Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: Ora la cattedrale di Wiligelmo è di nuovo bianca

Descrizione: Nicoletta Niola intervista Castelnuovo in occasione della fine dei lavori di restauro della facciata del Duomo di Modena e dell'inaugurazione delle esposizioni Quando le cattedrali erano bianche - Lanfranco e Wiligelmo. Mostre sul Duomo di Modena dopo il restauro (Modena-Nonantola: 21 luglio 1984-prorogata al 31 luglio 1985). Castelnuovo era parte del comitato scientifico, composto da Vito Fumagalli, Adriano Peroni e Salvatore Settis, con la Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici dell’Emilia.
Al tema è anche dedicato l'articolo: Le pietre di Wiligelmo ritrovano un volto dopo ottocento anni, Tuttolibri, 21 luglio 1984, p. 4.

Autore: Enrico Castelnuovo, Nicoletta Niola

Fonte: Il Giornale dell’Arte, anno 2, n. 14, pp. 9-10

Editore: Il Giornale dell’Arte; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1984-07-01

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Giornale dell'Arte» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: GiornaleArte_1

Testo: «Il Giornale dell’Arte» – Anno 2, n. 14 – Luglio-agosto 1984, pp. 9-10
(sezione Le mostre)



Intervista con Enrico Castelnuovo

Ora la cattedrale di Wiligelmo è di nuovo bianca

Stupefacenti scoperte documentate in 6 mostre a Modena e Nonantola: dallo splendido fregio di Wiligelmo sul portale maggiore all’identificazione della fonte iconografica (il «Jeu d’Adam»), dalla policromia interna al primo rilievo dell’architettura di Lanfranco, al miracoloso ritrovamento della decorazione parietale di Nonantola.



MODENA. Il 21 luglio si inaugura la grande rassegna dedicata al Duomo di Lanfranco e Wiligelmo, visibile sino a dicembre; ne parliamo con Enrico Castelnuovo, docente di Storia dell’Arte Medioevale alla Normale di Pisa e curatore, insieme a numerosi altri studiosi, della grande mostra «Quando le cattedrali erano bianche».

La mostra coincide con l’ultimazione del restauro della facciata del Duomo di Modena e ne documenta anche l’esito; come sono stati condotti i lavori e quali sono i risultati?
È una storia molto lunga che è cominciata nel 1969 allorché Augusta Ghidiglia Quintavalle, allora soprintendente alle Gallerie di Modena, allestì una mostra fotografica dal titolo «Allarme per Wiligelmo» in cui veniva denunciato lo stato di straordinario degrado in cui versavano le sculture della facciata. Da allora ha preso lentamente le mosse questa campagna di lavori che ha permesso di recuperare in modo eccezionale sia il tessuto lapideo della facciata sia le sculture che la decorano consentendo anche una nuova lettura del complesso. I lavori, condotti da Uber Ferrari sotto il controllo della Soprintendenza ai Monumenti di Bologna, sono stati portati avanti con estrema prudenza riducendo al minimo gli interventi: una serie di impacchi ha permesso di sciogliere e di asportare quello spesso strato di sporcizia, che si era addensato sulle pietre. Il restauro ha così rivelato che la condizione delle sculture e della facciata in genere non era così disperata come sembrava e che non erano in corso i fenomeni di degrado che si temevano; in certi punti anzi le condizioni sono straordinarie, anche se esistono differenze di conservazione tra le varie sculture. Le lastre del Genesi, ad esempio, sono situate a livelli diversi — quando sono stati aperti i portali laterali infatti sono state alzate la prima e la quarta — e le due sistemate più in alto sono assai meglio conservate delle due inferiori. Inoltre Wiligelmo ha utilizzato supporti diversi: nella prima lastra vi sono tre pannelli di marmo greco, (evidentemente reimpiegato utilizzando l’arredo liturgico della cattedrale precedente) e della pietra d’Istria, meno compatta e solida del marmo; la seconda è in pietra di Vicenza, assai più friabile, la terza ha pezzi di marmo e di pietra vicentina, la quarta è di pietra d’Istria. La conoscenza dei materiali è una delle tante novità di questo restauro, prima d’ora infatti nessuno sapeva quali erano le pietre utilizzate da Wiligelmo. L’intervento inoltre ha rivelato certi brani della decorazione che erano in fondo ben poco considerati e che oggi ci paiono forse impressionanti quanto se non più del celeberrimo fregio del Genesi. Un caso esemplare è quello del portale maggiore i cui rilievi erano coperti da uno strato spesso di depositi che impediva quasi completamente la lettura del fregio dell’estradosso che ospita negli stipiti una ventina di figurazioni e altri tredici episodi nell’archivolto. Si tratta di una decorazione stupefacente che rivela non solo la capacità fantastica di Wiligelmo ma anche la sua incredibile maestria nell'utilizzare gli strumenti più vari senza sbagliare un colpo; una testimonianza di straordinario rilievo se si pensa che questa decorazione è realizzata entro il primo decennio del XII secolo e quindi in un momento assai precoce della rinascita della scultura monumentale. Inoltre questa abilità mirabile, che prima non era possibile apprezzare appieno, indica che lo scultore, al momento del suo arrivo a Modena, possedeva già una formazione spinta, una grande cultura e una grande capacità tecnica. Naturalmente il restauro non è terminato, ci vorranno ancora degli anni, ma merita davvero di andare avanti; bisogna intervenire sui fianchi, con il portale dei Principi e quello della Pescheria, e recuperare una quantità enorme di capitelli che attualmente sono poco leggibili e non permettono quei confronti che completerebbero l’immagine dell’atelier di Wiligelmo e del suo funzionamento e consentirebbero di distinguere i vari collaboratori.

Per quanto riguarda l’architettura quali sono gli elementi di maggiore novità offerti dalla mostra?
Se si pensa che la cattedrale, sino al momento della mostra, non era stata oggetto di un rilievo architettonico degno di questo nome, si può immaginare come la pur valida e intelligente letteratura relativa fosse basata su una serie di semplici osservazioni, di impressioni, mancavano cioè gli strumenti di studio. La documentazione di base che è stata approntata in quest’occasione, con rilievi architettonici, fotogrammetrie e una splendida maquette dell’edificio, ha permesso di appoggiare su basi più ferme gli studi sull’architettura che grazie ad Adriano Peroni hanno raggiunto notevolissimi risultati. Autenrieth si è poi occupato della policromia dell’interno, policromia quale doveva essere, non diciamo ai tempi di Lanfranco, ma agli inizi del Duecento. In Italia questo tipo di ricerche è raro, non si parla quasi mai della pittura come strumento di decorazione architettonica, in questo caso invece ha dato risultati sorprendenti sino alla scoperta, nel sottotetto, di una serie di pitture murali che riprendono motivi architettonici e di resti di capitelli dipinti. Purtroppo della policromia resta ben poco; durante i restauri della fine dell’ottocento tutto l’interno era stato grattato, in ossequio alla vecchia concezione dell’arte romanica come arte pura e severa. Con quel poco che rimane e grazie alle nuove scoperte è stato ora possibile ricostruire la probabile policromia di questa chiesa straordinaria che fuori era di marmo e dentro di mattoni dipinti, come un confetto.

Come è stata articolata la mostra che, lo ricordiamo, comprende sei sezioni ospitate in sedi diverse tra Modena e Nonantola?
La mostra non vuole essere un punto di arrivo ma un punto di partenza da cui, con dati più certi, ricominciare a studiare la cattedrale nel suo complesso, si è cercato in breve di creare una base consistente su cui lavorare successivamente. Si comincia quindi con una sezione storica che fissa, precisa ed illustra attraverso documenti le condizioni dello stato matildico al momento della fondazione della cattedrale, poi si passa all’architettura, quindi al rapporto con l’antichità di Wiligelmo e dei Campionesi (S. Settis e F. Rebecchi) e successivamente all’epigrafia, la cattedrale è una sorta di biblioteca lapidea con una quantità straordinaria di epigrafi ora studiate da Augusto Campana e da Saverio Lomartire, per arrivare infine alla scultura, a Wiligelmo ed agli interventi dei Campionesi. Inoltre la mostra rende nuovamente agibili e leggibili i patrimoni del Lapidario estense e di quello del Duomo, dove sono riuniti in grande quantità sarcofagi e sculture romane, alto medievali e romaniche. Non sempre le sculture classiche erano visibili al tempo della costruzione della chiesa, sappiamo però che a quel momento vi fu un importantissimo ritrovamento di marmi antichi, sappiamo che Wiligelmo guardava agli esempi antichi, come dimostrano i due genietti, e i leoni del Protiro, che pur molto restaurati sono di reimpiego. Da segnalare infine la sezione di Nonantola e la mostra di restauri organizzata autonomamente dalla Soprintendenza emiliana in cui saranno documentati minutamente gli interventi effettuati sulla Cattedrale dal 1860 ad oggi; in questa occasione uscirà anche un atlante con circa 4000 foto del Duomo.

Torniamo ora a Wiligelmo e ai contenuti della sezione a lui dedicata.
Proprio per quanto si è detto prima, su Wiligelmo il catalogo, con saggi introduttivi generali di Säuerlander, Salvini e Quintavalle e catalogo vero e proprio della mostra, ospiterà pareri diversi; quello di Wiligelmo è un problema ancora aperto e gli studi sono andati di pari passo con i lavori di restauro quindi non si è arrivati a trarre conclusioni definitive, in modo deliberato si è perciò voluto lasciare ad ognuno la responsabilità delle proprie idee e delle proprie ipotesi. Sino ad ora si era parlato molto delle origini di Wiligelmo, dei suoi rapporti con la Francia meridionale, con la Borgogna, e prima ancora con la Germania, noi invece ci siamo proposti di ricostruire anzitutto il suo repertorio formale, procedendo per campionature tipologiche, ad esempio con i capitelli, piuttosto che individuare la mano di Wiligelmo in questa o quella scultura, dedicandoci anche, e con notevoli risultati, alla ricerca iconografica. In questo ambito, significativo è stato, ad esempio, lo studio dell’impiego delle doppie pelte, un motivo usato largamente nei mosaici romani, nella miniatura e nella pittura ottoniana, che lo scultore utilizza come elemento decorativo legato all’architettura e per rappresentare l’acqua, ad esempio nell’episodio dell’arca di Noè o nella Creazione di Eva.
La ricerca di Chiara Frugoni ha consentito poi con tutta probabilità di identificare il testo utilizzato nelle scelte iconografiche delle storie del Genesi. Si tratta del più antico dramma religioso che si conosca, il «Jeu d’Adam», un testo elaborato in Francia che ha cominciato a circolare all’inizio del XII secolo; d’altro canto non è questa l’unica apertura alla cultura francese da parte dei committenti testimoniata dalla cattedrale, le leggende arturiane del portale della Pescheria sono infatti anch’esse molto precoci. Al «Jeu d’Adam» si è arrivati mettendo insieme una serie di indizi di diverso carattere, epigrafici — vi sono passi e parole che ritornano tali e quali nelle lastre del Genesi e nel testo del dramma — o iconografici — per esempio la rara rappresentazione di Eva che lavora la terra assieme ad Adamo, mentre nell’iconografia tradizionale Eva alleva i figli e fila. Si tratta di una sorta di riscatto attraverso il lavoro, e in realtà il programma decorativo complessivo è un programma di salvezza, anche se comincia con il peccato originale e con l’uccisione di Abele si conclude infatti con l’uscita dall'Arca di Noè e dei figli. Questa stessa idea di salvezza compenetra infatti l’intera decorazione della facciata: la presenza di Enoch ed Elia, simboli di vita eterna, Sansone che spalanca le fauci del leone, immagine di vittoria sulla morte, i due genietti funerari, l’uno rappresentato con un ibis, il cattivo cristiano dei bestiari medioevali, l’altro inquadrato in un’architettura, da una parte quindi la morte fuori dalla chiesa e dall’altra la salvezza nella fede, senza contare che anche la decorazione del portale si conclude in modo positivo, con i vendemmiatori che raccolgono i grappoli della vigna del Signore.

Come si inserisce nel contesto della mostra l’abbazia di Nonantola ove è allestita la sezione sulla pittura e la miniatura?
Nonantola, sede di una grande abbazia fondata nell’VIII secolo, e Modena, sede episcopale, erano i due grandi centri culturali ed economici dello stato matildico e quindi anche i centri di committenza artistica del momento; inoltre, qui avevano lavorato maestranze attive anche nel Duomo e qui si conservano moltissime pergamene di straordinaria importanza documentaria. Ci eravamo quindi posti il problema della pittura all’epoca di Wiligelmo e avevamo deciso di allestire, proprio nell’abbazia, una mostra di fotografie e diapositive che accanto ad una sezione sulla miniatura, doveva documentare le tendenze della pittura in Emilia in età romanica. Le ricerche sulla produzione dei libri illustrati hanno reso possibile, fra l’altro, la scoperta dell’esistenza di uno scriptorium modenese legato alla cattedrale, oltre a quello celebre di Nonantola. Miracolosamente poi, e si è trattato di un miracolo degno di quelli che si leggono nelle cronache medioevali, proprio nel luogo stesso che doveva ospitare la documentazione fotografica della pittura sono stati casualmente ritrovati i frammenti di una importante decorazione parietale con Storie di san Benedetto e degli Apostoli databile al più tardi all’inizio del XII secolo. Ora sappiamo che è quanto rimane della decorazione pittorica del refettorio dell’abbazia, un edificio così rimaneggiato nel ’700 e nell’800 da non essere più riconoscibile prima che le pitture ed il ritrovamento delle antiche finestre ne confermassero l’identificazione con il refettorio.
Intervista a cura di Nicoletta Niola

[Accompagna l’articolo una fotografia di Enrico Castelnuovo sotto la lapide dedicatoria a Wiligelmo sulla facciata del duomo di Modena]

NOMI CITATI

- Autenrieth, Hans Peter
- Campana, Augusto
- Campionesi, Maestri
- Ferrari, Uber
- Frugoni, Chiara
- Lanfranco
- Lomartire, Saverio
- Niola, Nicoletta
- Peroni, Adriano
- Quintavalle, Arturo Carlo
- Quintavalle, Augusta Ghidiglia
- Rebecchi, Ferdinando
- Salvini, Roberto
- Sauerländer, Willibald
- Settis, Salvatore
- Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici dell’Emilia
[Soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara]
- Wiligelmo


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Modena
o Cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo e San Geminiano
o Museo lapidario estense
- Nonatola [Modena]
o Abbazia di Nonantola
- Pisa
o Scuola Normale Superiore

Collezione: Il Giornale dell'Arte

Citazione: Enrico Castelnuovo e Nicoletta Niola, “Ora la cattedrale di Wiligelmo è di nuovo bianca,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/12.