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Titolo: Il principe Zeri

Descrizione: Ritratto di Federico Zeri (1921-1998), in occasione della pubblicazione della Festschrift a lui dedicata per il sessantesimo compleanno: Scritti di storia dell'arte in onore di Federico Zeri, Milano, Electa, 1984, 2 voll.
Una copia dell’opera è presente nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 118, n. 147, p. 3

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1984-06-22

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_33

Testo: «La Stampa» – Anno 118, n. 147 – Venerdì 22 giugno 1984, p. 3



Storico dell’arte e polemista

Il principe Zeri



Per i suoi sessant’anni Federico Zeri ha ricevuto un po’ in ritardo due grossi volumi di saggi scritti in suo onore da storici dell’arte del mondo intero (Ed. Electa). Gli hanno reso omaggio conoscitori celebrati come Charles Sterling e John Pope-Hennessy, e poi francesi, tedeschi, inglesi, americani, oltre a molti italiani. Per solito i prodotti di quel genere particolare che sono gli scritti in onore hanno un’origine e una destinazione accademica, non in questo caso in cui la raccolta è dedicata a uno studioso che di accademico, nel senso tradizionale del termine non ha proprio niente.
Certo Zeri è il principe dei conoscitori, un occhio leggendario, una memoria vasta e fulminante, ma non è l’uomo di un’accademia, di un’istituzione – purtroppo le istituzioni italiane non hanno pensato di valersi del suo straordinario talento – né quello che parla ai confrères senza preoccuparsi del pubblico. Gli interlocutori che lo interessano di più non appartengono al suo campo. Un giudizio su un suo libro di, poniamo, Fruttero e Lucentini lo stimola assai più di quello di uno specialista.
Nelle istituzioni (in quelle italiane) ha pochi amici anche per gli attacchi veementi che conduce assiduamente contro alcuni bersagli che nelle istituzioni siedono. Non sempre si può concordare con le sue polemiche; non riesco per esempio a condividere il suo sdegno per i progetti degli scavi nei Fori, e ancor meno la sua critica alla restituzione all’Albania della Dea di Butrinto, certo è che in un Paese dove gli attacchi cifrati e pieni di sottintesi sono la regola, i suoi sono diretti quanto appassionati e sottintendono una chiara idea di cosa debba essere il Buongoverno in campo artistico e non soltanto in quello.
Per la sua turbolenta irriverenza si capisce quanto Longhi abbia contato per lui, non solo il grande Longhi storico e conoscitore (fu da una rivista di Longhi, Proporzioni, 1948, che Zeri tirò le sue prime bordate di attribuzioni, fu accanto a Longhi, con Arcangeli, Bologna e Briganti che nel 1950 partecipò alla fondazione di Paragone), ma il Longhi polemista estroso e spietato, il Longhi estimatore di Groucho Marx e del suo comportamento dissacrante. A un certo punto il rapporto tra questi due grandi personaggi si interruppe, ma Longhi, amato e detestato, «a metà, secondo Zeri, angelo supremamente dotto e generoso, a metà diavolo subdolo e obliquo» continuò esercitare su Zeri uno straordinario fascino.

Eccellente oratore, ricco di verve polemica e di sdegno moralistico, Zeri è un sorprendente attore; se fa una conferenza in un teatro potrà essere l’occasione di uno show impressionante degno di esperto navigatore delle scene. Ama i romanzi polizieschi, le Soirée de Saint-Petersbourg di De Maistre, le storielle a sfondo religioso con una punta blasfema e gli scherzi telefonici. Gran viaggiatore, ha il gusto e la capacità di cogliere quei particolari che evocano un clima, una città, una stagione, una cultura.
Spregiatore a parole del bello scrivere («La mia giornata è troppo gremita e piena per consentirmi di vegliare a notte alta alla ricerca dell’aggettivo icastico o della cadenza») non disdegna gli effetti letterari magari trovando modelli in Henry James o in Sheridan Le Fanu più che nell’abituale bagaglio letterario dello storico dell’arte italiano.
Nei suoi scritti, come nelle cronache medievali o nei ricordi dei grandi filologi, dei bibliofili o degli esploratori, abbondano gli eventi miracolosi. Sarà il ritrovamento casuale a Greenwich Village di sconosciute fotografie di dipinti importantissimi, inediti e oggi perduti, o la riunione delle due parti di una lapide funeraria romana che erano rimaste chissà per quanto tempo le mille miglia lontane l’una dall’altra, o ancora l’epifania, inaspettata, ma del tutto provvisoria di un misterioso ritratto le cui tracce si erano perdute, riannodate e di nuovo perdute chissà mai quante volte.
Anni fa ha scritto un serissimo libro di storia dell’arte, che sotto il titolo un po’ berensoniano di Due dipinti, la filologia e un nome ricostruiva e identificava la personalità di un grande e misterioso pittore del nostro Quattrocento (rimasto anonimo e conosciuto sotto il nome di «Maestro delle Tavole Barberini»), montandolo come un autentico giallo con incalzanti cacce ai sospetti su e giù per l’Umbria la Toscana fino a un inseguimento per corridoi e sale del Palazzo Ducale di Urbino e alla sorpresa finale: la rivelazione dell’identità dell’artista nel luogo più celato e protetto del maniero, l’alcova del Duca.
Zeri aveva voluto mettere qui in luce i meccanismi e i processi dell’attribuzione, quel suo avanzare per indizi, confronti, costituzioni di serie, controlli incrociati di tempo e di luogo che l’accostano all’indagine poliziesca, tanto che alla fine chi sia l’autore del quadro o chi sia il colpevole sono domande intercambiabili. Già Berenson, Friedländer, Longhi avevano messi in luce certi percorsi, certi meccanismi, Zeri, facendone il vero tema del suo libro, ci ha dato una lezione incalzante di storia dell’arte, una lettura impressionante.
Perché una delle scommesse di Zeri è di farsi leggere anche dai non addetti ai lavori, di far entrare la storia dell’arte e i suoi metodi nel comune bagaglio culturale facendola scendere dal cielo sulla terra rimettendola sui piedi. Una storia dell’arte dove le opere hanno spessore e fisicità, non sono entità astratte o ineffabili, ma sono fatte di legno, di tela, di pietra, di marmo; debbono essere decifrate in ogni loro aspetto tecnico, stilistico, iconografico, in modo da non frustrare, anzi da provocare quella sorta di istinto manuale-artigiano che esiste nel lettore.
Questa storia dell’arte che non alza barriere tra gli aspetti maggiori e quelli minori dell’opera, la quale viene studiata nella sua interezza, nella sua qualità e nella sua materialità è quella dei conoscitori, di coloro che Erwin Panofsky aveva una volta definito come «storici dell’arte laconici» con una caratterizzazione che illuminava la complessa operazione storica che sta dietro ad un’attribuzione espressa talora con estrema brevità.

I cataloghi e il censimento di Zeri dei dipinti italiani nelle collezioni americane offrono casi esemplari di questa storiografia laconica messa in opera da chi ha pur saputo scrivere libri di ampio respiro come Pittura e Controriforma (Torino 1957) che si incentra sul problema della origini e delle caratteristiche dell’arte sacra controriformata e sulle forme della sua sopravvivenza sulla lunga durata, fino ad oggi o, addirittura, ha diretto opere monumentali come la Storia dell’arte italiana (Einaudi).
La misura che Zeri preferisce è quella del saggio breve, di poche pagine, come quelli raccolti nei due magistrali Diari di Lavoro, entrambi editi da Einaudi, in cui prendendo spunto dalla pubblicazione di una o più opere generalmente inedite mette a fuoco una situazione, una serie di problemi. Il modo di procedere è in genere lo stesso: il saggio si apre con la presentazione di un’opera apparentemente opaca, nel senso che rimanda solo a se stessa, poi via via il procedere della lettura spalanca delle finestre che illuminano i vari aspetti di una situazione e che riportano al dato fisso dell’opera tutta una serie di fatti, di presenze, tutta una rete di riferimenti. Per finire nello spazio di quattro-cinque pagine, ma possono essere anche di meno, emerge un paesaggio artistico di cui spesso tutto o quasi si ignorava.

Così Zeri, esploratore attentissimo, si è provato con particolare piacere sulle situazioni periferiche, o piuttosto periferizzate dalla storia, dalle Marche alla Liguria, da Avignone a Pisa, a Lucca. I suoi eroi possono essere Giovanni da Gaeta o Carlo da Camerino, Pietro d’Alba o Bitino da Faenza, Paolo da Visso o Cola dell’Amatrice, ma ciò non gli impedisce di arrivare, senza soluzioni di continuità, a Giotto, a Raffaello o a Caravaggio, che anzi grazie al modus operandi e alle esperienze di un tale storico-conoscitore appaiono più ricchi, variegati, complessi, problematici.
Perché è attraverso le ricognizioni delle cosiddette periferie che Zeri è riuscito più di una volta a mettere in crisi i correnti paradigmi interpretativi, gli è accaduto così di mutare le mappe stesse del centro.
Enrico Castelnuovo

Matteo Giovannetti: «Madonna in trono col Bambino e donatore» (particolare, da «Diari di lavoro 2» ed. Einaudi)

NOMI CITATI
- Arcangeli, Francesco
- Berenson, Bernard
- Bitino da Faenza
- Bologna, Ferdinando
- Briganti, Giuliano
- Caravaggio [Michelangelo Merisi]
- Carlo da Camerino
- Cola dell’Amatrice [Filotesio, Nicola]
- Einaudi
- Electa
- Fra Carnevale [Maestro delle Tavole Barberini]
- Friedländer, Max Julius
- Fruttero, Carlo
- Giotto
- Giovannetti, Matteo
- Giovanni da Gaeta
- Henry James
- Le Fanu, Joseph Sheridan
- Longhi, Roberto
- Lucentini, Franco
- Marx, Groucho [Julius Henry Marx]
- Maistre, Joseph de
- Panofsky, Erwin
- Paolo da Visso
- Paragone
- Pietro d’Alba
- Pope-Hennessy, John
- Raffaello
- Sterling, Charles
- Zeri, Federico

LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Avignone [Francia]
- Butrint [Albania]
- Greenwich Village [Stati Uniti]
- Liguria
- Lucca
- Marche
- Pisa
- Roma
o Fori Imperiali
- Toscana
- Umbria
- Urbino
o Palazzo Ducale

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Il principe Zeri,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/47.