Miliardi per un frammento di passato (dettagli)
Titolo: Miliardi per un frammento di passato
Descrizione:
Intervento sulla vendita della collezione Robert von Hirsch da parte della casa d’arte Sotheby's (Londra, 20-27 giugno 1978); il contributo prende le mosse dall’articolo di Mario Ciriello (L’asta del secolo: 30 miliardi, «La Stampa», 29 giugno 1978, p. 3), segnalando i pezzi più significativi e, soprattutto, le acquisizioni da parte dei musei nazionali tedeschi. Prima del trasferimento a Basilea, la collezione, che comprendeva opere già parte del cosiddetto “Welfenschatz”, era conservata a Francoforte sul Meno. Castelnuovo presenta l’onerosa campagna d’acquisti come un’operazione illuminata di risarcimento del patrimonio nazionale tedesco e al contempo critica l'amministrazione pubblica italiana per non essere intervenuta all’asta. A una settimana di distanza è pubblicata una nota di rettifica, in cui l’autore precisa la corretta collocazione di un’opera erroneamente citata (Un frammento di passato, «La Stampa», 21 luglio 1978, p. 7).
Sulla vendita della collezione cfr. The Robert von Hirsch Collection, London, Sotheby Parke Bernet & Co, 1978, 4 voll.; un esemplare è presente nel fondo librario di Castelnuovo, presso la Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 112, n. 164, p. 3, La Stampa, anno 112, n. 167, p. 7
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1978-07-18, 1978-07-21
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_5
Testo:
«La Stampa» – Anno 112, n. 164 – Martedì 18 luglio 1978, p. 3
(pagina l’arte)
Miliardi per un frammento di passato
È terminata a fine giugno da Sotheby’s a Londra la dispersione della collezione von Hirsch, la più spettacolosa vendita dalla fine della guerra (cfr. La Stampa del 29-6). Tutti i giornali ne hanno parlato, prezzi alle stelle, records mai raggiunti, per un totale di oltre ventotto miliardi di lire; in fondo elementi consueti in tempi di inflazione. E tuttavia vi sono aspetti che fanno di questo avvenimento qualche cosa di assolutamente singolare.
Da una parte i prezzi più alti, superiori al miliardo e mezzo di lire, sono stati raggiunti non da dipinti dai nomi prestigiosi, come era stato il caso in questi ultimi anni, ma da due piccoli smalti del XII Secolo, dall’altra si è assistito a un’azione-sorpresa, impeccabilmente coordinata e preparata, tenuta segreta fino in fondo, da parte dei musei tedeschi per assicurarsi un gruppo di pezzi intimamente legati alla storia artistica, culturale e anche politica del loro Paese. È stata proprio questa determinata volontà di riappropriarsi di frammenti del proprio passato, della propria eredità culturale, che, con l’entrata in campo di criteri che vanno al di là del puro apprezzamento estetico, ha determinato l’impetuoso sviluppo della spirale dei prezzi che ha sconvolto le abitudini del mercato.
La storia della collezione e di chi l’ha riunita potranno illuminare questa situazione. Robert von Hirsch (nato nel 1883, morto il 1° novembre 1977) apparteneva a una famiglia ebraica renana di industriali del cuoio. Da giovane aveva cominciato a seguire la pittura moderna, acquistando, nel 1907, quadri di Toulouse-Lautrec e di Picasso; poi, sotto l’influenza di Georg Swarzenski, un grande storico dell’arte allora direttore della Städel-Kunstinstitut di Francoforte, prese a interessarsi al Medioevo.
Gli anni decisivi in cui si precisa e si afferma il profilo della collezione von Hirsch sono quelli della repubblica di Weimar. Sono anni in cui alcune antiche e celeberrime collezioni vengono vendute e disperse, in cui il Duca di Braunschweig liquida il «Welfenschatz», l’antico Tesoro Guelfo che i suoi antenati avevano riunito nella cattedrale della loro città, in cui il principe di Hohenzollern-Sigmaringen mette all’asta le proprie raccolte e le autorità sovietiche vendono in Occidente alcuni prestigiosi pezzi delle collezioni dell’Hermitage. Consigliato da Georg Swarzenski, Robert von Hirsch poté così acquistare capolavori di quelle arti dette «minori», che in realtà furono le autentiche tecniche-guida dell’espressione artistica medievale: smalti, avori, bronzi, oreficerie.
Il corredo imperiale
Nel 1933 quando i nazisti arrivano al potere il collezionista israelita è costretto a lasciare la Germania. Robert von Hirsch si stabilisce a Basilea e nella casa della Engelgasse, sempre aperta agli storici dell’arte, ricompone e sviluppa la sua raccolta. La Germania venne così a perdere un raro patrimonio di oggetti carichi di storia, spesso intimamente legati alle vicende del Paese. A questo peccato d’origine hanno cercato di porre rimedio gli acquisti dei musei tedeschi, finanziati, come ha dichiarato il ministro degli Interni Gerhart Baum, dal governo federale e da quelli dei Länder.
Il Museo Germanico di Norimberga è potuto venire così in possesso (per un milione e centomila sterline, circa un miliardo e settecento milioni di lire), di un memorabile cimelio: un’armilla decorata a smalto con la Crocifissione che aveva fatto parte degli arredi dell’incoronazione del Barbarossa e che l’imperatore, insieme ad un’altra armilla con la Resurrezione, aveva inviato in dono al Gran Principe Andrej Bogoljubskij, in occasione di una visita ad Aquisgrana di ambasciatori russi e che fu conservata per secoli nel tesoro della cattedrale di Vladimir.
Se il Barbarossa aveva consentito a fare questo sontuoso dono al Gran Principe, fu probabilmente perché considerava ormai fuori moda lo stile degli smalti, starebbe a provarlo il fatto che un’altra coppia di armille del corredo imperiale sia stata conservata, fino alla fine del Settecento, nella Schatzkammer del Palazzo Imperiale di Vienna. Scomparse queste e acquistato dal Louvre nella vendita dei tesori dell’Hermitage l’altro esemplare di Vladimir, l’armilla von Hirsch venne ad acquistare per la Germania un significato storico del tutto eccezionale.
Un museo tedesco si è aggiudicato un acquarello dipinto da Dürer durante il suo primo viaggio in Italia nel 1494, con una veduta dell’Adige e del Doss Trento (il «Trintperg» come annota sul foglio il giovane artista): acquisti importanti hanno fatto i musei di Stoccarda, di Hannover ecc., mentre i Musei di Berlino si sono assicurati l’oggetto che ha raggiunto il prezzo più alto (un milione e duecento mila sterline), un medaglione a smalto con la Carità rappresentata come un angelo, resto di un altare ora perduto che intorno alla metà del XII Secolo Wibald, principe-abate del monastero di Stavelot (oggi in Belgio, ma a due passi da Aquisgrana), ordinò per la propria abbazia, che ebbe una significativa parte nell’antica storia tedesca, a uno dei più celebri orafi medievali, Godefroid de Claire.
Non mancavano rarissimi pezzi di origine o provenienza italiana, esportati in genere negli ultimi cento anni. Per ricordare solo i casi più eccezionali: un avorio milanese del X Secolo con Storie di Davide che apparteneva al Museo di Volterra e che fu venduto all’asta a Firenze nel 1880 (oggi acquistato per 560 mila sterline dal Museo di Stoccarda); un altro spettacolare avorio con la Fuga in Egitto di un atelier meridionale (Amalfi c. 1100) acquistato dal Museo di Cleveland per 209 mila sterline); un re di scacchi con i tratti di Federico II anch’esso meridionale (seconda metà del XIII Secolo); uno sceltissimo gruppo di avori già nella collezione Trivulzio, tra cui un Cristo in maestà costantinopolitano dell’Undicesimo Secolo che era appartenuto a Giuliano della Rovere, il futuro Giulio II (630 mila sterline, circa un miliardo di lire).
E ancora: una Madonna col Bambino già al centro di un polittico dipinto nel 1427 da Giovanni di Paolo per la cappella Branchini in San Domenico a Siena e venduto nel 1922 dai Chigi-Saracini (ora acquistato per ottocento milioni di lire dalla Simon Norton Foundation di Pasadena); una scultura lignea attribuita a Cosmè Tura, e ancora bronzi, ricami, vetri, maioliche fino ad arrivare all’enigmatico bronzo di figura femminile nuda, firmato da uno «Stefano pittore della Val Lagarina», possibile autore delle porte bronzee di San Zeno a Verona, e acquistato a suo tempo nel Veneto dall’antiquario Cassirer (ora venduto per circa 175 milioni di lire).
Ma che fa l’Italia?
Anche in questa eccezionale occasione sono così emersi brani dolorosi di una storia interamente negativa, quella della dispersione del patrimonio artistico italiano. Dopo la vendita londinese l’Economist osservando come i musei britannici fossero rimasti a guardare come scolaretti dal viso schiacciato contro la vetrina di un negozio di dolciumi, auspicava lo sviluppo e la trasformazione, onde renderlo più agile e più efficiente, del National Land Fund, creato nel 1946 per intervenire in difesa del patrimonio storico ed artistico del Paese.
Non sarebbe male che anche da noi si tirasse qualche lezione dall’avvenimento.
È chiaro che i prezzi alle stelle, la crisi economica, i vigenti regolamenti e la precaria situazione in cui per lo più si trovano le nostre grandi raccolte, rendevano impossibile un’azione quale quella attuata con la collaborazione dello Stato dai musei tedeschi. Questo non dovrebbe però giustificare, se eventi simili avessero a ripetersi in avvenire, l’assenza di una concertazione tra autorità regionali e massimi musei civici, tanto più che fatti di tal genere non si presentano all’improvviso: nel caso della collezione von Hirsch gli oggetti erano stati esposti negli ultimi mesi in vari musei, a Francoforte, Zurigo, Londra e da molti mesi ci si preparava a questa vendita (fin dal principio dell’anno il Gran Consiglio di Basilea aveva votato a questo scopo un credito di tre milioni di franchi).
Tali occasioni richiederebbero il concorso delle grandi banche (Hermann Abs ex presidente della Deutsche Bank sembra essere stato il coordinatore finanziario dell’operazione tedesca), eventualmente di pubblici istituti (la cassa-pensioni dei ferrovieri britannici ha acquistato un superbo piede di candelabro inglese degli inizi del XII Secolo, atto che ha invero suscitato molte discussioni).
Non si vuole con queste proposte correr dietro a fantasie irrealizzabili. Anche in vendite dove si raggiungono cifre astronomiche può essere possibile assicurarsi a un prezzo abbordabile un pezzo interessante che venga ad arricchire o a completare una particolare serie di cui un determinato museo sia in possesso e che verrebbe ad assumere in questo senso un particolare significato. Ma il fatto è che se altrove ci si preoccupa di recuperare qualche brandello dell’eredità nazionale, in Italia le cose vanno diversamente e il raro esempio di qualche collezionista, come il Magnani, che cerca di risarcire le immense perdite assicurandosi all’estero qualche frammento del nostro passato, urta contro abitudini del tutto opposte.
Così mentre altrove si inverte la marcia qui lo stillicidio continua.
Enrico Castelnuovo
«La Carità» (a sinistra), acquistata dal museo di Berlino, e l’armilla con la Crocifissione, proprietà del museo di Norimberga.
«La Stampa» – Anno 112, n. 167 – Venerdì 21 luglio 1978, p. 7
(pagina I lettori discutono)
Un frammento di passato
Mi avvedo di avere commesso, nell’articolo sulla vendita della collezione Hirsch («Miliardi per un frammento di passato» su La Stampa del 18 luglio), un imperdonabile errore. Le «armille» perdute del Barbarossa non sono state, come scrivo, «conservate fino alla fine del Settecento nella Schatzkammer del Palazzo Imperiale di Vienna» bensì nella chiesa di San Sebaldo a Norimberga con il resto del corredo imperiale. E proprio trasportandole a Vienna alla fine del Settecento andarono perdute. Tanto maggiore il significato per Norimberga di recuperare una delle «armille» superstiti. Aggiungerò anche che con grande tempestività l’«armilla» in questione, pochi giorni dopo l’acquisto, è già esposta al pubblico nel museo germanico di Norimberga.
Mi scuso per l’involontario errore.
Enrico Castelnuovo
NOMI CITATI
- Abs, Hermann Josef
- Baum, Gerhart Rudolf
- Bogoljubskij, Andrej Jur’evič, gran principe di Vladimir-Suzdal’
- Cassirer [antiquario]
- Chigi-Saracini [collezione]
- Deutsche Bank
- Dürer, Albrecht
- Economist [The]
- Ernst August von Hannover, duca di Braunschweig e Lüneburg
- Federico I [Barbarossa], imperatore del Sacro Romano Impero
- Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero
- Giovanni di Paolo
- Giulio II, papa [Giuliano della Rovere]
- Godefroid de Claire
- Gran Consiglio del Canton Basilea Città
- Hirsch, Robert von
- Magnani, Luigi
- National Land Fund of the United Kingdom
- Picasso, Pablo
- Stampa [La]
- Sotheby’s
- Stefano pittore della Val Lagarina
- Swarzenski, Georg
- Toulouse-Lautrec, Henri de
- Trivulzio [collezione]
- Tura, Cosmè
- Wibaldo di Stavelot
- Wilhelm von Hohenzollern-Sigmaringen, principe
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Amalfi [Sorrento]
- Aquisgrana [Germania]
- Basilea [Svizzera]
o Engelgasse
- Berlino [Germania]
o Kunstgewerbemuseum
- Braunschweig [Germania]
o Duomo di Braunschweig [Chiesa di San Biagio di Sebaste e San Giovanni Battista]
- Brema [Germania]
o Kunsthalle Bremen
- Cleveland [Stati Uniti]
o Cleveland Museum of Art
- Firenze
- Francoforte sul Meno [Germania]
o Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie
- Hannover [Germania]
o Niedersächsisches Landesmuseum Hannover
- Norimberga [Germania]
o Chiesa di San Sebaldo
o Germanisches Nationalmuseum
- Parigi [Francia]
o Musée du Louvre
- Pasadena [Stati Uniti]
o Norton Simon Art Foundation
- San Pietroburgo [Russia]
o Hermitage [The State Hermitage Museum]
- Siena
o Basilica di San Domenico
▪ Cappella Branchini
- Stavelot [Belgio]
o Abbazia di Stavelot- Malmedy
- Stoccarda [Germania]
o Staatsgalerie Stuttgart
- Verona
o Basilica di San Zeno Maggiore
- Vienna [Austria]
o Hofburg
▪ Schatzkammer
- Vladimir [Russia, Oblast' di Vladimir]
o Cattedrale della Dormizione
- Volterra [Pisa]
o Museo civico di Volterra
Collezione: La Stampa
Etichette: _Asta, _PAGINA "l'arte", Musei mercato collezionismo
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Miliardi per un frammento di passato,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/18.