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Titolo: Ducros degli uragani

Descrizione: Castelnuovo traccia un profilo del pittore svizzero Abraham-Louis-Rodolphe Ducros (1748-1810) a partire dall’esperienza del suo viaggio in Italia. Presentando i suoi acquerelli di grande formato, viene messo in luce come sul finire del XVIII secolo la veduta documentaria e il paesaggio souvenir, figli della la cultura del grand tour, cedano il passo a una rappresentazione della natura scossa dal sentimento del sublime. L’articolo è pubblicato in occasione delle mostre dedicate all’artista:

  • A Tour in Words and Watercolour. The Swiss Artist Louis Ducros Accompanies Dutch Tourists in Italy in 1778, a c. di Jan Wolter Niemeijer (Amsterdam, Rijksmuseum, Rijksprentenkabinet: 18 gennaio-11 maggio 1986; una seconda edizione della mostra si è tenuta al Musée Historique di Losanna (22 giugno-17 settembre 1990): Images et souvenirs de voyage. Le dessinateur suisse Louis Ducros accompagne des touristes hollandais en Italie en 1778;
  • A.L.R. Ducros (1748-1810). Paysages d'Italie à l'époque de Goethe, a c. di Pierre Chessex (Losanna, Musée cantonal des Beaux-Arts: 21 marzo-19 maggio 1986); nel 1987 la mostra è approdata in Italia: Ducros 1748-1810. Paesaggi d'Italia all'epoca di Goethe (Roma, Palazzo Braschi, 26 febbraio-3 maggio 1987).
Il catalogo dell’esposizione del Musée cantonal des Beaux-Arts di Losanna si apre con la prefazione di Castelnuovo. L’esposizione deriva dalla rassegna intitolata Images of the Grand Tour. Louis Ducros, 1748-1810, già tenutasi a Londra presso Kenwood House (4 settembre-31 ottobre 1985). I cataloghi della mostra londinese e della mostra losannese, entrambi editi dalle Editions du Tricorne, sono presenti nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 120, n. 89, p. 7

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1986-04-16

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_48

Testo: «La Stampa» – Anno 120, n. 89 – Mercoledì 16 aprile 1986, p. 7



La riscoperta di un dimenticato pittore vallese

Ducros degli uragani

Italiano di elezione, dal 1776 lavorò a Roma vendendo acquerelli a milords, granduchi russi e nobili francesi, finché fu cacciato per «simpatie rivoluzionarie» - Era affascinato dai luoghi dove si incontrano natura e cultura - I suoi paesaggi sempre più tempestosi sembrano presagire la drammatica fine dell’Europa dell’Ancien Regime.



Un tempo abitavo a Losanna e, in uno di quei pomeriggi invernali in cui una grigia luce spiove dai lucernari, feci nel museo un incontro straordinario. Era un acquerello di grandi dimensioni che rappresentava una scena apocalittica: il mare schiumante agitato da onde frastagliate e verdastre come foglie agitate dal vento, precipitava un battello sugli scogli; più in alto, sopra una parete a picco, un fulmine scatenava un’esplosione. Ancora più in alto lo stesso paesaggio si ripeteva, si levava una nuova scogliera, sospesa nell’aria come un’isola galleggiante coperta di vegetazione, coronata da torri e da castelli. Il sole, nascosto da pesanti nuvole, lasciava cadere raggi rossastri su navi che si cullavano al largo su un mare ormai calmo.
Tutti gli effetti e gli ingredienti del sublime erano presenti: sorpresa, orrore, ripetizione come in un incubo, contrasti terribili. Pochi quadri riuscivano a comunicare come questo Orage nocturne à Cefalù (che tale era il nome dell’opera) l’idea di un’Italia misteriosa, piena di pericoli, lontana dalla serenità e dall’equilibrio classici e come tale nel 1975 esso apparirà nel bell’atlante figurato sulla Percezione visiva dell’Italia e degli italiani nella storia della pittura curato da Federico Zeri per la Storia d’Italia, Einaudi. Ma il nome del suo autore, lo svizzero Louis Ducros, rimaneva ancora confinato entro circoli ristretti, conosciuto da pochi.
Oggi, molto tempo dopo quel primo incontro, siamo in pieno «anno Ducros»: una bella mostra a lui dedicata si è aperta a Losanna (fino al 19 maggio dopo aver iniziato con eleganza il suo itinerario a Londra nella dimora di Kenwood, mentre un altro gruppo di acquerelli è presentato al Rijksprentenkabinet di Amsterdam fino all’11 maggio). Possiamo augurarci che, prima che l’anno finisca, si possa vedere una mostra di Ducros anche a Roma, la città che fu per decenni, teatro della sua attività.
Stava infatti per finire l’anno 1776 quando Abraham-Louis-Rodolphe Ducros, originario del paese di Vaud, entrava nella città eterna e trovava alloggio in Campo Marzio. Erano gli anni in cui milords inglesi, granduchi russi, mercanti olandesi, aristocratici svedesi e francesi giungevano a frotte a Roma per arrestarvisi a lungo, per visitare ville, gallerie, rovine, per esplorare i monumenti della città antica e di quella moderna, per indugiare a Tivoli attorno al Tempio della Sibilla, per perdersi nella campagna, per prender, magari, lezioni di disegno e di pittura.
Questi figli privilegiati della ricca società europea per cui il grand tour era un indispensabile complemento all’educazione, una sorta di viaggio iniziatico, volevano anche riportare in patria memorie del loro itinerario, immagini dei luoghi che avevano visitato, disegni, stampe (Piranesi morrà due anni dopo l’arrivo a Roma di Ducros, ma le sue officine continueranno a produrre con immenso successo), quadri dove li si vedesse rappresentati accanto a un vaso antico, al Laocoonte o all’Apollo di Belvedere, a una colonna, a un capitello, addirittura al Colosseo.
Alcuni avevano maggiori esigenze e si facevano accompagnare da artisti lungo le grandi strade dell’antichità, alla scoperta del Mediterraneo. Così, da poco arrivato, Ducros viene reclutato da un gruppo di olandesi per andare in Puglia e in Sicilia e far vela fino a Malta (gli acquerelli di questo viaggio sono quelli ora presentati ad Amsterdam).


Famoso
In questi anni Roma è una vera calamita, non solo per i viaggiatori ricchi e illuminati, ma anche per gli artisti che ci arrivano da ogni parte. Ci sono pittori inglesi, francesi, tedeschi, danesi, svizzeri, persino americani. Abitano al Babuino, in Via Margutta, al Campo Marzio, si incontrano in Vaticano di fronte alle statue antiche, in Campo Vaccino, alle cascate di Tivoli, nella Campagna.
Arrivato a Roma senza un soldo, senza un appoggio, in pochi anni Ducros ne diventerà uno degli artisti più in vista, dei più ricercati dai viaggiatori stranieri che si affollavano nel suo atelier di Via della Croce. Si era associato con incisori ed editori e aveva messo su una piccola industria: dai suoi acquerelli faceva tirare delle stampe che erano poi colorate con cura nell’atelier.
Ma i più esigenti dei suoi clienti potevano sperare di mettere la mano su uno di quegli straordinari acquerelli di grandi dimensioni che ne avevano fatto la fama nell’esclusivo circolo dei conoscitori. Sir Richard Colt Hoare, un ricco proprietario del Wiltshire, ne spedirà alcuni nella sua country house di Stourhead accompagnandoli con queste parole: «Ducros ha dipinto per me quattro opere che se arriveranno in buono stato in Inghilterra faranno l’ammirazione dì tutti e faranno arrossire i nostri artisti inglesi». Più tardi saranno questi acquerelli ad essere studiati e ammirati da Joseph Turner, un altro giovane protetto di Sir Richard.
Ducros non si limita alle antichità, agli archi, alle mura, alle basiliche, al Campidoglio, al Museo Pio-Clementino. Sempre più spesso abbandona Roma, percorre la campagna, l’Ariccia, i Castelli, le paludi pontine, Tivoli, le valli dell’Aniene, del Velino, della Nera, le cascate delle Marmore, la gola di Narni. È affascinato dai luoghi dove natura e cultura si incontrano e si oppongono, dove la natura sembra invadere e conquistare gli antichi monumenti.
Le rovine classiche annegate nella vegetazione, percorse, chissà per quale alterazione geologica, da torrenti impetuosi, diventano grotte, i muri sconnessi e lebbrosi sembrano scogliere. I resti ciclopici di un’antica civiltà dominano, trasformati irriconoscibili, la palude, il bosco, il caos vegetale.
Il pittore svizzero predilige sempre di più i paesaggi inquietanti degli Appennini che negli stessi anni venivano descritti e trasfigurati nella Juliette di Sade o nelI’Udolpho di Ann Radcliffe, vi si immerge in modo crescente fino a che un avvenimento imprevisto lo allontana da Roma e lo precipita nel cuore stesso di quelle valli misteriose. Da un giorno all’altro, nel febbraio 1793, denunciato da colleghi gelosi, è cacciato dalla città per simpatie rivoluzionarie. Per qualche mese trova scampo negli Abruzzi, poi si stabilisce a Napoli e di qui viaggia, a Paestum, in Sicilia, a Malta.
A Napoli non lavora più per la folla dei viaggiatori che a Roma facevano a gara per acquistare le sue incisioni, ma per una ristretta élite di conoscitori, inglesi per lo più. Cambia anche la sua pittura: i fremiti che increspavano certe immagini della campagna si fanno più frequenti, diventano tempeste, uragani. I fulmini arano cielo, il mare scatenato si precipita contro gli scogli, il Vesuvio vomita nella notte lave incandescenti, le architetture assumono una scala che non è più umana. Il pittore non trattiene più ciò che da un certo tempo gli urge nella fantasia e pratica con passione le vie del sublime.


Il «grand tour»
Dopo le esaltazioni e le peripezie di trent’anni d’Italia Ducros nel 1807 torna in Svizzera, ma questo faticoso ritorno all’ovile che lo allontana dalla sua clientela e dai «luoghi deputati» della sua pittura non è senza difficoltà e rischia oltretutto di immiserirlo nel ruolo di celebrità locale, di amabile petit-maître. Solo oggi, grazie alle mostre che gli sono state dedicate in vari Paesi, arriviamo a comprendere la dimensione e il significato del suo itinerario.
Sballottato dai grandi avvenimenti che avevano travolto la vecchia Europa, Ducros passa in qualche anno dalla veduta documentaria, dal paesaggio urbano-souvenir alla rappresentazione di un mondo abitato da forze misteriose, al paesaggio che manifesta in modo drammatico i presentimenti e le esaltazioni del suo autore. È finito il XVIII Secolo e il suo ordine razionale, è finita la centralità artistica di Roma e il suo ruolo di capitale della memoria.
Ormai il grand tour, quando riprenderà dopo le guerre napoleoniche, non sarà più lo stesso.

Louis Ducros. «Uragano notturno a Cefalù», acquerello 
NOMI CITATI
- Ducros, Abraham-Louis-Rodolphe
- Einaudi
- Hoare, sir Richard Colt
- Piranesi, Giovanni Battista
- Radcliffe, Ann
- Sade, Donatien-Alphonse-François de
- Turner, Joseph Mallord William
- Zeri, Federico


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Abruzzo
- Agro Pontino [Paludi Pontine]
- Amsterdam [Paesi Bassi], Rijksmuseum, Rijksprentenkabinet
- Ariccia [Roma]
- Cascata delle Marmore
- Castelli Romani
- Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio-Clementino
- Londra [Regno Unito], Kenwood House
- Losanna [Svizzera], Musée cantonal des Beaux-Arts
- Malta
- Napoli
- Paestum [Salerno]
- Puglia
- Roma, Campidoglio
- Roma, Campo Marzio
- Roma, Fori imperiali
- Roma, Via del Babuino
- Roma, Via della Croce (atelier di Ducros)
- Roma, Via Margutta
- Sicilia
- Tivoli [Roma], Cascate di Tivoli
- Tivoli [Roma], Tempio della Sibilla
- Valle del Velino
- Valle dell’Aniene
- Valnerina [Valle del Nera], Gola del Nera [Gola di Narni]
- Vaud [Svizzera]
- Wiltshire [Regno Unito], Stourhead House

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Ducros degli uragani,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/62.