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Titolo: Soffioni di gloria

Descrizione: Recensione dell’opera: Palazzo de Larderel a Livorno. La rappresentazione di un’ascesa sociale nella Toscana dell’Ottocento, a c. di Lucia Frattarelli Fischer e Maria Teresa Lazzarini, Milano, Electa, 1992; l'articolo presenta un profilo di François Jaques Larderel (1790-1858) a partire dalle sue attività di produzione e commercializzazione dell’acido borico e del borace: Castelnuovo ripercorre in prima battuta le vicende alla base della fortuna economica e sociale della famiglia, soffermandosi poi sugli interventi decorativi del palazzo livornese.
Una copia dell’opera è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: Il Sole 24 Ore, anno 129, n. 9, p. 21

Editore: «Il Sole 24 Ore»; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1993-01-10

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «Il Sole 24 Ore» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Sole_4

Testo: «Il Sole 24 Ore» – Domenica 10 gennaio 1993, n. 9, p. 21



La figura dell’imprenditore e mecenate francese François Larderel che per primo sfruttò i giacimenti boraciferi toscani

Soffioni di gloria

Il geniale creatore di Lardello volle sigillare la propria ascesa sociale erigendo in Livorno un palazzo affrescato con allegorie del progresso



di Enrico Castelnuovo
Il 19 agosto del 1841 si celebrava con gran pompa a Livorno l’inaugurazione di un nuovo palazzo. Tra la folla c’erano nomi di spicco internazionale: «Un vegliardo di grandiose e nobili sembianze a somiglianza di un nume maestoso si aggirava per la festa, a sé gli sguardi chiamando. Sai tu chi era? Il sommo degli scultori viventi, Thorwaldsen» scriveva per l’occasione il cronista della «Gazzetta di Firenze». Protagonista dell’avvenimento cui assistevano personaggi di tanta fama era un industriale francese, François Larderel, che molto tempo prima, nel corso di un anno cruciale per l’Europa, il 1814, era sbarcato nel porto toscano, vi si era installato e aveva sposato, come era costume tra i componenti delle colonie straniere, una connazionale.
Livorno era fin dal Seicento una città cosmopolita, piena di mercanti forestieri che vi conducevano i più svariati traffici partecipando a un attivo commercio internazionale e talora vi facevano fortuna. Sarà questo il caso del giovane Larderel che appena arrivato costituì una ditta a struttura familiare insieme ai cugini Lamotte che venivano da Saint-Etienne. Ciò che lo caratterizzò rispetto ad altri commercianti stranieri a Livorno è il fatto che presto cominciò a interessarsi delle possibilità offerte dall’entroterra e mise gli occhi su uno strano fenomeno geotermico che aveva come teatro la vicina Maremma, quello dei soffioni, o, per dirla con il termine allora consueto, quello dei lagoni boraciferi. Nel 1818 costituì insieme ad altri connazionali una società per lo sfruttamento dei lagoni e intorno al 1827 introdusse nella produzione dell’acido borico e del borace un nuovo procedimento, un’innovazione tecnica che farà la sua fortuna: quella di utilizzare il vapore bollente dei soffioni per far evaporare l’acqua ricca di acido borico di modo che questo precipitasse sotto forma di cristalli.
L’acido borico e il borace che ne deriva erano crescentemente sfruttati per diversi usi industriali, dagli smalti per le ceramiche o per le pentole in ferro alla produzione di vetri di diverso tipo e di strumenti ottici, alle concerie. L’innovazione introdotta dal Larderel diminuendo di molto i costi di produzione determinò un salto qualitativo nelle dimensioni dell’impresa e impose il prodotto toscano a mezza Europa segnando l’ascesa economica e sociale del suo inventore. La produzione che fino al 1827 era stabile oscillando sulle 150.000 libbre conobbe una straordinaria impennata che la condusse nel 1835 a sfiorare il milione e mezzo di libbre. Attraverso differenti vicissitudini il Larderel giunse, nel gennaio 1835, a controllare da solo l’impresa e ad assicurarsi più tardi, nel 1847, la piena proprietà dei lagoni, precedentemente in concessione. Accanto a essi François Larderel fa costruire a Montecerboli un villaggio operaio, cui verrà dato il nome di Larderello, per le famiglie di coloro che lavoravano agli stabilimenti dell’acido borico. Si trattò di uno dei primi esempi di questa tipologia abitativa che diverrà immediatamente un termine di riferimento; di un tipico villaggio neo-feudale retto con onnipresente paternalismo dove lapidi, monumenti, iscrizioni, tutto fa riferimento al fondatore, alla sua famiglia, ai più celebri ospiti e visitatori; un paese in cui il nome dei Larderel è inciso su ogni pietra come lo sarà a Le Creusot in Borgogna quello degli Schneider potentissimi maitres des forges e moderni signori della città. Album litografici, disegni e incisioni celebrano e diffondono in Europa le immagini delle Diverses localités formant les établissements industriel d’acide boracique fondé en Toscane par le Comte de Larderel fissando l’aspetto delle fabbriche, delle attrezzature, degli strumenti nonché del ponte sospeso in ferro, ancora un tipico prodotto della rivoluzione industriale, che il Larderel aveva fatto apprestare sul fiume Cecina.
La grande fortuna accumulata – divenne il primo capitalista della Toscana – gli aprì le porte della proprietà fondiaria: compra vari terreni, radicandosi anche come proprietario terriero in quel di Volterra, accanto al grande palazzo livornese cominciato nel 1832 le cui dimensioni aumentano di anno in anno, fa costruire un palazzo nella tenuta di Pomarance e acquista, nel 1837, una splendida villa con tenuta a Pozzolatico vicino all’Impruneta, nel 1839 una dimora rinascimentale in via Tornabuoni a Firenze, il Palazzo Giacomini progettato nel 1580 da Giovanni Antonio Dosio. Accanto a quelle della proprietà immobiliare gli si spalancarono le porte dell’aristocrazia (è fatto nobile di Volterra e, nel 1837, è, da Leopoldo II, nominato conte di Montecerboli, località che era al centro dell’area dei lagoni e quindi fulcro della sua attività imprenditoriale, diviene priore dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano) nonché quelle della politica (nel 1847 sarà sindaco della città), della committenza e del mecenatismo artistico.
Questo si esplicò soprattutto nella costruzione e nella decorazione del palazzo livornese fatto costruire e decorare tra il 1832 e il 1851 (l’inaugurazione del 1841 era stata solo una tappa) per successivi ampliamenti volta per volta affidati a differenti architetti: Riccardo Calocchieri, Gaetano Gherardi, Ferdinando Magagnini. L’immenso palazzo, residenza gentilizia ma destinata in parte ad affitto che dietro la solenne facciata classicheggiante celava, accanto a un bel giardino, la fabbrica del borace, venne costruito in un’area suburbana da poco aperta all’edificazione, prossima al Cisternone di Pasquale Poccianti. Nelle sue sale decorate da artigiani abilissimi nella lavorazione della ghisa, della scagliola, dello stucco, del legno, della pietra raccolse una grande collezione alla cui costituzione diede una particolare importanza tanto da menzionarla per prima cosa con queste parole nel suo testamento del 1846: «Con molte e gravi spese ho raccolto e vado giornalmente aumentandola una Galleria di quadri, statue, bronzi e altri oggetti di belle arti nel mio palazzo di Livorno, ove è pure da me stato fatto costruire espressamente un locale a quella destinato». La mole e gli splendori del palazzo, la ricchezza della collezione saranno un segno tangibile della sua riuscita. Dopo molte vicissitudini che l’avevano gravemente menomato e dopo la dispersione delle raccolte artistiche che vi erano state raccolte il Palazzo Larderel restaurato dalla immobiliare Saffi sotto la direzione della Soprintendenza di Pisa e acquisito al patrimonio pubblico per divenire sede della Pretura di Livorno è stato di recente inaugurato e illustrato in un volume pubblicato dall’Electa (Palazzo de Larderel a Livorno. La rappresentazione di un’ascesa sociale nella Toscana dell’Ottocento a cura di Lucia Frattarelli Fischer e di Maria Teresa Lazzarini, con i contributi, oltre che delle curatrici, di storici, architetti e storici dell’arte quali Renato Bordone, Mario Ferretti, Cristina Giannini, Raffaele Romanelli, Mirella Scardozzi) di interesse veramente singolare per la molteplicità dei punti di vista che permettono di illuminare la storia di un’ascesa sociale nei suoi vari aspetti economici e simbolici.
Non sono pochi gli aspetti che legano la storia di François Larderel e delle sue imprese a quelle evocate da Francis Klingender in Arte e Rivoluzione Industriale. Già ce lo fa pensare il romantico quadro della regione dei lagoni che Lapo de’ Ricci presenta sul «Giornale Agrario Toscano» del 1835 in una Gita agraria nella Maremma volterrana e massetana che viene rievocata da Lucia Frattarelli Fischer in un bel saggio. Anche in questi luoghi infatti la «natura lacera e squassata» in cui si solleva «per bollore l’acqua nerastra e filigginosa» e, come nelle Malebolge, si alza «fumo biancastro e fetente» è riscattata «dal “genio intraprendente di un uomo non curante delle fatiche e dei pericoli”» che «giunge a cambiare quel luogo di orrore in paese popoloso... quasi ridente, ma quel che è più in sorgente inesausta di ricchezza».
Un simile contrasto richiama quelli dell’aspro paesaggio del Derbyshire, culla della rivoluzione industriale, ingentilito dal fervore dei telai del cotonificio di sir Richard Arkwright così descritto – nella traduzione del Gherardini – da Erasmus Darwin nel Botanic Garden: «Così laddove la Derventa sotto / arcati monti e fra l’orror de’ boschi / volge i torbidi flutti, oggi la ninfa / Gossipia preme le molli erbe, ed arde / con rosati sorrisi il Dio dell’onde...», per concludere trionfalmente: «... ardono allora / i rapid’assi, volano i cannelli, e lenta sotto l’ampio magistero / volvesi intorno l’instancabil rota».
Ma è poi l’utilizzazione di tutto il repertorio dell’Olimpo classico nella casa di un capitano d’industria che induce a pensare alla celebre interrogazione di Marx nella Critica alla Economia Politica. «Che ne è di Vulcano a petto di Roberts and Co, di Giove di fronte al parafulmine, di Hermes di fronte al Crédit Mobilier... cosa diventa Fama di fronte a Printinghouse Square?». Qui, nel palazzo livornese, le Allegorie dell’industria e del commercio, con tanto di fornaci per l’estrazione dell’acido borico (anche nello stemma patrizio del resto i soffioni sono all’onore) si accostano a quelle più classiche delle Quattro età dell’uomo (affreschi del 1841 di Giuseppe Baldini nel Salotto Rosso), l’Allegoria della fama, sempre del Baldini, presiede dall’alto ai fasti del salotto alla rococò, mentre l’Olimpo in festa di Carlo Morelli decora nel 1845 la Gran Galleria e, nell’Allegoria del Progresso del Salone da Ballo, il bolognese Cecrope Barilli mescola locomotive con amorini in volo. Gli amorini abbracciati alle locomotive erano stati dipinti nel 1874 per la visita del conte Emanuele di Mirafiore, sposo di Bianca Larderel. Genitori della sposa erano il secondogenito di Francois, Enrico Larderel e Amicie Lefort d’Autry. Lontana dall’impresa paterna la coppia visse a Firenze tra palazzo e villa riunendo una bella collezione e frequentando amicizie scelte; del loro ruolo nella società franco-fiorentina e della loro vicenda assai significativa scrive con finezza Cristina Giannini in un saggio che mostra l’interesse che lo studio delle colonie ottocentesche straniere a Firenze può presentare. Gli anglo-fiorentini, i franco-fiorentini, i russi-fiorentini così come i Deutsche-Roemer presentano diversi modi di accostarsi all’Italia, ricevono, interpretano, ma anche trasmettono alle società locali qualcosa della loro cultura.
Alla terza generazione il processo di integrazione dei Larderel con l’aristocrazia si era compiuto: alla nipote di François che sposa il figlio naturale del re d’Italia si accompagna un altro nipote che impalma una Salviati, sarà poi la volta di imparentarsi con i Rucellai e con i Ginori-Conti. Ma la strategia volta all’aristocraticizzazione era iniziata assai prima, da quando François Larderel si era fatto disegnare da Ferdinando Magagnini quasi come una patente d’antica nobiltà, un «Gabinetto gotico» di cui in questi termini parla un contemporaneo: «Pensiero che ben si addice all’età presente, emancipata dalla pagana servitù e vogliosa dei tempi che furono gli avventurosi cavalieri... Tutta la leggerezza, tutto il prestigio della cosiddetta architettura gotica è quivi diligentemente rappresentata, la minuta modinatura, la moltiplicità degli ornati anziché destar confusione presenta nello sguardo un dolce variato pascolo di bello... Un poco che tu abbia di immaginazione ti sembrerà trovarti in un di quei fantastici Castelli di un qualche potente barone del Medio Evo...».
Il gabinetto gotico, indagato e contestualizzato nell’ambito del gothic revival in Italia e in Toscana da Renato Bordone, era stato realizzato da Ferdinando Magagnini, straordinario personaggio venuto dalla gavetta. Nato a Livorno nel 1801 il Magagnini aveva fatto un apprendistato di ebanista e intagliatore e, al pari dei grandi personaggi della rivoluzione industriale, aveva ideato e realizzato macchine per la sua attività, progettando – come mette in luce Mario Ferretti – un’opportuna strumentazione per pianificare la lavorazione del legno, segarlo, impiallicciarlo, sbozzarlo al pantografo. Fu lui che venne incaricato dal Larderel di dirigere e mobiliare la sua casa signorile fino ad assumere in toto la direzione e la progettazione dei lavori di costruzione del palazzo. Osteggiato dalla corporazione degli architetti per la sua figura di outsider e di autodidatta sprovvisto di diplomi accademici fu autore anche di progetti urbanistici innovatori per Livorno regolarmente archiviati e morì suicida nel 1874. Lo stretto legame tra il fortunato industriale e inventore che aveva costruito una grande fortuna e il versatile e geniale designer fattosi da sé è estremamente significativo.
Gli arredi del palazzo sono per la massima parte spariti, il gabinetto gotico è stato spogliato delle sue sculture e dei suoi dipinti, la galleria alla quale François Larderel dedicava tante sue cure – e della quale Maria Teresa Lazzarini riporta il ricco inventario suffragato da alcune antiche fotografie delle sale, dove accanto ai grandi nomi del Cinque e del Seicento appare una ricca sezione di primitivi, una raccolta di robbiane e un vasto gruppo di sculture e pitture contemporanee – non è andata alla Città di Livorno per essere aperta al pubblico sotto «l’Alta Soprintendenza e sorveglianza della autorità governativa» come colui che l’aveva raccolta aveva a tutta prima desiderato ma è stata gradualmente dispersa. Sulle pareti della Gran Galleria dove si concentrava una parte rilevante della collezione sono ancora visibili i chiodi e i ganci che lo scrupoloso restauro ha voluto mantenere al loro posto a memoria della inopportuna dispersione.
Il destino della famiglia seguì poi in poche generazioni la china predestinata ai discendenti degli imprenditori che diventano rentiers. Tuttavia, come rileva Mirella Scardozzi nel suo saggio Francesco Larderel, un imprenditore dell’Ottocento tra centro e periferia dello sviluppo, il declino non va tutto ascritto alla «legge della terza generazione». Elementi di debolezza erano insiti sia nel grave indebitamento – causato dall’acquisizione in proprio dell’area dei soffioni – che costrinse il Larderel a un contratto-capestro con acquirenti inglesi cui arrivò a vendere la propria produzione a prezzi prefissati anche con un anticipo di diecine d’anni, sia, come avvertito da Giorgio Mori, nello scarso interesse dimostrato dal francese a realizzare un’impresa verticale, una vera e propria industria chimica in cui non ci si limitasse al semplice smercio della materia prima prodotta, ma questa venisse lavorata e trasformata. Segno di questa situazione, tipicamente periferica, è che anche la semplice fabbrica del borace celata dietro la grande facciata del Palazzo Larderel a Livorno vide interrompere la sua produzione per richiesta degli inglesi.
L’impresa divenuta dopo molti anni società per azioni con il nome di «Società boracifera di Larderello» fu ceduta allo Stato italiano prima dell’ultima guerra. Poco a poco accanto ai proventi del borace vennero monetizzate anche le opere e gli arredi commissionati o raccolti dal fondatore. Annota Raffaele Romanelli: «I segni della fastosa nobilitazione ottenuta dal mercante francese di un tempo, gradualmente erosi e gettati sul mercato, hanno dunque costituito anch’essi, al pari del borace, una fonte di rendita quasi secolare... In un paese come l’Italia che vanta uno dei patrimoni d’arte più ricco del mondo, anche il materiale raccolto da una famiglia borghese nel corso dell’Ottocento per l’edificazione del suo decoro nobiliare costituisce una risorsa economica per tanti versi tipica – tipicissima anzi – del panorama artistico-commerciale toscano».

Cecrope Barilli, «Il progresso», 1872, affresco sulla volta della Sala da Ballo di Palazzo Larderel a Livorno. A destra un ritratto di François Larderel, incisione (1851) 
NOMI CITATI

- Arkwright, sir Richard
- Baldini, Giuseppe
- Barilli, Cecrope
- Bordone, Renato
- Calocchieri, Riccardo
- Darwin, Erasmus
- Dosio, Giovanni Antonio
- Electa
- Ferretti, Mario
- Frattarelli Fischer, Lucia
- Gazzetta di Firenze
- Gherardi, Gaetano
- Gherardini, Giovanni
- Giannini, Cristina
- Ginori-Conti [famiglia]
- Giornale Agrario Toscano
- Guerrieri di Mirafiori, Emanuele Alberto
- Klingender, Francis
- Lamotte [famiglia]
- Larderel, Bianca Enrichetta
- Larderel, Enrico
- Larderel, François Jacques
- Larderel, Gaston
- Lazzarini, Maria Teresa
- Lefort d’Autry, Amicie
- Leopoldo II, granduca di Toscana
- Magagnini, Ferdinando
- Marx, Karl
- Morelli, Carlo
- Mori, Giorgio
- Ordine di Santo Stefano papa e martire
- Poccianti, Pasquale
- Ricci, Lapo de’
- Romanelli, Raffaele
- Ruccellai [famiglia]
- Saffi Immobiliare [Fondiaria Saffi]
- Salviati, Isabella
- Scardozzi, Mirella
- Schneider [famiglia]
- Società boracifera di Larderello
- Soprintendenza di Pisa [Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno]
- Thorvaldsen, Bertel


LUOGHI E ISTITUTI CITATI
- Borgogna [Francia]
- Cecina
- Derbyshire [Regno Unito]
- Firenze
o Palazzo Larderel [già Giacomini]
- Larderello [Pomarance, Pisa]
- Le Creusot [Francia]
- Livorno
o Cisternone
o Palazzo Larderel
o Pretura di Livorno [Tribunale di Livorno]
- Maremma
- Montecerboli [Pomarance, Pisa]
- Pomarance [Pisa]
- Pozzolatico [Impruneta, Firenze]
- Saint-Étienne [Francia]
- Toscana
- Volterra [Pisa]

Collezione: Il Sole 24 Ore

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Soffioni di gloria,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/4.