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Titolo: Lo splendore del secolo buio

Descrizione: Recensione della mostra: Les Fastes du Gothique. Le siècle de Charles V (Parigi, Galeries nationales du Grand Palais: 9 ottobre 1981-1° febbraio 1982), a c. di Bruno Donzet e Christian Siret. Passando in rassegna le principali opere, Castelnuovo offre una panoramica sulla produzione artistica nella Francia del Trecento, a partire dalle tecniche, dalle tendenze e dai centri emergenti.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 115, n. 301, p. 3

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1981-12-27

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_16

Testo: «La Stampa» – Anno 115, n. 301, Domenica 27 dicembre 1981, p. 3



Trionfo del Gotico in una rassegna al Grand Palais di Parigi.

Lo splendore del secolo buio

II Trecento conobbe guerre, pestilenze e carestie e un’impareggiabile fioritura artistica, non soltanto alla raffinata corte di Parigi, ma in tutta la Francia - Fu l’epoca delle statue della Vergine Maria e dei ritratti di re e di papi - I capolavori raccolti ora da tutto il mondo (smalti, avori, libri, vetrate, gioielli) documentano anche la nascita di un nuovo stile di vita



PARIGI — Il Trecento fu un secolo tremendo. In tutt’Europa la peste uccise milioni di persone; guerre lunghe e cruente, che sconvolsero l’assetto tradizionale dei poteri, desolarono la Francia, Roma abbandonata dai Papi conobbe una vertiginosa decadenza, un gravissimo scisma divise la cristianità, il malcontento sociale esplose a Firenze, nelle Fiandre, in Francia, in Inghilterra con rivolte di tessitori, di contadini, di borghesi. La frontiera dell’Europa che aveva continuato ad estendersi nei secoli precedenti si chiuse: le Crociate erano ormai un ricordo, la riconquista della Spagna segnava il passo, i Turchi incalzavano da Sud, i Tartari dall’Est mentre fame e carestie mietevano vittime. I grandi cantieri delle cattedrali attorno a cui nel secolo precedente si erano mobilitati capitali ed energie restarono deserti: si interruppero i lavori alla cattedrale di Colonia, terminata solo nell’Ottocento, fu abbandonata la costruzione del Duomo Nuovo di Siena, la cattedrale di Beauvais parzialmente rovinata dal crollo dell’altissima volta non venne ripresa sino al Cinquecento. Un periodo di espansione iniziatosi tra il Decimo e l’Undicesimo Secolo arrivò alla fine.

Corti sfarzose
E tuttavia a noi oggi il panorama non sembra così nero anche perché certe testimonianze superstiti, bellissimi dipinti o sculture, ammirevoli testi letterari, occultano la più desolata realtà quotidiana. Così il Trecento ci appare, come del resto anche fu, un secolo in cui la produzione artistica mostrò una ricchezza e una varietà impareggiabili, in cui nei grandi Comuni dell’Italia Centrale e nelle corti sfarzose del Nord venne promossa la creazione di splendide opere d’arte, furono proposti nuovi modelli di comportamento, maturarono nuovi gusti, nuove attese estetiche. Parigi e la Francia ebbero, in questa vicenda, un ruolo importante. La corte francese fastosa, raffinata, moderna apparve un modello ai cui valori e alle cui preferenze si guardava da tutt’Europa.
Attraverso una spettacolosa riunione di sculture, di smalti, di arazzi, di avori, di libri illustrati, di vetrate, di oreficerie una grande mostra, aperta fino al 1° febbraio al Grand Palais di Parigi, «Les Fastes du Gothique», si propone di fare il punto sui differenti aspetti della produzione artistica in Francia nel Trecento, in particolare ai tempi del saggio re Carlo V, di illuminare questo periodo nelle sue tecniche, nelle tendenze emergenti, nelle sue preferenze, nei suoi centri. Per far questo sono state trasportate a Parigi opere delicate dai quattro canti della Francia e dai grandi musei europei e americani.
In questo secolo si affermò una scultura autonoma, non più subordinata all’architettura o alla complessità dei programmi iconografici che traducevano in pietra, come nel caso dei grandi portali del Duecento, le summae enciclopediche della Scolastica. Tra le diverse cause che contribuirono a questa svolta ci fu la crisi di un pensiero sistematico e generalizzante quale era quello scolastico, l’emergere di un vivace interesse per il particolare; ci furono, e rappresentarono una spinta importante, le nuove forme della religiosità che tendevano a mettere il fedele in rapporto diretto con i personaggi divini attraverso la pratica della preghiera e della meditazione personali, incoraggiata dalla contemplazione di immagini devote.
Nel processo di isolamento e di crescente autonomia della scultura le statue della Vergine con il Bambino ebbero una parte di rilievo e sormontarono per numero tutte le altre. La Francia occupò in questa produzione un ruolo di assoluta preminenza: esiste ancora almeno un migliaio di Madonne gotiche di origine francese e se si pensa come sia scarsa la percentuale di ciò che è giunto sino a noi in rapporto a quanto una volta esisteva la cifra è impressionante e indicativa.
La mostra parigina che ha riunito oltre una trentina di tali gruppi scultorei ha proprio qui uno dei suoi punti di forza. L’impressionante ripetersi del tema è modulato dal variare dei singoli motivi, dal moto, dal disegno e dalle pieghe dei panneggi, dal costume, dalla presenza di un qualche oggetto tenuto dalla Vergine e verso cui il Bambino tende le mani, un fiore, uno scettro, un uccellino, dall’atteggiamento del piccolo che ride, gioca, legge, tiene un frutto, infila un anellino al dito della madre (Virgo Sponsa Dei), benedice, sugge il latte materno; dalle proporzioni, dal tipo dei volti, dal bilanciarsi del corpo della Vergine, dal suo inarcarsi più o meno pronunciato. Spesso, ma non sempre, prevale il gusto elegante della corte che si manifesta nella ricchezza e nell’armonia del panneggio, nel sorriso appena accennato dei volti, nell’elezione delle materie, marmo o alabastro delicatamente policromati.
I punti di appoggio esterni sono pochissimi, solo sei opere su un migliaio portano una data certa e gli storici dell’arte hanno molto da fare per istituire su base stilistica sequenze e serie. Eppure distinzioni sono possibili, di aree culturali, geografiche, di datazione; non solo, tutti i massimi scultori del Trecento, da Evrard d’Orléans a Claus Sluter, si sono provati in questo tema ed è dunque possibile legare mutamenti e innovazioni a nomi e prototipi conservati o ipotizzabili.
II panorama, apparentemente uniforme, si movimenta, il paesaggio artistico appare nella sua varietà, nei suoi contrasti. Accanto a Parigi luogo della corte, dove numerosi scultori lavoravano e dettava legge il geniale Jean Pucelle (la cui impronta, come la mostra permette di chiarire, marcò non solo l’illustrazione di manoscritti, ma anche l’oreficeria, le vetrate, la stessa scultura), dove si elaborava uno stile rispondente alle attese estetiche di un pubblico raffinato e cosmopolita, si manifestano le caratteristiche di regioni dove la preziosa sofisticazione parigina è corretta o addirittura scartata a vantaggio di una maggiore espressività o di forti interessi realistici.

Il Mezzogiorno
Emergono così la Lorena, zona-chiave a ridosso della frontiera con l’area germanica e punto di irradiamento delle formule francesi verso l’Europa Centrale; la Borgogna, la Provenza, la Linguadoca. Un gran merito della mostra sta proprio nell’aver esemplificato l’esistenza di tendenze artistiche diverse da quelle parigine e, per esempio, la ricchezza del Mezzogiorno, dove Avignone e Tolosa vedono una produzione artistica assai intensa e la presenza di forti personalità.
Avignone era diventata un centro culturale di importanza europea grazie al trasferimento della sede papale e alle commissioni artistiche di pontefici e di cardinali. Affluirono qui artisti da varie parti d’Europa e se gli italiani tennero il campo nella pittura altra fu la situazione della scultura che seguì vie diverse.
Oggi è possibile esplorare questo capitolo affascinante grazie agli studi di Françoise Baron che è riuscita ad identificare, a riunire e a caratterizzare sculture provenienti da diversi monumenti sepolcrali avignonesi o provenzali che erano andate disperse in musei diversi, finite in depositi lapidari o riutilizzate nell’Ottocento per decorare altari o pulpiti con cui niente avevano che fare. Un altro episodio eccezionale è quello di Tolosa, la cui autonoma cultura era stata distrutta, assieme a tante ricchezze e a tante vite, in quella colonizzazione del Sud da parte del Nord monarchico che furono le guerre albigesi e che vede rinascere, grazie soprattutto alle commissioni degli Ordini mendicanti, una produzione artistica profondamente originale. Uno dei protagonisti ne fu l’anonimo maestro che lavorò per la cappella de Rieux nella chiesa francescana della città lasciandovi sculture che sono tra le più vigorose ed espressive del Trecento europeo.
Sarebbe però sbagliato considerare Parigi eternamente irrigidita in una sorta di aulico manierismo cui si opporrebbero in altri centri tendenze più espressive ed icastiche. Nella seconda metà del Trecento, ai tempi, appunto, del re Carlo V, le tendenze realistiche che urgevano da varie parti si manifestano con forza nella capitale che è in questo momento, grazie anche all’attività del fiammingo Jean de Bandol, un luogo di punta dell’arte europea. Si moltiplicano, in scultura, in miniatura, in pittura i ritratti del sovrano, un po’ come accade contemporaneamente nella Praga dell’Imperatore Carlo IV.
La constatazione è significativa perché le due capitali sono luoghi di sperimentazione di un genere, il ritratto, pressoché trascurato fin dalla tarda antichità e ricreato in Italia nella prima metà del Trecento. In entrambi i casi si direbbe che questa insistenza sulle ricerche fisiognomico-ritrattistiche avvenga in circostanze analoghe per una sorta di volontà di auto-legittimazione dei due sovrani. Se Carlo IV di Lussemburgo succede come re di Boemia alla dinastia dei Premyslidi di cui raccoglie l’eredità, il re di Francia appartiene alla casa di Valois, un ramo collaterale che ha preso la successione dell’antica dinastia capetingia. Né troppo diverso è il caso dei papi avignonesi che cercavano di far dimenticare l’abbandono di Roma imponendo l’immagine della nuova sede e dei nuovi pontefici, o ancora quello delle nuovissime dinastie, come la casa ducale di Borgogna.
Tuttavia il desiderio di auto-legittimazione non è certo la sola molla che abbia fatto scattare il mecenatismo principesco. Roberto S. Lopez in un celebre saggio ha messo in luce come gli investimenti culturali crescano in tempo di bassa congiuntura. Aggiungiamo a questi elementi la moda, l’emulazione e altre variabili e forse riusciremo a meglio intendere perché quella dei Valois sia stata la più straordinaria famiglia di promotori delle arti che il mondo abbia conosciuto, visto che i fratelli di Carlo V, Filippo l’Ardito duca di Borgogna, Jean, duca di Berry, e Louis, duca d’Anjou, legarono il proprio nome alle massime imprese artistiche della seconda metà del Trecento, gareggiando nelle commissioni più spettacolose.
Più tardi, ma certe premesse ne erano state gettate appunto al tempo di Carlo V, l’internazionale delle corti alzerà contro il tempestoso orizzonte di fine secolo la ripida barriera del suo gusto esclusivo e il «conspicuous waste» dei principi convergerà nell’edificazione di una inespugnabile cittadella estetica, di una nuova Gerusalemme non celeste, ma profana e aristocratica.
Enrico Castelnuovo

Orafo francese, tra 1365 e 1380 - Scettro di Carlo V (particolare) al museo del Louvre.

NOMI CITATI

- Bandol, Jean de
- Baron, Françoise
- Capetingi [famiglia]
- Carlo IV di Lussemburgo, imperatore del Sacro Romano Impero
- Carlo V, re di Francia [il Saggio]
- Evrard d’Orléans
- Filippo II, duca di Borgogna [l’Ardito]
- Jean de Valois, duca di Berry
- Lopez, Roberto Sabatino
- Luigi I, duca d’Angiò
- Přemyslidi [famiglia]
- Pucelle, Jean
- Sluter, Claus
- Valois [famiglia]


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Avignone [Francia]
- Beauvais [Francia]
o Cattedrale di San Pietro
- Borgogna [Francia]
- Colonia [Germania]
o Cattedrale dei Santi Pietro e Maria
- Firenze
- Linguadoca [Francia]
- Lorena [Francia]
- Parigi [Francia]
o Galeries Nationales du Grand Palais
o Grand Palais
o Musée du Louvre
- Provenza [Francia]
- Roma
- Siena
o Duomo [Cattedrale di Santa Maria Assunta]
- Tolosa [Francia]
o Chapelle Notre-Dame de Rieux

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Lo splendore del secolo buio,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/29.