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Titolo: I fasti del gotico minuscolo

Descrizione: Recensione della mostra: Il gotico a Siena. Miniature, pitture, orificerie, oggetti d’arte (Siena, Palazzo Pubblico, 24 luglio-30 ottobre 1982), a c. di Giovanni Previtali, catalogo edito da Centro Di. Ripercorrendo le principali opere, l’intervento traccia un itinerario nell’arte gotica a Siena dalla fine del XIII secolo all’inizio del XV secolo: i nuovi elementi stilistici giunti da Oltralpe accolti e rielaborati in città, dove speciale era la predilezione per le microtecniche; la fortuna degli artisti senesi a Firenze e ad Avignone, divenuti poi modello per l’intera Europa; l’adesione senese al Gotico internazionale e il progressivo spegnersi di ogni innovazione, giunti ormai alle porte del Quattrocento. In particolare, Castelnuovo apprezza la scelta di mettere in rassegna opere di piccolo formato e di differenti tecniche, che ben illustrano come la pittura e la scultura non fossero al vertice della gerarchia delle arti nel periodo in esame.
Per la tematica affine, nella recensione è ricordata la mostra Les Fastes du Gothique. Le siècle de Charles V (Parigi, Galeries nationales du Grand Palais: 9 ottobre 1981-1° febbraio 1982), di cui Castelnuovo aveva scritto su «La Stampa». L’anno seguente, una seconda edizione dell’esposizione sull’arte senese è inaugurata ad Avignone: L'art Gothique Siennois. Enluminure, peinture, orfevrerie, sculpture (Avignone, Musée du Petit Palais: 26 giugno-2 ottobre 1983); anche questa è recensita da Castelnuovo su «La Stampa».
Una copia del catalogo è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa, anno 116, n. 165, p. 3

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1982-08-08

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_20

Testo: «La Stampa» – Anno 116, n. 165, Domenica 8 agosto 1982, p. 3



Al Palazzo Pubblico di Siena, negli antichi magazzini del sale.

I fasti del gotico minuscolo

Smalti, miniature, reliquiari: il microcosmo dell’arte senese nel Trecento, altrettanto importante delle opere monumentali. Ci sono capolavori di artisti come Simone Martini, o Pietro e Ambrogio Lorenzetti e opere di maestri ignoti - Un documento della rivalità artistica con Firenze, che non aprì un «fossato» tra le due città, ma accentuò i diversi indirizzi del gusto



SIENA — «Più largamente Siena ti apre il cuore» sta scritto sulla stretta porta Camollia che accoglie chi arriva da Firenze. Una divisa che potrebbe essere utilizzata per la bella mostra coordinata con intelligente misura da Giovanni Previtali in cui Siena, con minore sfarzo di Parigi che aveva celebrato quest’inverno al Grand Palais «Les fastes du gothique», dispiega in Palazzo Pubblico all’insegna di «small is beautiful» i fasti del suo gotico.
Ciò che è esposto è il risultato di una scelta oculata di opere di piccolo formato, codici miniati, oreficerie, vetrate, piccole sculture, tavolette dipinte, frammenti di altaroli portatili o di predelle di grandi polittici, o ancora legature di registri contabili, i famosi libri di Biccherna.
Gli oggetti ammirevoli distribuiti nelle vetrine delle sale inferiori del palazzo, gli antichi magazzini del sale recuperati come spazi espostivi, fanno intendere al visitatore come la gerarchia delle arti fosse, tra Due e Quattrocento, assai diversa da quanto oggi ci appaia, come le specializzazioni, anche in tempi di rigida organizzazione corporativa, lasciassero il posto a una varietà di capacità e di impegni assai vasta.
Il primo capomaestro del Palazzo Pubblico fu, ce lo ricorda per l’occasione Ferdinando Bologna, un calligrafo miniatore, pittori quali Simone Martini e Pietro Lorenzetti si cimentarono nell’illustrazione di libri, scultori come Goro di Gregorio progettarono opere di oreficeria, mentre queste ultime appaiono spesso come micro-architetture assai elaborate.
Delle microtecniche Siena fu una capitale europea al pari di Parigi: gli smalti translucidi senesi in cui la trasparenza delle paste vitree permette effetti eccezionali nel gioco con il fondo d’argento lavorato a bassorilievo sono, sullo scorcio del Duecento, delle primizie europee e ciò spiega ad esempio come il primo dei papi avignonesi, Clemente V, avesse con sé, unico artista della corte itinerante, un orafo senese di nome Toro.

I sigilli
La capacita di innovazione e la rapidità dei mutamenti sono analoghi tra le opere che appartengono al microcosmo dei piccoli oggetti preziosi e quelle che partecipano al macrocosmo delle tecniche monumentali. Con una differenza tuttavia, che le prime, per il loro stesso formato, viaggiano facilmente, non così le seconde intrasportabili per dimensioni, tecnica usata, collocazione.
Le predilezioni estetiche della società senese si rivelano al massimo in oggetti che oggi non abbiamo l’abitudine di considerare opere d’arte allo stesso grado, poniamo, che una scultura o un dipinto. E invece la matrice di un sigillo visibile a pochi ma di alto prestigio simbolico, tanto che per esse, come per le copertine dei libri contabili del Comune, si faceva ricorso ai massimi artisti, può essere altrettanto se non più importante di una scultura monumentale.
Ora per l’appunto a Siena è esposto un gruppo assai notevole di sigilli della fine del Duecento, che hanno rapporto con l’arte di uno dei massimi artisti del tempo, l’orafo Guccio di Mannaia. Fu questi, accanto al grande Duccio e a Memmo di Filippuccio, futuro suocero di Simone Martini, uno dei protagonisti del tempo in cui lo stile gotico penetra a Siena.
Gli ultimi decenni del Duecento, bene documentati dalla sezione della mostra dedicata alla «nascita dell’arte senese», sono affascinanti e ancora, in parte, misteriosi. Sono gli anni della vittoria di Montaperti sui fiorentini, ma anche della sconfitta di Colle Val d’Elsa, gli anni in cui, dopo un ultimo sussulto, la partita è perduta per i ghibellini, in cui si annuncia il declino politico ed economico di Siena, ma in cui crescono a dismisura gli investimenti simbolici, gli anni in cui viene portata avanti la costruzione della cattedrale, prima, probabilmente, sotto la direzione di Nicola, poi sotto quella di Giovanni Pisano, in cui viene iniziata, la costruzione del Palazzo Pubblico, in cui nasce la Piazza del Campo.
E sono gli stessi anni in cui gli elementi del nuovo stile gotico, elaborati a Nord delle Alpi, giungono a Siena e vengono prontamente accolti. Molti furono i modi e le vie di penetrazione: i rapporti commerciali con la Francia, culla del nuovo stile dove recenti ipotesi fondate su documenti d’archivio vorrebbero che Duccio avesse soggiornato, l’importanza dell’abbazia di San Galgano, donde provenivano i responsabili del cantiere della cattedrale e gli amministratori delle finanze comunali, che aveva legami assai stretti con i monasteri cistercensi francesi, i nessi politico-culturali della Siena ghibellina con la dinastia sveva e, conseguentemente, con i cantieri imperiali, risolutamente gotici, del Mezzogiorno d’Italia.
La situazione politica ebbe conseguenze sul piano artistico: al gotico di intonazione sveva reagisce, con la crescente egemonia di Firenze, l’influenza di Cimabue, che dirige la decorazione della basilica superiore di Assisi. I libri corali della cattedrale di Siena, il reliquiario della testa di San Galgano, le splendide illustrazioni di un trattatello sulla creazione del mondo, la Madonna dei francescani di Duccio, i sigilli e le oreficerie di Guccio di Mannaia e di Tondino di Guerrino portano testimonianza di questa complessa situazione.
Uno dei pezzi più eccezionali di questa sezione è il reliquiario di Frosini proveniente dall’abbazia di San Galgano e praticamente inaccessibile nella sua sede abituale, considerato da Roberto Longhi come un apice dell’arte senese. I suoi smalti, paralleli alla pittura di Pietro Lorenzetti e non immemori dell’arte di Giovanni Pisano, sono capolavori vibranti e precoci del Trecento europeo.
Dopo una penetrazione contrastata e dopo aver assimilato le nuove forme di rappresentazione dello spazio introdotte da Giotto, i modi gotici si affermarono a Siena senza contrasti e in una eccezionale varietà di declinazioni. Se maestri senesi lavorarono a Firenze o per Firenze i pittori fiorentini non trovarono spazio a Siena dove però le loro ricerche furono costantemente seguite e rielaborate.
Il fossato che un tempo si voleva scorgere tra Firenze e Siena non esiste, esistono però caratteri specifici propri agli artisti senesi e tra questi vi è proprio una preferenza per gli elementi più accentuati e dinamici del gusto gotico, quasi a distinguersi dalla temuta Firenze. Ne fanno fede in mostra le oreficerie prossime a Goro di Gregorio, gli smalti di Ugolino di Vieri e Viva di Lando, le miniature di Simone Martini e di Pietro Lorenzetti, le sculture di Giovanni d’Agostino, le tavole di Ambrogio Lorenzetti e se ne può scorgere una riprova nell’accoglienza entusiasta che gli artisti senesi ricevettero in Avignone.


Avignone
È questo un altro episodio capitale affrontato nell’esposizione che gli organizzatori sperano di riprendere almeno in parte proprio nella città provenzale. A Siena sono presenti lo splendido frontispizio che Simone miniò per il Virgilio di Petrarca, i disegni, probabilmente di Simone, di un manoscritto avignonese, la croce-reliquiario del legno della Santa Croce, donata alla cattedrale di Padova da un vescovo giramondo, e un gruppo di opere di quel geniale anonimo, probabilmente ad Avignone dal 1320 e quindi ben prima di Simone Martini, che dalla sua opera più celebre è chiamato il Maestro del Codice di San Giorgio. Fu questi un fiorentino, non un senese come spesso si è creduto, e non è un caso che il più gotico dei pittori fiorentini abbia trovato spazio ad Avignone piuttosto che a Firenze.
È poi probabile che sempre ad Avignone sia stata eseguita un’opera tra le più belle ed enigmatiche di tutta la mostra che recava originariamente al recto e al verso del medesimo pannello la caduta degli angeli ribelli e l’elemosina di San Martino dipinte da un inafferrabile artista che di qui prende il nome di «Maestro degli Angeli Ribelli». Un dipinto così singolare con le silhouettes nere e contorte dei diavoli che precipitano diminuendo di grandezza fino a sprofondare, come in una visione di Bosch, nelle crepe del globo terrestre, nella coerente profondità delle due file di troni della parte superiore che non stupisce il fatto che ancora, agli inizi del Quattrocento, i fratelli de Limbourg abbiano trovato in esso un modello.

Borghesi
Attraverso il relais avignonese o per vie più dirette l’arte gotica senese diviene un esempio per gli artisti europei, dalla Catalogna alla Francia, alla Boemia, ma la sua fase più creativa sembra esaurirsi ai tempi della peste, in cui muoiono i due Lorenzetti (Simone, già da tempo lontano da Siena, era morto nel 1343 ad Avignone). Cambia anche la struttura politica della città con la caduta dell’oligarchia alto-borghese dei Nove, committente di tante eccezionali opere d’arte, e con l’ascesa della media e piccola borghesia che facilita agli artisti l’accesso ad importanti cariche pubbliche.
Le opere dei Lorenzetti e di Simone costituirono allora il repertorio-base su cui esercitare un’attività combinatoria intelligente e raffinata, ma senza le capacità innovatrici dei grandi pittori scomparsi, che, quali i profeti giganteschi nelle vetrate della cattedrale di Chartres, sembrano tener sulle spalle le esili figurine dei nuovi artisti
Le ultime due sezioni illustrano le forme dell’adesione senese al Gotico internazionale, un tempo che vedrà gli artisti senesi più inclini agli scambi e d’altronde artefici e custodi gelosi di un culto di Simone Martini che ben s’intende dato che l’opera di Simone era alle radici della nuova pittura cortese in Europa. Vengono poi gli anni del Quattrocento in cui occorre misurarsi con le tremende novità fiorentine e cercare delle soluzioni alternative, come fece assai precocemente il Sassetta e quindi il grande «Maestro dell’Osservanza» e per altra via il drammatico ed espressivo Giovanni di Paolo, ultimo virgulto di quella linea gotica senese che impose i propri paradigmi per circa due secoli, più o meno il tempo durante il quale la Maestà di Duccio troneggiò sull’altar maggiore della Cattedrale.
Enrico Castelnuovo

Siena, mostra del gotico. Da sinistra a destra: Memmo di Filippuccio, miniatura su salterio; Guccio di Mannaia, incisione su marmo; miniatura anonima, dal Tractatum de creatione mundi.

NOMI CITATI

- Bologna, Ferdinando
- Cimabue
- Clemente V, papa [Bertrand de Got]
- Duccio di Buoninsegna
- Giotto
- Giovanni d'Agostino
- Giovanni di Paolo
- Giovanni Pisano
- Goro di Gregorio
- Guccio di Mannaia
- Limbourg [fratelli]
- Longhi, Roberto
- Lorenzetti, Ambrogio
- Lorenzetti, Pietro
- Maestro degli Angeli ribelli
- Maestro del Codice di San Giorgio
- Maestro dell'Osservanza
- Maestro di Frosini
- Martini, Simone
- Memmo di Filippuccio
- Nicola Pisano
- Petrarca, Francesco
- Previtali, Giovanni
- Sassetta
- Tondino di Guerrino
- Toro [orafo]
- Ugolino di Vieri
- Viva di Lando


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Assisi [Perugia],
o Basilica superiore di San Francesco
- Avignone [Francia]
- Boemia [Repubblica Ceca]
- Catalogna [Spagna]
- Chartres [Francia]
o Cattedrale di Notre-Dame de Chartres
- Chiusdino [Siena]
o Abbazia di San Galgano
- Colle Val d’Elsa [Siena]
- Firenze
- Montaperti [Siena]
- Padova
o Cattedrale di Santa Maria Assunta
- Parigi [Francia]
o Grand Palais
- Siena
o Duomo [Cattedrale di Santa Maria Assunta]
o Palazzo Pubblico
o Piazza del Campo
o Porta Camollia

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “I fasti del gotico minuscolo,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/33.