesaro-Urbino]

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Ghiberti: e l’artista divenne intellettuale,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/24.