Il museo, una macchina per i viaggi nel tempo (dettagli)
Titolo: Il museo, una macchina per i viaggi nel tempo
Descrizione:
L’intervento offre una panoramica su due approcci all’arte medievale nella Francia tra fine Settecento e inizio Ottocento, quello di Alexandre Lenoir e quello Alexandre Du Sommerard. Castelnuovo descrive l’allestimento del primo Musée des Monuments Français e poi l’Hôtel de Cluny, sottolineando come il pubblico ne fosse a tal punto coinvolto da vivere la visita come un viaggio nel tempo. Questi due casi sono presentati come precursori della tendenza delle mostre d'arte a rendere spettacolare la mise-en-scène delle opere, che definisce – prendendo a prestito il titolo dell’articolo di John Russell Taylor – come The architecture of showmanship («The Times», 1 aprile 1989, p. 9).
L’articolo è riedito nella raccolta di saggi La cattedrale tascabile. Scritti di storia dell'arte (Sillabe, 2000).
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 116, n. 47, p. 3
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1982-03-04
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_18
Testo:
«La Stampa» – Anno 116, n. 47, Giovedì 4 marzo 1982, p. 3
Le suggestive tecniche di allestimento
Il museo, una macchina per i viaggi nel tempo
Un gruppo di mostre d’architettura tenutesi tra Londra e Oxford e che spaziavano dal «Magnifico Matcham» – il creatore di oltre centocinquanta teatri vittoriani – a «Sabaudia città fascista» è stato recensito dal Times sotto il titolo brillante, ma di non facile traduzione «The architecture of showmanship». Lo «showmanship» è una tecnica dello «showbusiness» ed è, secondo la definizione dell’Oxford Dictionary, «la capacità di apporre le proprie merci o se stesso nel migliore dei modi». In questo caso lo show è la mostra, lo showman è quindi non l’impresario, il direttore del circo o il regista, ma l’allestitore, e il titolo potrebbe pesantemente essere tradotto con «l’architettura degli allestitori» o, peggio, ma più fedelmente, «l’architettura dell’esposizionologia».
La tesi del critico John Russell Taylor è che da quando gli artisti Pop hanno preso a fare arte con l’arte altrui, da quando l’assemblages o environments sono divenuti i generi d’arte preferiti, la tecnica di montare una mostra è divenuta una forma d’arte in se stessa in cui il vero artista è l’allestitore che usa le altrui opere d’arte per farne una nuova.
In Italia, dove Scarpa ed Albini hanno realizzato musei ed esposizioni spettacolari, non sarà facile ammettere che il problema si sia posto solo negli ultimi anni, ma a pensarci bene questa storia va molto, ma molto più indietro e affonda profondamente le sue radici nelle vicende di certi musei, tra i primi dell’età moderna, i cui allestitori si proposero di coinvolgere il pubblico, di estraniarlo dal suo tempo e dal suo spazio, di precipitarlo in altri spazi e in altri tempi, stimolando in mille modi la sua totale partecipazione. «Quando dico al mio cocchiere “All’Hotel de Cluny” – scriveva nel 1834 un visitatore della collezione che è all’origine dell’omonimo museo parigino – è come se gli dicessi “Portami nel Quattordicesimo secolo”». Il grande Michelet e con lui molti altri, scrittori, artisti, storici, archeologi, collezionisti, scoprirono la loro vocazione nelle sale straordinariamente suggestive di un altro museo, quel «Musée des Monuments Français» che per un ventennio (e che ventennio: 1793-1815!) fu a Parigi un polo d’attrazione unico in Europa.
Erano qui riuniti i resti della grande statuaria monumentale francese che la secolarizzazione dei beni ecclesiastici, e in seguito la volontà di cancellare la dominazione simbolica che per tanti secoli si era esercitata attraverso le immagini, avevano sloggiato dalle primitive dimore. Alexandre Lenoir, l’entusiasta creatore del museo, aveva raccolto quanto gli era stato possibile a Saint-Denis, il Pantheon della monarchia, nelle chiese di Parigi e in tante chiese e cappelle della Francia intera, cercando di disporre una collezione di sculture che fornisse al tempo stesso un’immagine della storia e della civiltà francesi secondo una griglia cronologica in cui i secoli scandivano la successione delle sale.
Lo fece con un talento di showman impensabile fino ad allora tanto da farne scrivere in questi termini: «L’ordine, l’arte e la lugubre magia che Lenoir ha messo nella distribuzione di questo museo, ci consegnano al tempo stesso la storia della sua anima, del suo genio, della sua conoscenza. Si direbbe che la sua mano possente sostenga i secoli sull’orlo dell’abisso, li collochi ciascuno al suo posto e impedisca loro di annientarsi... Risaliamo i secoli con questo artista».
Gli sforzi di Lenoir furono tutti intesi a fare del suo museo una macchina del tempo – che parve ai contemporanei una portentosa opera d’arte – utilizzando per questo, con magistrale disinvoltura, le opere del passato. Nella sala del Trecento, per disporre come un fregio continuo lungo le pareti il corteggio dei «Preux» chiusi nelle loro armature, vennero innalzate verticalmente e poste sotto archi ogivali venti effigi tombali destinate in origine ad essere viste orizzontalmente. Nella sala del Tredicesimo secolo le finestre furono chiuse con frammenti di antiche vetrate per provocare effetti di raccoglimento: «La scarsa luce che rischiara questi luoghi è ancora un’imitazione del tempo, una magia grazie alla quale si mantenevano in stato di debolezza degli esseri che la superstizione aveva terrorizzato». Si evoca l’immagine di un Medioevo, tenebroso agli occhi dell’età dei lumi, segretamente tentatore per l’immaginazione dei primi romantici.
II culmine del museo è il «giardino Eliseo» dove in un contesto pittoresco furono erette le tombe degli eroi del pensiero e della virtù. Qui Lenoir fece costruire con i resti di una cappella di Saint-Denis un’edicola gotica chiusa da antiche vetrate che riparava le spoglie dell’infelice Eloisa e di Abelardo, l’intellettuale vittima dei potenti e degli oscurantisti, il grande eroe perseguitato della cultura medievale.
Quanto resta di questo sepolcro che provocò grandi e commosse emozioni tra i visitatori si trova ora al Père-Lachaise perché la Restaurazione disperse il fiabesco museo di Lenoir, le opere vennero rispedite – subendo nuovi gravissimi danni – ai luoghi di origine, alcune vennero riutilizzate per ornare il cortile dell’Ecole des Beaux Arts, altre rimasero a deperire all’aperto: «Mi sembra ancora di vedere il suolo disseminato di sculture policrome – scriverà più tardi un testimone –, di busti di marmo accatastali come tronchi gli uni sugli altri, di frammenti di ceramiche, di pavimenti istoriati, di vetrate dispersi un po’ dappertutto».
Durante la sua non lunga vita il «Musée des Monuments Français» aveva visto sfilare folle di visitatori, che avevano acquistato undici edizioni del catalogo così che la nostalgia per questa raccolta favolosa durò persistente negli anni. Fu questo capitale di attese, di ricordi, di suggestioni che assicurò il successo delle collezioni dell’Hotel de Cluny riunite da Alexandre Du Sommerard, acquistate poi dallo Stato francese e con gli anni divenute il cuore di uno dei più celebri musei medievali del mondo. Diversamente dal sistematico Lenoir, Du Sommerard non intendeva «sostenere i secoli sull’orlo dell’abisso e collocarli ciascuno al suo posto». Egli riuniva gli oggetti per affinità evocatrici, spargeva libri miniati, avori, reliquiari, smalti sui leggii, gli scranni, i cassoni e le mensole della cappella tardogotica degli abati di Cluny, disponeva, nella «Camera di Francesco I», due manichini in armatura a disputare una partita accanto alla scacchiera che il Veglio della Montagna avrebbe donato a San Luigi durante la Crociata, montava nei telai delle finestre della sala da pranzo vetrate araldiche svizzere e moltiplicava sui buffets ceramiche e vetri.
Tra questi oggetti de-gerarchizzati, ricercati per il loro potere suggestivo, c’erano pezzi straordinari, come l’avorio in cui il Cristo incorona l’imperatore Ottone lI e la moglie, la principessa bizantina Teofano, la Presentazione al Tempio attribuita a Jean de Liège, capolavoro della scultura del Trecento, un altare in osso degli Embriachi proveniente dalla Certosa di Champmol, ma come nel caso di Lenoir, e sia pur con intenzioni differenti, la vera opera d’arte era per Du Sommerard il museo nel suo insieme.
Il successo fu immediato: il primo giorno di apertura, dopo che la collezione era stata acquistata dallo Stato, 12.000 visitatori, la domenica successiva (sembrano cifre di oggi, e sono del 1843) 16.000, consacrarono il trionfale ingresso dei musei nel sistema culturale del mondo moderno. E fu di qui che nacque, proprio per il bisogno di legittimazione che le nuove istituzioni potevano ricevere solo dalla conquista del pubblico, «The architecture of showmanship».
Enrico Castelnuovo
NOMI CITATI
- Abelardo, Pietro
- Albini, Franco
- Du Sommerard, Alexandre
- Eloisa
- Embriachi [famiglia]
- Jean de Liège
- Lenoir, Alexandre
- Luigi IX, re di Francia [il Santo]
- Matcham, Frank
- Michelet, Jules
- Ottone II di Sassonia, imperatore del Sacro Romano Impero
- Scarpa, Carlo
- Taylor, John Russell
- Teofano, imperatrice
- Times [The]
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Digione [Francia]
o Certosa di Champmol
- Londra [Regno Unito]
- Oxford [Regno Unito
- Parigi [Francia]
o Basilica di Saint-Denis
o Cimitero di Père-Lachaise
o École nationale supérieure des beaux-arts
o Hôtel de Cluny [Musée de Cluny]
o Musée de Cluny [Musée national du Moyen Âge-Thermes et Hôtel de Cluny]
o Musée des Monuments Français
Collezione: La Stampa
Etichette: Musei mercato collezionismo
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Il museo, una macchina per i viaggi nel tempo,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/31.