Fuochi d’artificio dei Gonzaga a Londra (dettagli)
Titolo: Fuochi d’artificio dei Gonzaga a Londra
Descrizione:
Recensione della mostra: Splendours of the Gonzaga (Londra, Victoria and Albert Museum: 4 novembre 1981-31 gennaio 1982), a c. di David Chambers e Jane Martineau. A partire dalle opere in rassegna, Castelnuovo offre una panoramica sul gusto collezionistico dei Gonzaga tra XV e XVII secolo, dal marchese Gianfrancesco al duca Vincenzo II.
Una copia del catalogo è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 115, n. 266, p. 3
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1981-11-12
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_14
Testo:
«La Stampa» – Anno 115, n. 266, Giovedì 12 novembre 1981, p. 3
Splendori del Rinascimento in mostra al Victoria and Albert Museum
Fuochi d’artificio dei Gonzaga a Londra
La grande mostra illustra due secoli di committenza e collezionismo dei signori di Mantova - Dal Pisanello al Mantegna, al museo portatile di Isabella d’Este: gemme, cammei, microsculture, maioliche, pitture fiamminghe - Ma il tentativo di stupire e coinvolgere il pubblico rasenta «momenti di follia»: la «Camera degli Sposi» riprodotta in scala, con fotografie a colorì al posto di impareggiabili affreschi; un modello del Palazzo del Tè.
LONDRA — «Splendours of the Gonzaga»: con questo titolo si è aperta la scorsa settimana al Victoria and Albert Museum di Londra la più grande esposizione che da cinquant’anni a questa parte – avverte la pubblicità – sia stata consacrata al Rinascimento italiano. È una mostra che va incontro alle attese del pubblico inglese. Mentre l’Ira dissemina le sue bombe in piena Londra e la British Leyland è in crisi profonda, sono alla moda le corti del Rinascimento, alla televisione ha gran successo un feuilleton sui Borgia, dilaga un’acuta nostalgia del passato (proprio nella subway che porta al Victoria and Albert un chiosco di bibite si intitola alla «Noshtalgia») e i fasti di un’istituzione che in Inghilterra ha ancora tanto peso, come la corte, esercitano il loro richiamo, il loro fascino rassicurante.
In apertura della mostra ha parlato il principe Carlo, che ha impresso con humour il sigillo reale all’iniziativa. Seguendo i principi di Galles, il pubblico all’inaugurazione ha atteso a lungo, trattenuto con garbo dal servizio d’ordine, davanti a una massiccia porta in mattoni gialli, con tanto di stemmi, di merli, di caditoie e d’altri espedienti difensivi, copia di una porta di Mantova per cui si penetra nel recinto della mostra. È un primo segno questo della pratica espositiva, un po’ alla d’Andrade, alla Borgo Medievale, che cerca di stupire e di coinvolgere il pubblico e che è tipica del Victoria and Albert.
Altre curiosità attendono il visitatore che abbia varcato la porta: una ricostruzione in scala 1:2 della Camera degli Sposi ricreata, come scrive il Guardian in un «tipico momento di follia» con foto a colori che rimpiazzano gli incarreggiabili [sic] affreschi, più avanti altri modelli, maquettes e simili illustrano il Palazzo del Tè e le chiese di Giulio Romano. Una prova difficile per i maquettisti del Victoria and Albert, ormai rotti [sic] ad ogni impresa da quando l’estroso e dinamico Roy Strong, che in precedenza aveva animato e spolverato quella meravigliosa istituzione britannica che è la National Portrait Gallery, regge le sorti del museo.
In assenza di molti originali non trasportabili, gli allestitori hanno puntato su una mostra ad effetto donde l’uso frequente di ricostruzioni, stereofotografie e simili o la teatrale disposizione di due dei cavalli di Sabbioneta e dei busti in terracotta mantovani, fino alla riuscitissima esibizione dei grandiosi frammenti dell’Adorazione della Trinità di Rubens, leggibili come a Mantova non era possibile.
Accompagnata da un ottimo catalogo (cui tra gli altri hanno collaborato H. Burns, D.S. Chambers – organizzatore della mostra –, Ernst H. Gombrich, Mario Praz e Ilaria Toesca) la mostra illustra la committenza e il collezionismo dei Gonzaga per due secoli, dal primo marchese Gianfrancesco, committente del Pisanello, fino a Vincenzo II e a Carlo di Nevers che cedettero le collezioni dei Gonzaga a Carlo I d’Inghilterra. Quella dei Gonzaga fu una dinastia abbastanza tranquilla – senza alti fatti d’arme né esemplari delitti – così almeno ce la presenta Jacob Burckhardt nella sua Civiltà del Rinascimento in Italia.
Concentrando per secoli nella loro capitale gli investimenti simbolici essi riuscirono a farne quella straordinaria città che un viaggiatore inglese del Seicento dichiarava di preferire a Londra. L’autore di questa asserzione, Thomas Coryat, era un globe trotter incallito e maniaco. Sui primi del Seicento disceso via Francia nell’Italia Settentrionale (descrisse Torino – di cui poco poté vedere per i troppi vini piemontesi bevuti –, Cremona, Mantova, Padova e Venezia) partirà più tardi per un lunghissimo viaggio a piedi per la Grecia, la Turchia e l’India da cui non farà ritorno. Che questo antenato del Travellers Club e di Phileas Fogg facesse tanto conto di Mantova è significativo.
I gusti e la committenza dei primi marchesi, Gianfrancesco e Ludovico Gonzaga, sono documentati solo parzialmente, evocati dalle medaglie, da un frammento degli affreschi mantovani di Pisanello – la cui datazione è stata resa possibile dalle brillanti indagini di Ilaria Toesca –, dal busto di Ludovico attribuito all’Alberti, da qualche codice di gran qualità illustrato per il marchese Ludovico o per il cardinal Francesco, oltreché dalla riproduzione della Camera degli Sposi di cui si è detto.
Un solo dipinto del Mantegna è presente, l’Adorazione dei Magi, bella e poco conosciuta, della marchesa di Northampton. Più ricca la serie di opere in rapporto con Gianfrancesco Gonzaga, conte di Rodigo, e con la di lui moglie Antonia del Balzo, committenti di Pier Jacopo Alari-Bonacolsi, autore di ricercati bronzetti che per lo stile archeologizzante e i soggetti veniva chiamato, già a suo tempo, l’Antico. Egli si ispirava alle più celebri sculture antiche da lui studiate a Roma, riducendo le grandi statue marmoree alla dimensione di eleganti bibelots di bronzo.
In questa curiosità per il pezzo di piccolo formato, in queste preferenze per un raffinato tentativo di museo portatile, c’è già in nuce il gusto di Isabella d’Este, moglie del marchese Francesco Gonzaga, un astro nella storia della famiglia. L’inglese Julia Cartwright dedicò, all’inizio del Novecento, un libro che ebbe grande fortuna a questa bas bleu poco sopportabile, esigente, mondana più che erudita.
Il marito, Francesco, amava le grandi commissioni, magari a spese d’altri come nel caso (illustrato da S. Settis nel IV volume degli Annali della «Storia d’Italia» Einaudi 1981) della Madonna della Vittoria del Mantegna. Il gusto di Isabella voleva essere più esclusivo, arcano, cifrato. I suoi studioli, le sue grotte, i suoi giardini segreti, luoghi appartati ove cercava la compagnia di pochi, erano i templi, i rifugi, i tesori della sua curiosità e della sua volontà di distinguersi. Anni fa (1975) Sylvie Béguin aveva allestito al Louvre una piccola esposizione sullo studiolo di Isabella. La mostra londinese procede su questo punto piuttosto per allusioni, ma bene riesce a illuminare l’interesse di Isabella per certi oggetti antichi o anticheggienti, le gemme, i cammei, le micro-sculture, le maioliche (a Londra son tra l’altro riuniti da varie provenienze i resti di un celebre servizio di piatti fatto per Isabella da Niccolò da Urbino), le pitture fiamminghe (nel 1506 la marchesa aveva acquistato due Van Eyck da una collezione veneziana).
Molte volte Isabella si fece ritrarre, ma poche sono le opere che possiamo considerare come sicure testimonianze delle sue fattezze: un medaglione di Gian Cristoforo Romano e probabilmente un disegno (oggi al Louvre) di Leonardo eseguito quando questi nel 1499, fuggendo l’invasione francese a Milano, era passato da Mantova.
Alla mostra si vedono il medaglione e una replica del disegno di Leonardo (Oxford), attorniati da altre immagini che la tradizione vorrebbe essere quelle di Isabella: la giovane donna con cagnolino di Lorenzo Costa, il ritratto di gentildonna di Giulio Romano (ambedue appartenenti alle collezioni della regina) o ancora un’immagine di donna che tiene un ritratto virile di Bernardino Licinio (Milano, Castello). Il fatto è che tra la fine dell’Otto e il principio del Novecento, quando, non a caso, si moltiplicavano gli studi (Yriarte, Luzio, Cartwright) su questa antesignana del ruolo femminile, con troppa frequenza si vollero riconoscere in dipinti del tempo i tratti della marchesa di Mantova.
Il suo mito ha potuto lasciare un po’ nell’ombra, per il gran pubblico, il figlio Federico lI, primo duca di Mantova, che fu in realtà nelle sue commissioni e nei suoi investimenti artistici ben più entusiasta, intraprendente e conclusivo della madre. Per il duca lavorò Tiziano che ne fece uno splendido ritratto (ora al Prado) e che, tra il 1523 e il 1540, gli vendette più di trenta opere di cui alcune sono in mostra: la celebre Madonna con Santa Caterina e un coniglio del Louvre, un ritratto di guerriero e quello di Giulio Romano, ambedue in collezioni private.
Particolarmente significativo quest’ultimo perché il geniale allievo di Raffaello fu per un quindicennio regista e supervisore della politica artistica del duca e trasformò il volto di Mantova facendone una capitale rinascimentale. È quello di Giulio (su cui in catalogo si veda il saggio di Ernst Gombrich) il solo nome di un artista del Rinascimento fatto da Shakespeare che in The Winter’s Tale vanta i meriti di «That rare Italian Master».
Per sventura del Piemonte, il duca Federico sposò Margherita Paleologo, marchesa di Monferrato, e questo significò che il figlio Guglielmo poté rivendicare la propria sovranità su Casale e i suoi Stati proprio quando il ducato di Mantova era divenuto una roccaforte della strategia imperiale a tutti i livelli, politico, culturale e religioso, e allorché al grande e libero momento del duca Federico seguiva un periodo di modi più rigidi e devoti. Come i Gonzaga abbiano distrutto la tradizione pittorica di Casale, emarginando e annientando gli antichi committenti, non ce lo può indicare la mostra, ma ce lo aveva raccontato il bel libro di G. Romano, Casalesi del Cinquecento (1970).
L’ultimo fuoco d’artificio della famiglia Gonzaga fu acceso dal duca Vincenzo I, contemporaneo e per certi aspetti simile all’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, interessato come il sovrano austriaco all’alchimia, come questi coinvolto nelle guerre contro i turchi, contro cui cercò addirittura (ma senza successo) di usare gas asfissianti, fanatico collezionista, mecenate entusiasta di musici e pittori. Egli ebbe la fortuna di far lavorare per sé Monteverdi e Rubens, accanto all’aulico Frans Pourbus.
La spettacolosa adorazione della Trinità di Rubens dove tre generazioni di Gonzaga in gran pompa, disposte secondo una calcolata etichetta, assistono alla presentazione di un arazzo con l’immagine della Trinità, dispiegato da angeli volanti, suggella con sorprendente maestria espositiva la fase finale della mostra.
Iniziata con il ritratto di Enrico VI di Lancaster che aveva insignito di importanti ordini cavallereschi Gianfrancesco Gonzaga, l’esposizione londinese si chiude con l’immagine di un altro monarca inglese, lo Stuart Carlo I (ritratto da Gerrit van Honthorst) che si assicurò i tesori di Mantova, esempio illustre e precoce di quella liquidazione del patrimonio artistico italiano che ancora continua.
Enrico Castelnuovo
Londra. Due opere esposte alla mostra «Splendori dei Gonzaga». Lorenzo Costa: «Ritratto femminile con cagnolino», la cosiddetta Isabella d’Este (Londra, collezioni della Regina) e, sotto, «Gianfrancesco Gonzaga a cavallo», di un anonimo scultore veneziano (Palazzo Ducale, Sabbioneta)
NOMI CITATI
- Alari Bonacolsi, Pier Jacopo [l’Antico]
- Alberti, Leon Battista
- Béguin, Sylvie
- Borgia [famiglia]
- British Leyland
- Burckhardt, Jacob
- Burns, Howard
- Carlo I, re d’Inghilterra
- Carlo, principe del Galles [Carlo III, re del Regno Unito]
- Cartwright, Julia
- Chambers, David Sanderson
- Coryat, Thomas
- Costa, Lorenzo
- D’Andrade, Alfredo
- Dawson-Damer, Rosemary, marchesa di Northampton
- Del Balzo, Antonia
- Einaudi
- Enrico VI, re d’Inghilterra
- Eyck, Jan van
- Gombrich, Ernst
- Gonzaga, Federico II, duca di Mantova
- Gonzaga, Francesco
- Gonzaga, Francesco II, marchese di Mantova
- Gonzaga, Gianfrancesco, conte di Sabbioneta e Rodigo
- Gonzaga, Gianfrancesco, marchese di Mantova
- Gonzaga, Guglielmo, duca di Mantova e del Monferrato
- Gonzaga, Ludovico III, marchese di Mantova
- Gonzaga, Vincenzo I, duca di Mantova e del Monferrato
- Gonzaga, Vincenzo II, duca di Mantova e del Monferrato
- Gonzaga-Nevers, Carlo I, duca di Mantova e del Monferrato
- Guardian [The]
- Honthorst, Gerrit van
- Isabella d’Este, marchesa di Mantova
- Leonardo da Vinci
- Licinio, Bernardino
- Luzio, Alessandro
- Mantegna, Andrea
- Monteverdi, Claudio
- Nicola da Urbino
- Margherita Paleologo, duchessa di Mantova e marchesa del Monferrato
- Pisanello [Antonio di Puccio Pisano]
- Pourbus, Frans [il Giovane]
- Praz, Mario
- Raffaello
- Rodolfo II d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero
- Romano, Gian Cristoforo
- Romano, Giovanni
- Romano, Giulio
- Rubens, Peter Paul
- Settis, Salvatore
- Shakespeare, William
- Strong, Roy Colin
- Tiziano
- Toesca, Ilaria
- Yriarte, Charles
LUOGHI CITATI
- Casale Monferrato [Alessandria]
- Cremona
- Londra [Regno Unito]
o National Portrait Gallery
o Royal Collection Trust
o Travellers Club
o Victoria and Albert Museum
- Madrid [Spagna]
o Museo Nacional del Prado
- Mantova
o Palazzo Ducale
▪ Camera degli Sposi
o Palazzo Te
- Milano
o Pinacoteca del Castello Sforzesco
- Oxford [Regno Unito]
o Ashmolean Museum
- Padova
- Parigi [Francia]
- Musée du Louvre
- Roma
- Sabbioneta [Mantova]
o Palazzo Ducale
- Torino
o Borgo Medievale
- Venezia
Collezione: La Stampa
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Fuochi d’artificio dei Gonzaga a Londra,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/27.