Fragonard, la natura amorosa (dettagli)
Titolo: Fragonard, la natura amorosa
Descrizione:
Recensione della tappa parigina della mostra: Fragonard (Parigi, Grand Palais: 24 settembre 1987-4 gennaio 1988; New York, Metropolitan Museum of Art: 2 febbraio-8 maggio 1988), a c. di Pierre Rosenberg. L’articolo ripercorre la carriera di Jean-Honoré Nicolas Fragonard (1732-1806), ricostruendone l'alterna fortuna nel corso del XVIII secolo e focalizzandosi, in particolare, sui viaggi in Italia compiuti dal pittore, sulla sua opera grafica e sui soggetti delle opere esposte.
Una copia del catalogo della mostra è presente nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d'Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 121, n. 264, p. 7
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1987-11-10
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_57
Testo:
«La Stampa» – Anno 121, n. 264 – Martedì 10 novembre 1987, p. 7
Parigi: una mostra emozionante di un grande del ‘700
Fragonard, la natura amorosa
Parigi lo premiò a 20 anni - Inviato a Roma, fu «spaventato» da Michelangelo e pianse davanti a Raffaello: «La matita mi cadeva di mano» - Dopo la crisi, esplose il suo straordinario talento - Dalle stupende sanguigne ai paesaggi - Scene d’amore e un Pantheon di personaggi raffigurati con brio travolgente - Poi la svolta: tensione, drammaticità, mistero - Morì quasi dimenticato
PARIGI — Di passaggio per Pisa nel maggio del 1761 un gentiluomo francese amatore e conoscitore di pittura, l’abate di Saint-Non, annota sul suo diario: «Non c’è nulla di curioso da vedere qui se non tre o quattro monumenti gotici, ma di bella forma, che fanno un gran colpo d’occhio». Il suo accompagnatore si affretta a schizzarli leggermente con brio su un foglio (oggi al British Museum) nella più efficace, immediata, sintetica veduta della Piazza dei Miracoli che mai sia stata fatta. Il giovane artista che si misura con i «tre o quattro monumenti gotici» era Jean Honoré Fragonard, uno dei massimi nomi della storia della pittura europea, cui oggi a Parigi il Grand Palais consacra una mostra emozionante (fino al 4 gennaio).
Era arrivato a Roma cinque anni prima dopo aver riportato, nelle sue prime sortite pubbliche, un successo tale da vincere a vent’anni il gran premio di pittura dell’Académie des Beaux Arts. Sarà cosi inviato qualche anno dopo a Roma all’Accademia di Francia dove i giovani di talento erano mandati a perfezionare la loro cultura. Qui traversa una grave crisi, non riesce più a dipingere; ciò che vede lo paralizza. Boucher, il suo maestro, lo aveva avvertito: «Vedrai là, caro Frago le opere di Raffaello, di Michelangelo e dei loro imitatori, ma – e te lo dico in confidenza e a bassa voce – se prendi sul serio quella gente sei perduto».
Puntualmente la previsione si era avverata: «... l’energia di Michelangelo mi spaventava, racconta Fragonard, provavo un sentimento che non riuscivo a rendere. Vedendo le bellezze di Raffaello ero commosso fino alle lacrime e la matita mi cadeva di mano. Sono restato cosi per mesi in uno stato di indolenza che non ero capace di superare fino quando mi sono messo a studiare quei pittori, Baroccio, Pietro da Cortona, Solimena, Tiepolo con cui speravo di poter rivaleggiare un giorno».
Quando ritorna a Parigi, nel 1761, la sua pittura ha acquistato uno spessore, una vibrazione, una dimensione che prima non aveva, qui il suo tocco, la sua luce, il suo modo di comporre prendono un senso nuovo, qui esplode il suo straordinario talento di disegnatore che alterna varie tecniche, sanguigna, penna, matita, pennelli, inchiostri (e i disegni, esposti accanto alle tele e con medesima dignità, sono una delle rivelazioni della mostra).
Va a Tivoli con Saint-Non tra Villa d’Este e Villa Adriana, rovine e cascate, crea le più straordinarie sanguigne che la storta del disegno conosca (oggi al Museo di Besançon) con le quinte altissime dei cipressi e una vegetazione che tutto invade, dovunque si arrampica, dirompente, esuberante, invadente, sovrana.
In questi anni – nel 1759 – Fragonard dipinge uno dei suoi quadri più belli, la Charrette embourbée oggi ai Louvre: un carro tirato da buoi fermo nel pantano mentre dal cielo si addensa una tempesta, il vento solleva il telone di copertura e un gregge terrorizzato di pecore si slancia nella direzione opposta; una «tragedia campestre», un’opera epica, rapida, viva, un azzurro che diventa livido, un infinito trasformarsi dei bruni e dei gialli. Un’opera che non poteva nascere senza una profonda esperienza italiana, senza una riflessione sul paesaggio classico del Seicento.
Alla fine del ‘61 Fragonard ritorna a Parigi e nel 1765 presenta al Salon ti suo «morceau d’agrément» per l’Accademia. La carriera di accademico è lunga: bisogna prima essere «accettati», quindi «ricevuti» e ad ogni tappa presentare un’opera. Fragonard, che non presenterà mai il suo «morceau de réception», mette un bel po’ di tempo a presentare quello di «agrément». Ma che quadro! Non è il Fragonard che ci si aspetta, non c’è natura, non c’è dolcezza, non c’è Eros. Ma una foga straordinaria travolge la gigantesca macchina (tre metri per quattro), infiamma l’insolito soggetto: il gran sacerdote Coresus si sacrifica pugnalandosi davanti all’altare per salvare la giovane Callirhoe di cui è innamorato e che avrebbe dovuto immolare agli «dei» per salvare Atene dalla peste. Tutta la composizione è spostata verso la destra, la tragedia si compie in un turbinio di gialli, tra fumi, panneggi e grida e un plumbeo genio infernale che plana dall’alto. E’ una delle poche volte che Fragonard abborda un gran soggetto storico, ma negli stessi anni si esercita sugli olandesi, riprende Ruysdael, studia Rembrandt, e anche Tiepolo nelle teste di vecchio, copia e si ispira a Rubens e si inoltra nei sentieri più privati della pittura ardita, «polissonne», negli stupendi quadretti del Louvre, la Chemise enlevée, il Feu aux poudres (un titolo ottocentesco ammiccante di impertinenza), bozzetti rapidi, sorridenti, leggeri, delicati, splendidamente esaltanti la bellezza di giovani corpi femminili nello spumeggiare bianco delle lenzuola, nei rossi riflessi delle torce, nel rosa delle carni.
È questo anche il momento di una delle più singolari serie che Fragonard abbia mai eseguito, le «figure di fantasia». Pierre Rosenberg, magistrale regista detta mostra, le ha riunite in una sala del Grand Palais, offrendo uno spettacolo non dimenticabile. Una quindicina di tele dello stesso formato, impaginate allo stesso modo, con personaggi a mezzo busto dagli abiti pittoreschi, dagli alti colletti bianchi alla Rubens, dipinti con foga straordinaria mentre guardano intensamente fuori dal quadro.
Questa indiavolata galleria, questo Pantheon, singolarissimo, comprende scrittori, soldati, astronomi, cantanti, pittori, danzatrici, dame, cavalieri, giovanette, raffigurati con un brio e una vitalità travolgenti. Sono e non sono ritratti; non lo sono – anche se alcuni personaggi sono riconoscibili – se il termine implica una attenta esplorazione dei dati fisici, un’adesione puntuale alla somiglianza fisionomica. Sono immagini rapidissime ed emblematiche di donne e uomini colti in un istante unico, rivelatore, quello dell’ispirazione in cui un gesto, uno sguardo, uno scatto, un movimento possono fulmineamente definire un volto, un comportamento, un’attività.
Così non sono paesaggi le superbe composizioni en plein air dove feste, giochi, passatempi si svolgono nell’espandersi rigoglioso e prorompente della natura, una natura lussureggiante, ma domestica, un giardino gigantesco. È questo il grandioso scenario della monumentale Festa a Saint-Cloud, uno dei più bei quadri del mondo e dei meno accessibili, custodito com’è in un salone della Banque de France a Parigi, o dell’Altalena e della Mosca cieca della National Gallery di Washington, o ancora nei quadri dipinti per la Dubarry (oggi tra gli inamovibili gioielli della Frick Collection di New York e pertanto non in mostra) dove lo sfondo vegetale tutto unifica, domina, pervade.
Diversi possono essere i soggetti, cortesi e mondani passatempi, tappe di un’iniziazione amorosa, ciò che predomina è il bruno e il verde della vegetazione, l’azzurro e il bianco del cielo, dei vapori, delle nuvole, delle cascate, delle fontane. I giochi amorosi si svolgono in giardini incantati, sparsi di basi, di cippi, di altari antichi, di balaustrate, di vasi, di colonne, di statue, fitti di cipressi, di pini marittimi, di querce, di arbusti fioriti. Magica tra tutti l’Isola d’amore della Fondazione Gulbenkian di Lisbona, quadro misterioso dagli impasti preziosi dove una festosa adunanza si perde e si confonde nel tripudio degli elementi, acque schiumose, caverne vegetali, siepi fiorite, pareti di muschio, tronchi lucenti.
Poco sappiamo di questi quadri, conosciamo solo la storia di quelli che Madame Dubarry gli aveva commissionato per decorare il padiglione che a Louveciennes aveva costruito Ledoux, uno dei grandi visionari dell’Architettura, e quindi – follia della moda – aveva respinto, preferendogli Vien, pittore infinitamente meno geniale, ma precoce protagonista di un nuovo classicismo. Gli anni in cui essi vennero eseguiti devono in ogni modo collocarsi a cavallo del secondo viaggio di Fragonard in Italia compiuto tra il 1773 e il 74 in compagnia del ricchissimo fermier-général Bergeret, che lo rituffa come tanti anni prima tra i cipressi, i pini e gli antri di verzura delle ville romane, ma che questa volta si spinge fino a Napoli e a Pompei, santuari del nuovo ritorno al classico.
Di questo progressivo mutamento del gusto Fragonard risente drammaticamente. Lo testimonia tra l’altro una tela emozionante, Le Verrou (Il chiavistello), acquistata dal Louvre negli ultimi anni. La scena si svolge all’interno di una camera, c’è un letto in disordine, una brocca rovesciata, un bouquet per terra, una mela sul tavolino e un giovane che, invano contrastato dalla ragazza che abbraccia, tenta di chiudere il chiavistello di una porta. Un soggetto leggero che diviene eroico per la solennità del gesto, semplice, eloquente, appassionato, sottolineato da una sciabolata di luce che taglia diagonalmente la composizione. Una rappresentazione fremente della passione realizzata con una pittura liscia diversa da quella tutta a rapidi tocchi del periodo precedente.
È la risposta di Fragonard alla svolta classicheggiante della pittura europea: tensione, drammaticità, mistero soppiantano i caratteri leggeri del rococò. Tra il 1775 e il 1785 vi è ancora tempo per capolavori molto diversi da quanto aveva fatto precedentemente, ma quando sopravviene la rivoluzione Fragonard non è ormai più, e da qualche anno, sulla cresta dell’onda.
Quando muore, nel 1806, è quasi dimenticato, verrà riscoperto qualche decennio dopo quando la nuova pittura è ormai alle porte; allora il suo tocco rapido, il suo estro, la sua tavolozza, la sua insuperabile qualità pittorica saranno esaltati, e con loro l’immagine del Settecento che Fragonard consegna alle sue tele: non struggente e nostalgica come in Watteau, non sobria, ritenuta e pudica come in Chardin, non pomposa e mitologica come in Boucher, ma leggera, gioiosa, fiduciosa nell’accordo tra uomini e natura. L’immagine, che ormai sembra un sogno, di un mondo prima del peccato, di una terra prima del diluvio.
Enrico Castelnuovo
Fragonard: «Ritratto dell’abate di Saint-Non». Sotto, «La lettera» (disegno, particolare)
NOMI CITATI
- Barocci, Federico
- Bergeret de Grancourt, Pierre-Jacques-Onésyme
- Boucher, François
- Chardin, Jean-Baptiste Siméon
- Fragonard, Jean-Honoré
- Ledoux, Claude-Nicolas
- Marie-Jeanne Bécu, contessa du Barry
- Michelangelo
- Pietro da Cortona [Pietro Berrettini]
- Raffaello
- Rembrandt, Harmenszoon van Rijn
- Rosenberg, Pierre
- Rubens, Peter Paul
- Ruisdael, Jacob van
- Saint-Non, Jean-Claude-Richard de
- Solimena, Francesco
- Tiepolo
- Vien, Joseph-Marie
- Watteau, Antoine
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Besançon [Francia], Musée des Beaux-Arts et d’Archéologie
- Lisbona [Portogallo], Calouste Gulbenkian Foundation
- Londra [Regno Unito], British Museum
- Louveciennes [Francia], Castello di Louveciennes
- Napoli
- New York [Stati Uniti], The Frick collection
- Parigi [Francia], Académie royale de peinture et de sculpture
- Parigi [Francia], Banque de France
- Parigi [Francia], Grand Palais
- Parigi [Francia], Musée du Louvre
- Pisa, Piazza dei Miracoli
- Pompei [Napoli]
- Roma, Accademia di Francia
- Tivoli [Roma], Villa Adriana
- Tivoli [Roma], Villa d’Este
- Washington [Stati Uniti], National Gallery of Art
Collezione: La Stampa
Etichette: _RECENSIONE (mostra), Arte XVIII secolo
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Fragonard, la natura amorosa,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/71.