Luna giapponese a Londra (dettagli)
Titolo: Luna giapponese a Londra
Descrizione:
Recensione della mostra The Great Japan Exhibition. Art of the Edo Period 1600-1868 (Londra, Royal Academy of Arts, 24 ottobre 1981-21 febbraio 1982), a c. di William Watson. Castelnuovo offre un’introduzione all’arte Giapponese, focalizzata sul sistema di produzione e sul ruolo dell’artista nella società; inoltre, segnala alcune iniziative collaterali, tenute presso gallerie private (Colnaghi Oriental, Milne-Henderson, Bluett and Sons), Sotheby’s e presso la British Library (Japanese popular Literature of the Edo Period (1600-1868), 26 ottobre 1981-28 marzo 1982).
Una copia del catalogo è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 115, n. 284, p. 3
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1981-12-04
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_15
Testo:
«La Stampa» – Anno 115, n. 284 – Venerdì 4 dicembre 1981, p. 3
Secoli d’arte nipponica alla Royal Academy.
Luna giapponese a Londra
Una mostra in due tempi, fino al 28 febbraio, consentirà di ammirare un eccezionale spiegamento di capolavori - Dipinti, sculture, lacche e porcellane testimoniano la geniale versatilità di artisti dal Cinquecento alle soglie dell’età industriale - Esposizione sulla letteratura popolare del Giappone nel periodo Edo
LONDRA — «The Great Japan Exhibition», da poco apertasi alla Royal Academy, si annuncia come una delle maggiori attrattive dell’inverno londinese. Il numero di opere, tutte illustrate nel bel catalogo, è talmente grande che la mostra si articola in due momenti: il primo fino al 20 dicembre, il secondo dal 28 dicembre al 28 febbraio. Alcune opere-chiave rimarranno esposte tutto il tempo, la massima parte verrà invece sostituita in una rotazione che mirerà tuttavia a conservare una coerenza e un equilibrio di temi, di tecniche e di autori.
Il fatto che una schiacciante maggioranza di pezzi provenga dal Giappone è particolarmente positivo in quanto, a differenza dei grandi musei americani, le collezioni europee non abbondano in esemplari giapponesi.
L’occasione di un così ampio dispiegarsi di tesori ha spinto poi i mercanti specialisti dell’Oriente a presentare in Mayfair, a pochi passi dalla Burlington House, una serie di mostre piccole ma di qualità; così ha fatto Colnaghi Oriental in Old Bond Street («Un millennio d’arte in Giappone»), Milne-Henderson in Mount Street («Pitture di uccelli e di fiori dei periodi Muromachi, Momoyama e Edo») e Bluett and Sons in Davies Street in un’esposizione che alterna sculture, lacche, porcellane e dipinti dal titolo «Il cesello, la ruota e il pennello».
In questi casi le opere sono in vendita (da 50.000 a 1000 sterline) diversamente da quanto avviene alla Royal Academy e spaziano su un più ampio periodo, dal XII al XIX secolo. Si aggiunga che la British Library ha in programma, fino al 28 marzo, un’esposizione sulla letteratura popolare giapponese del periodo Edo, che da Sotheby’s sarà messa in vendita una importante collezione d’arte giapponese e si avrà un’idea della grande apertura che Londra offre in questi giorni verso l’impero del Sol Levante.
La mostra della Royal Academy si incentra sul periodo in cui Tokyo (chiamata allora Edo) sostituisce Kyoto come residenza dello Shogun, cioè del governatore effettivo del Paese. Per secoli lo shogunato rimarrà saldamente nelle mani della famiglia Togukawa, al tempo stesso diminuisce il potere dei feudatari e si accresce quello della classe media prorompente nelle città. È un momento lungo che dagli inizi del Seicento va fino al 1868 quando, dopo la forzata apertura dei porti del Giappone agli occidentali, l’ultimo shogun dovette abbandonare la carica e si ebbe una restaurazione del potere imperiale, fino ad allora appartato e senza possibilità di azione.
Un dipinto di Ikkei (1795-1854) simbolizza con efficacia la situazione degli anni immediatamente precedenti quelli della restaurazione: la luna – l’imperatore – è velata da una grande ragnatela al cui centro un ragno nero – lo shogun – tesse le sue reti in cui si impigliano senza scampo libellule, farfalle ed altri delicati insetti.
Le spade
A Londra sono esposti gli equivalenti della pittura monumentale dell’Occidente: dati i caratteri specifici dell’architettura giapponese, in cui la mobilità delle pareti interne è essenziale, i supporti ne sono porte scorrevoli e grandi paraventi decorati dai massimi pittori del Giappone, come i bellissimi Pini nella neve di Maruyama Okyo (1733-1795) appartenenti alla dinastia industriale dei Mitsui per cui erano stati fatti. Accanto a questi sono rotoli dipinti, verticali e orizzontali, esempi di calligrafia, xilografie e illustrazioni, porcellane, ceramiche, lacche, sculture di vario formato, spade dalle else meravigliose, armature, costumi e maschere del teatro No. Ogni oggetto, ogni tecnica della produzione artistica di questo periodo è rappresentato.
Là dove la mostra prende il suo avvio, alla metà del Cinquecento nel periodo Momoyama (dal nome di un castello a Sud di Kyoto dove era allora installato il potere centrale), che Kurosawa ha evocato con tanta efficacia in Kagemusha, la tradizionale opposizione tra la pittura più caratterizzata in senso locale, la Yamato-e, e quella maggiormente influenzata dalla Cina (Sumi-e) è rimessa in discussione dall’irrompere di nuove influenze dovute all’arrivo dei portoghesi.
Sarà una parentesi breve, ma che ci fornirà pittoresche rappresentazioni dell’arrivo di navi europee nel porto di Nagasaki, dello sbarco dei Gesuiti con i loro cappelli occidentali e i loro grandi nasi di bianchi, del loro raccoglimento attorno a un’icona di San Francesco Saverio. Poi, una volta raggiunta l’unificazione del Giappone, il consolidarsi di una nuova dinastia di shogun farà calare una cortina invalicabile sui porti e le rive dell’arcipelago. Lo stile Nanban (stile dei barbari del Sud) si spengerà rapidamente, il gusto degli shogun sarà soddisfatto dai pittori Kano (un nome che indica una famiglia, addirittura una dinastia, di artisti, poi una scuola) chiamati a decorare castelli e palazzi con soggetti cari ai guerrieri come falchi (la caccia col falco era, come nell’Europa medioevale, uno degli sport preferiti dalla classe dominante), tigri, dragoni (si vedano i paraventi dipinti da Kano Eitoku, 1543-1590).
Accanto agli shogun, ai guerrieri, ai grandi amministratori delle province che ne condividono le preferenze, esiste la corte imperiale di Kyoto, senza potere effettivo ma portatrice di un gusto raffinato e diverso, esistono i grandi templi e monasteri buddisti, anch’essi centri di commissioni artistiche.
Fenomeno nuovo del periodo Edo fu l’emergere di gruppi borghesi nelle città e quindi il nascere di una nuova committenza con esigenze e gusti assai diversi. È in rapporto con questa nuova classe che si sviluppa il movimento Rinpa, che si estende in tutti i campi della produzione artistica, nelle pitture come nelle varie tecniche applicate, addirittura negli Inro (scatolette di lacca dipinte da portar appese alla cintura) o nei Netsuke (piccoli pendagli scolpiti che avevano la funzione di assicurare gli Inro alla corda da cui pendevano e che diventano oggetto di raffinata attenzione). L’eroe di questa tendenza fu Ogata Korin (1658-1716), un tipico borghese cittadino figlio di un mercante di tessuti, che fu il più celebre artista del suo tempo.
Si avverte particolarmente a questo punto la differenza che lo sviluppo dell’arte giapponese ebbe nei confronti del percorso dell’arte cinese. Per secoli la Cina aveva rappresentato il centro e il Giappone la periferia; le novità venivano importate dal continente, ma alcune di esse, e ciò è rivelatore, potevano avere una ricezione particolarmente favorevole, addirittura entusiasta. La selezione che di queste novità è stata fatta può addirittura portare a identificare gli aspetti più caratteristici dell’arte giapponese. Si pensi per esempio al fatto che i massimi capolavori della pittura cinese Zen si trovano ab antiquo in Giappone e che qui, più che nella stessa Cina, hanno esercitato la loro influenza per secoli.
Se tuttavia schemi di rappresentazione, soggetti, formule stilistiche erano per lo più di origine cinese, la funzione delle opere d’arte e le condizioni della loro produzione variavano, e di parecchio, tra Cina e Giappone. Qui il pittore era un professionista e non un amatore-letterato, come spesso avveniva in Cina. Ciò ha significato una minor propensione all’identificazione pittura-poesia – tradizionalmente proclamata in Cina – e una pratica molto maggiore e generalizzata delle arti applicate.
Il fatto per esempio che piccoli ventagli, scatolette contenenti il necessario per scrivere, addirittura involucri per l’incenso o conchiglie fossero decorati da pittori celebri come Sotatsu o Korin indica come il discrimine gerarchico tra le varie tecniche non esistesse in Giappone nei termini in cui si poneva altrove. Bisogna d’altra parte considerare il fatto che la tradizionale cerimonia del tè o il sofisticato gioco degli incensi (in cui si dovevano identificare gli aromi degli incensi bruciali in precedenza e isolare quello mai prima sentito) o ancora il gioco delle conchiglie, erano occasioni ricercate di dispiegare una raffinata sensibilità estetica e svolgevano un’importante funzione sociale.
Paraventi
Si aggiunga il fatto che nell’arte giapponese (seguendo l’esempio della Cina) l’autografia dell’artista era considerata assai importante e quindi studiata e ricercata. I dipinti erano per lo più firmati, altre volte recavano l’attribuzione fatta da un antico conoscitore, come nel caso degli splendidi paraventi di Eitoku, autenticati da un pittore-storico dell’arte del secolo successivo.
L’importanza del collezionismo e del mercato, che hanno evidenti riflessi sullo status sociale del produttore, non hanno però impedito agli artisti giapponesi la disponibilità ad esprimersi in varie tecniche ed in vari materiali e questo comportò un contatto continuo, un interscambio proficuo, una qualità sempre molto alta, un’analogia di temi. L’elsa di una spada fieramente firmata «fatta da Nishigaki Nagahisa all’età di settant’anni» è decorata con l’immagine della luna che si riflette sulle risaie, un soggetto che facilmente possiamo trovare in pittura.
La disponibilità dell’artista a esprimersi in varie tecniche, il proliferare, estendersi e incrociarsi di una produzione artistica di altissimo livello, l’espandersi della cultura del disegno avranno grandi conseguenze quando, con questo patrimonio alle spalle, il Giappone si presenterà alle soglie dell’età industriale.
Enrico Castelnuovo
Nagasawa Rosetsu: «Tigre» (inchiostro su carta, particolare) tra le opere esposte a Londra
NOMI CITATI
- Bluett and Sons
- Colnaghi Oriental
- Kanō [famiglia]
- Kanō, Eitoku
- Kurosawa, Akira
- Maruyama, Ōkyo
- Milne Henderson
- Mitsui [famiglia]
- Nagasawa, Rosetsu
- Nishigaki, Kanshirô Nagahisa
- Ogata, Kōrin
- Sotheby’s
- Tawaraya, Sōtatsu
- Togukawa [famiglia]
- Ukita, Ikkei
LUOGHI CITATI
- Kyoto [Giappone]
o Castello di Fushimi [castello di Momoyama]
- Londra [Regno Unito]
o British Library
o Burlington House
o Davis Street
o Mayfair
o Mount Street
o Old Bond Street
o Royal Academy of Arts
- Nagasaki [Giappone]
- Tokyo [Giappone]
Collezione: La Stampa
Etichette: _RECENSIONE (mostra), Arte orientale, Artista [ruolo]
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Luna giapponese a Londra,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/28.