Il fantastico che apre l'era moderna (dettagli)
Titolo: Il fantastico che apre l'era moderna
Descrizione:
Recensione dell’opera: Giuliano Briganti, I pittori dell’immaginario. Arte e rivoluzione psicologica, Milano, Electa, 1977. L’articolo offre una panoramica sulla cultura e sull’arte della cosiddetta “età delle rivoluzioni”, identificando nell’ultimo trentennio del XVIII secolo il momento di svolta in cui affondano le radici dell’arte contemporanea. Apprezzando le posizioni di Briganti, Castelnuovo indica Roma come la capitale cosmopolita più ambita dagli artisti di tutta Europa: qui, lo studio appassionato dell’antichità è punto di partenza per riletture tanto personali da essere difficilmente definibili con l’etichetta Neoclassicismo e che, a ben vedere, hanno comportato la rivoluzione indagata nel volume.
Una copia del volume è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 112, n. 22, p. 15
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1978-01-27
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Testo:
«La Stampa» – Anno 112, n. 22 – Venerdì 27 gennaio 1978, p. 15
(pagina l’arte)
Il fantastico che apre l’era moderna
Dietro di noi, in una imprecisata zona del passato, devono trovarsi le prime scaturigini dell’arte moderna. Questo sospetto continua ad inquietare gli storici dell’arte che vorrebbero vederci chiaro, come hanno fatto i geografi dell’Ottocento quando risalivano fiumi e laghi dell’Africa australe per riconoscere infine l’autentico «Caput Nili». Certo la vicenda presenta qualche affinità e anche gli storici dell’arte si sono spinti sempre più indietro, giungendo ad approdare, pur venendo da direzioni diverse, a un medesimo giro di anni, decennio più, decennio meno, attorno al 1770. Saremmo qui alle origini di una grande svolta che ha avuto per l’operare artistico conseguenze simili a quella copernicana per la scienza. Ed è significativo avvederci come la data di questa rottura epistemologica non sia lontana da altre date che segnano altre rivoluzioni: la rivoluzione industriale, la rivoluzione francese.
Un libro personale e appassionato di Giuliano Briganti (Milano, Electa 1977), viene a rilanciare questo dibattito e fin dal suo titolo «I pittori dell’Immaginario. Arte e Rivoluzione Psicologica», propone un nuovo elemento, una nuova rivoluzione. Le analogie con la ricerca del Nilo d’altronde continuano perché si tratterà di seguire ciò che Novalis chiamava «il cammino misterioso che va verso l’interno», per giungere a scoprire l’«Africa interiore», così Jean Paul aveva chiamato l’inconscio. Sono nomi che mostrano come un punto importante di questa vicenda si situi nel primo Romanticismo tedesco, ma il momento delle origini è più a monte e Giuliano Briganti, rinterzando la sua fine e vasta esperienza di storico e di conoscitore con testi che illuminano l’emergere dell’inconscio (da Lancelot L. Whyte a H.F. Ellenberger) e con saggi di storia delle idee e della sensibilità (da Albert Béguin a Jean Starobinski), prende a esaminare quei decenni capitali attorno al 1770 in cui un gruppo di artisti nordici, Füssli, Barry, Runciman e lo svedese Carstens, erano a Roma a lavorare febbrilmente in una sorta di disperato invasamento per tentare di impadronirsi a fondo di un repertorio di forme, quello classico, in cui scorgevano una soggiogante, inarrivabile grandezza. La ricerca di Briganti tende a mostrare i modi in cui nelle opere di questi e altri artisti contemporanei, anche quando essi accettano e cercano di dominare le forme del passato, si manifesti una crescente esigenza di personalizzare le proprie creazioni, una rottura dei canoni e delle regole fino ad allora accettate, salga l’interesse per l’irrazionale, si formulino immagini suggerite dai sogni, emerse dall’inconscio.
Briganti viene così ad affrontale un nodo che da qualche tempo si riconosce come cruciale, a discutere di artisti la cui opera negli ultimi anni ha suscitato un interesse crescente che si è estrinsecato in mostre, cataloghi, monografie, studi ed articoli, specie da quando a Londra la grande esposizione del 1972 The Age of Neoclassicism aveva mostrato, senza troppo insisterci, la diversità e la contraddittorietà degli aspetti di una produzione artistica accomunata sotto l’etichetta di «neo-classicismo», giungendo a mettere in crisi, almeno per quanto riguarda gli ultimi decenni del Settecento, la consueta bipolarizzazione classico-romantica. Contro le incongruenze di questa separazione si erano già pronunciali gli storici dell’architettura come Sigfried Giedion che da tempo (Spätbarocker und romantischer Klassizismus, Munchen 1922) si erano accorti come sotto una stessa categoria (quella di neoclassico appunto) si trovassero le opere e le tendenze più opposte, quelle che ricercavano la grazia e la leggiadria e quelle invece che volevano attingere i drammatici effetti del Sublime.
Il fatto è che nel corso del Settecento si erano fatti strada nuovi tipi di apprezzamenti tanto da mettere in crisi il concetto stesso di «bello» cui era venuto a sostituirsi un pluralismo di sensazioni estetiche in cui «pittoresco» e «sublime» hanno una parte importante. La celebre Enquiry di Edmund Burke (1757) sulle origini delle idee di bello e di sublime suscitò un’eco assai profonda.
Nello spazio di qualche decennio ciò che per secoli era stato aborrito e temuto non cessa di incutere spavento, ma, appunto per questo, diviene oggetto di un nuovo piacere, quel «piacere dell’immaginazione» che Joseph Addison aveva, già all’inizio del secolo, additato ai lettori dello «Spectator». Mentre si studia, si imita, si mitizza il classico si inventa il neo-gotico, mentre dovunque si fondano o si riformano accademie di belle arti che rispondono a una confidente fiducia nella modellizzazione dell’educazione artistica, si sviluppa il concetto del genio intollerante delle costrizioni.
Si avverte negli artisti una crescente insofferenza ai ruoli obbligati, mentre si manifestano atteggiamenti dissociati che possono sfociare nella ipocondria. Chi come George Romney rientrava da Roma non sognando che di pittura di storia e costretto a vivere di ritratti, chi, come Johann Tobias Sergel, è conosciuto dal pubblico come sereno e solenne scultore classico, si scatena in privato in infiammati, deliranti disegni. Plana sugli artisti l’ombra della follia: William Blake denunciando l’emarginazione di cui erano stati oggetto coloro che per lui erano i massimi geni della pittura inglese ricordava come il grande visionario John Mortimer passasse per pazzo proprio mentre Sir Joshua Reynolds navigava nell’oro, e nelle «teste di carattere» dell’accademico viennese F.X. Messerschmidt, create in quei fatidici Anni Settanta, Ernst Kris ha letto le tappe di un viaggio nell’insania.
Cercare una spiegazione «interna» alle trasformazioni che sconvolgono il campo artistico in questo periodo finirebbe per ritorcersi in questioni definitorie e spesso tautologiche e si converrà con quanto scrive Briganti: «Un’indagine limitata alle analogie linguistiche... o alle divergenze ideologiche... trascurerebbe ragioni soggettive, cioè esistenziali, che sono in questo caso primarie. Trascurerebbe soprattutto quel mutamento allora in atto delle strutture psicologiche...».
Un libro sulla evoluzione delle immagini sociali della città e della campagna in Inghilterra tra Sette e Ottocento, come The Country and the City, di Raymond Williams (Londra 1973) potrebbe portare per esempio qualche luce al nascere di quella «nuova spiritualità agraria» di cui Briganti propone di indagare i rapporti con la diffusa tendenza paesistica del primo romanticismo inglese e che certamente fu in qualche modo in rapporto (più o meno nascosto e mediato) con fenomeni e situazioni più generali. Appunto in margine alla ricerca di Raymond Williams il sociologo Jean-Claude Chamboredon scrive sugli «Actes de la Recherche en Sciences Sociales» (Nov. 1977): «Uno degli oggetti dello studio storico è l’identificazione di quei momenti in cui forme di percezione, arbitrarie ma condivise, si scompongono e non vanno più da sé, facendo apparire alla coscienza realtà sociali e storiche che avevano la funzione di occultare o di travestire».
La «rivoluzione psicologica» ha reso possibili e stimolato i geniali scarti di Füssli e di Mortimer, ha messo in tensione i giovani artisti del Nord. Roma, l’antica capitale, diviene per loro la base in cui elaborare un linguaggio e un comportamento che sono all’origine dell’arte moderna. A Roma inglesi, francesi, svizzeri, danesi, svedesi, americani forgiano le loro armi, da Roma parte la loro rivolta. Alla sonnacchiosa capitale papalina i nuovi artisti concedono un prodigioso investimento fantasmatico: Sergel non potrà mai rassegnarsi di esserne dovuto partire. David incoraggerà l’allievo Wicar a restare in Italia scrivendogli da Parigi «Io qui sono come un povero cane gettato in acqua contro il suo volere che annaspa per arrivare alla sponda e non annegare». Si era nell’aprile del 1789, pochi mesi dopo la presa della Bastiglia avrebbe definito quali fossero le vere capitali d’Europa.
Enrico Castelnuovo
«Satana, peccato e morte», una vigorosa immagine di James Barry (1741-1800).
NOMI CITATI
- Actes de la Recherche en Sciences Sociales
- Addison, Joseph
- Barry, James
- Béguin, Albert
- Blake, William
- Briganti, Giuliano
- Burke, Edmund
- Carstens, Asmus Jacob
- Chamboredon, Jean-Claude
- David, Jacques-Louis
- Electa
- Ellenberger, Henri Frédéric
- Füssli, Johann Heinrich
- Giedion, Sigfried
- Jean Paul [Johann Paul Friedrich Richter]
- Kris, Ernst
- Messerschmidt, Franz Xaver
- Mortimer, John Hamilton
- Novalis [Georg Philipp Friedrich von Hardenberg]
- Reynolds, sir Joshua
- Romney, George
- Runciman, Alexander
- Sergel, Johan Tobias
- Spectator
- Starobinski, Jean
- Whyte, Lancelot Law
- Wicar, Jean-Baptiste-Joseph
- Williams, Raymond
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Londra [Regno Unito]
o Royal Academy of Arts
o Victoria and Albert Museum
- Parigi [Francia]
- Roma
Collezione: La Stampa
Etichette: _PAGINA "l'arte", _RECENSIONE (pubblicazione), Arte XVIII secolo
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Il fantastico che apre l'era moderna,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/13.