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Titolo: Modigliani: cade il mito, resta il pittore

Descrizione: Recensione della mostra: Amedeo Modigliani 1884-1920, organizzata in occasione del ventesimo anniversario del Musée d’Art Moderne de Paris (26 marzo-28 giugno 1981); Castelnuovo introduce il pittore, focalizzandosi soprattutto sul contesto dell’«Ecole de Paris» d’inizio secolo. Sono menzionate le due retrospettive tenutesi nel 1958 a Milano (Palazzo Reale: novembre-dicembre 1958, catalogo a c. di Franco Russoli) e nel 1959 a Roma (Galleria Nazionale di Arte Moderna: gennaio-febbraio 1959, catalogo a c. di Nello Ponente con un saggio critico di Palma Bucarelli).
Una copia del catalogo della mostra di Parigi e della mostra di Roma è presente nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 115, n. 118, p. 7

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1981-05-20

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_13

Testo: «La Stampa» – Anno 115, n. 118, Mercoledì 20 maggio 1981, p. 7



Grande folla a Parigi per vedere 250 pitture, sculture, disegni e falsi

Modigliani: cade il mito, resta il pittore

Il Museo d’arte moderna ha allestito la maggior retrospettiva finora realizzata del livornese divenuto «il principe di Montparnasse» - Dal trauma del forzato abbandono della scultura alla tormentata ricerca di nuove formule pittoriche - L’incontro con Picasso e lo scatto d’insofferenza verso Renoir - Come arrivò ai lunghi colli e alle odalische - Quindici anni che videro l’affermazione e il tramonto delle avanguardie storiche.



PARIGI — Una grande folla continua ad accorrere alla retrospettiva di Amedeo Modigliani organizzata, a circa cinquant’anni dalla morte dell’artista, dal Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, dove resterà aperta fino al 28 giugno. È una manifestazione di prestigio, la maggiore finora realizzata (circa 250 opere tra pitture, sculture, disegni), con cui il civico museo parigino festeggia i suoi vent’anni e rivendica, attraverso un omaggio al mitico eroe dell’«Ecole de Paris», la propria funzione e ragion d’essere di fronte al celebratissimo Beaubourg e alle sue scorrerie cosmopolite.
A giudicare da ciò che è apparso su quotidiani e periodici si direbbe che il mito Modigliani cominci a offuscarsi. L’inversione di tendenza è sensibile se si ricorda ciò che si scriveva nel ‘58/’59, al tempo delle mostre di Milano e di Roma. Si tratta di uno di quei cambiamenti di moda che, secondo alcuni antropologi, avvengono regolarmente ogni venticinque anni? Di un passaggio di generazione? I critici più giovani valutano diversamente le situazioni, i protagonisti, i valori di un determinato momento? O forse i grandi movimenti, fauve/espressionismo, cubismo, dada/surrealismo, hanno occupato tutto l’orizzonte e messo in crisi la coerenza e l’esistenza stessa dell’«Ecole de Paris» celebrata, sia pur aneddoticamente, per tanti anni? O ancora il fiume di triviale letteratura agiografica che ha inventato e sfruttato la leggenda dello scomodo e sfortunato «principe di Montparnasse» – malgrado l’onesto e intelligente sforzo di Jeanne Modigliani di riportare il personaggio alla sua dimensione storica – ha finito per suscitare un’opposta reazione? Varrà la pena di non chiudere gli occhi di fronte alle opere e di abbordare Modigliani senza troppo far caso della sua fortuna discendente né dei bene intenzionati che cinquant’anni dopo ci spiegano cosa avrebbe dovuto fare o non fare.
Modigliani aveva studiato sotto la guida del vecchio Fattori e dei suoi discepoli, attardati macchiaioli. Anche se Livorno, nella lenta e calma Toscana, era una città industriale e vivace, non gli conveniva. Fece così quello che altri da Milano o da Roma avevano fatto in quegli stessi anni: andò prima a Firenze, poi a Venezia dove, grazie anche alla Biennale, l’informazione circolava di più, quindi a Parigi.
Siamo nel 1906. Parigi non è solo diversa perché metropoli (è quest’aspetto su cui, proprio in quell’anno, Boccioni insiste in una lettera alla madre), perché culla e vetrina delle esperienze artistiche più nuove. È la città dove un campo artistico complesso e modernamente strutturato si va rapidamente costituendo, modificando in più di un punto la precedente situazione.
Ci sono scrittori, critici, intellettuali cui viene riconosciuto il potere di legittimare i nuovi artisti, di definire confini e valori delle avanguardie. Sono diversi dai professionisti ufficiosi e ufficiali dei Salons. Scrivono in organi a circolazione limitata, ma abbastanza esclusiva. Partecipano a piccoli cenacoli che si autodefiniscono e si autolegittimano: si chiamano Apollinaire, Max Jacob, Felix Fénéon, Pierre Reverdy, André Salmon, Blaise Cendrars. Appaiono i primi mercanti delle nuove tendenze, come Kahnweiler o, per Modigliani, Paul Guillaume (Stella Maris, Novo Pilota lo definirà, alla maniera di D’Annunzio in un ritratto) e Léopold Zborowski.
Collezionisti appassionati, anche se dai mezzi limitati, acquistano le tele di coloro che vengono decretati nuovi pittori, il dottor Paul Alexandre, gli ufficiali di polizia Descaves, Zamaran. Ateliers, come il Bateau Lavoir, impasses e piazzette vedono proliferare e avvicendarsi colonie di artisti. Si delinea una geografia artistica con al Nord Montmartre, la Place du Tertre, la rue Caulaincourt, al Sud Montparnasse e la Cité-Falguière. Ci sono gli innovatori iconoclasti riconosciuti, Picasso, Braque, Matisse, c’è Brancusi, ci sono i partecipanti all’avventura fauve, gli ultimi pointillistes, c’è un’avvertita colonia anglo-americana, c’è il flusso continuo dei métèques che giungono dalla Bulgaria, dalla Polonia, dalla Russia.
Cosa doveva fare un artista che nel 1906, l’anno della morte di Cézanne, arrivava dall’Italia? È lo stesso anno dell’approdo di Severini, del primo viaggio di Boccioni. Boldini è celebre, ci sono Medardo Rosso, Soffici, Zandomeneghi. Per prima cosa lavare i pennelli nella Senna; eppure mai Modigliani si dimenticherà completamente dei soggetti, dei modi di presentazione e della gamma cromatica dei macchiaioli, come nel ritratto (del 1918) di una bambina in piedi, esitante, un po’ goffa, abito grigio contro fondo grigio, pavimento di mattonelle rosse. E poi studiare, studiare, studiare. Conoscere artisti, collezionisti, mercanti, scoprire quali sono i nuovi poncifs, cercare la compagnia dei critici più «in», e naturalmente esporre in un Salon non del tutto ufficiale, agli Indépendants, al Salon d’Automne. Infine trovare una formula caratterizzante in un terreno tanto frequentato e percorso.
Modigliani ha un carattere difficile, non viene da una famiglia di artisti, come Picasso, o di artigiani, come Braque, è un enfant-gâté medio-borghese, straniero, ebreo e fiero di esserlo per giunta. Per farsi strada, se ne rende conto, occorrerebbe capire i meccanismi che regolano il funzionamento del campo artistico: un modello potrebbe essere Picasso, che però lo mette a disagio. Quando lo incontra gli fa anche un ritratto, un volto la cui felice sicurezza è marcata dal guizzare di un sorriso ironico, il fondo ricoperto da geroglifici ove le lettere del nome del ritrattato, spaziate e disordinate, si oppongono alla firma ricercatamente elaborata dell’autore, a una parola-chiave che significa ammirazione, emulazione, che è un programma: savoir. Perché Picasso sa, e lui, Modigliani, non è tanto sicuro di sapere.
Così comincia a cucinare Boldini in una salsa più moderna nell’Amazzone che campeggia sulla copertina del catalogo e nei disegni che la preparano. Introduce elementi cézanniani in presentazioni più tradizionali (ritratto di Paul Alexandre), si interessa a Toulouse-Lautrec, a Steinlen, al Picasso pre-cubista e, con qualche preoccupazione, a quello più recente, verso il 1906/07. Ma il suo problema principale è la scultura, appena arrivato comincia a scolpire in legno, poi in pietra, frequenta Brancusi, Laurens, Lipschitz, moltiplica i progetti plastici disegnati o dipinti, si attacca alla pietra per cercare, in un recupero arcaico, alcuni capolavori della plastica del Novecento di una semplificazione inarrivabile.
Il trauma più grande di Modigliani sarà di abbandonare la scultura perché fisicamente inabile a portare avanti quello sforzo. A questo punto prende a dipingere con formule sapientemente ironiche i ritratti degli amici scultori, come Laurens, Lipschitz (a Parigi dal 1909), Metschianinoff [leggasi Miestchaninoff] (si confrontino i due ritratti della mostra, di cui uno era appartenuto a Fénéon, con quello dipinto più tardi da Soutine, esposto a Beaubourg), di pittori come Kisling (a Parigi dal ‘10), come Diego Rivera (a Parigi dal 1907), quest’ultimo realizzato con un impasto grumoso alla Rouault e un fuoco d’artificio di sprazzi cromatici recuperati dai neo-impressionisti, o come Soutine, fanciullo infagottato appena sbarcato (nel ‘13) dalla Russia, di critici e mercanti come Paul Guillaume o Max Jacob il cui ironico snobismo segna in modo indimenticabile un quadro che era nella collezione di un altro amatore esigente, il couturier Paul Poiret.
Nel ‘16 Modigliani incontra il poeta polacco Léopold Zborowski che tenta di imporlo sul mercato. Pressappoco da questo momento si può avvertire una differenza tra i quadri privati, quelli per gli happy few che fanno parte del gruppo, e quelli destinati a un pubblico ancora imprecisato. Di qui la nascita del Modigliani più cifrato, ripetitivo, conosciuto (e falsificato come ha ben esemplificato la mostra), con le teste un po’ storte sul lungo, celebre collo.
La serie dei nudi, di queste provocanti e angolose odalische color mattone, pone più di un problema. La ricerca di una nuova formula, che non sia quella di Renoir, di Matisse o di Vallotton, che affermi con una linea espressiva un’aggressiva sensualità, lo preoccupa ma non lo soddisfa. Ciò si manifesta anche nello scatto d’insofferenza che ha nei confronti del vecchio Renoir una volta che questi insisteva a lodare la tecnica delicata e la bella materia dei propri ultimi nudi: «...mais ces roses, les roses de ces fesses, pendant des jours et des jours je les ai caressées», sul che Modigliani parte sbattendo la porta e lanciando: «Je n’aime pas les belles fesses, moi».
Intanto si manifestano con evidenza i segni del ritorno all’ordine (che culminano nelle Natività del ‘19) in una sorta di patetico cézannismo di ragazzi un po’ tristi con la testa appoggiata al braccio o le mani raccolte sulle ginocchia. Nella Fillette in bleu, nel Fils du Concièrge. nella Jeune Femme de Chambre, appare un’atmosfera contrita nella presentazione del soggetto, modesto e sottomesso. Non v’è più traccia dell’Humour sottile del Max Jacob, dell’intelligenza allegra che utilizzava cautamente procedimenti cubisti nel leggero décalage di piani che taglia lungo l’asse verticale gli Sposi del 1915.
Il soggiorno in Provenza (1918/19) incoraggia questa direzione, lo porta a interpretare Cézanne secondo dei moduli che alla lontana sono toscani in una sorta di compunto classicismo mediterraneo. Belli come al solito certi ritratti per la piccola cerchia degli amici e dei collezionisti, il volto toccante di Jeanne Hébuterne con il naso lungo, lo chignon o i capelli sciolti, quelli del Niçois, di Dutilleul, di Zborowski, di Franz Hellens, più viennese che parigino. E gli studi sul volto di Hanka Zborowska, un ovale o piuttosto una forma ellissoide polita, affusolata, sempre più affinata, dove convergono le ricerche della scultura.
La morte coglie Modigliani in una fase di riflusso quando ormai aveva consacrato certi schemi inconfondibili, certe formule patetiche. La sua rapida malattia nell’atelier gelido, il disperato suicidio di Jeanne che segue la sua fine lo consegnano alla leggenda e alla letteratura. Tutto il suo comportamento, il suo modo di vivere sembrano aver preparato la sua entrata nel mito, ma i suoi ritratti, le sue sculture restano testimonianze eccezionali, sovente singolarmente isolate, ironicamente appartate, di quel quindicennio 1906/20 che vide l’affermarsi e la crisi delle avanguardie storiche.

Amedeo Modigliani: «Nudo sdraiato, con un braccio ripiegato sulla fronte», del 1917; Modigliani: l’ironia del «Max Jacob (1916, particolare); Amedeo Modigliani: «L’Amazzone», dipinto a Parigi nel 1909 
NOMI CITATI

- Alexandre, Paul
- Apollinaire, Guillaume
- Boccioni, Umberto
- Boldini, Giovanni
- Brâncuși, Constantin
- Braque, Georges
- Cendrars, Blaise
- Cézanne, Paul
- D’Annunzio, Gabriele
- Descaves, Victor Max
- Dutilleul, Roger
- Fattori, Giovanni
- Fénéon, Felix
- Guillaume, Paul
- Hébuterne, Jeanne
- Hellens, Franz
- Jacob, Max
- Kahnweiler, Daniel-Henri
- Kisling, Moïse
- Laurens, Henri
- Lipchitz, Jacques
- Matisse, Henri
- Miestchaninoff, Oscar
- Modigliani, Amedeo
- Modigliani, Jeanne
- Picasso, Pablo
- Poiret, Paul
- Renoir, Pierre-Auguste
- Reverdy, Pierre
- Rivera, Diego
- Rosso, Medardo
- Rouault, Georges
- Salmon, André
- Severini, Gino
- Soffici, Ardengo
- Soutine, Chaïm
- Steinlen, Théophile Alexandre
- Toulouse-Lautrec, Henri de
- Vallotton, Felix
- Zamaran, Léon
- Zandomeneghi, Federico
- Zborowska, Hanka
- Zborowski, Léopold


LUOGHI CITATI
- Firenze
- Livorno
- Milano
o Palazzo Reale
- Parigi [Francia]
o Bateau Lavoir
o Centre Georges Pompidou
o Cité-Falguière
o Montmartre
o Montparnasse
o Musée d’Art Moderne de Paris
o Place du Tertre
o Rue Caulaincourt
- Provenza [Francia]
- Roma
o Galleria Nazionale d’Arte Moderna
- Toscana
- Venezia

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Modigliani: cade il mito, resta il pittore,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/26.