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Titolo: Warburg: tutti gli indizi per svelare le opere d’arte

Descrizione: Recensione dell’opera: Ernst Gombrich, Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Milano, Feltrinelli, 1983 (I ed. Aby Warburg. An Intellectual Biography, Londra, The Warburg Institute, 1970); l’articolo è occasione per ripercorrere il profilo intellettuale di Warburg (1866-1929).
Una copia dell'opera è presente nel fondo librario di Castelnuovo, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: Tuttolibri, anno 10, n. 393, p. 4 (supplemento a La Stampa)

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1984-02-11

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_31

Testo: Tuttolibri – Anno 10, n. 393, p. 4
(supplemento a «La Stampa» dell’11 febbraio 1984)



Il personaggio che ha cambiato il nostro modo di vedere: esce la biografia scritta da Gombrich

Warburg: tutti gli indizi per svelare le opere d’arte



ABY Warburg è per noi un nome leggendario. Il primogenito di una dinastia di banchieri che preferì la vita dello studiolo al cammino già tracciato che lo attendeva, il cercatore lungimirante che con i suoi scritti radi, densi, ricchissimi, ha aperto nuovi continenti all’indagine, l’uomo generoso che credeva nella sua ricerca e nella sua azione tanto da proiettarsi interamente nel suo progetto e che travolto da una lunga infermità mentale seppe uscirne come Dante dall’Inferno, non finisce di affannarci.
Nacque ad Amburgo nel 1866, morì nel 1929. Una scelta dei suoi scritti, pubblicata in Germania tre anni dopo la sua morte, è apparsa in italiano (La Rinascita del Paganesimo antico, La Nuova Italia) nel 1966 a Firenze, la città che più di ogni altra era stata al centro dei suoi studi; in Francia e in Inghilterra la si aspetta ancora. Eppure il suo nome e universalmente noto a causa della biblioteca che fondò ad Amburgo e che, dopo che le persecuzioni razziali ne determinarono l’allontanamento dalla Germania, è oggi a Londra una delle meraviglie del mondo, come quella di Alessandria, ma nello stesso tempo un labirinto, una fonte di perenni interrogazioni e di possibili risposte, di enigmi e di soluzioni inattese.
La vasta ombra della sua biblioteca nasconde il suo volto, in qualche modo lo trasforma e lo tradisce, perché Aby Warburg non fu un bibliomane, ma un ricercatore e concepì e costruì la sua biblioteca come un centro dove si accumulassero e fossero disponibili gli strumenti della ricerca. La sua però non era una ricerca settoriale, finì per avere un’apertura di 180 se non di 360 gradi: storico dell’arte per formazione Aby Warburg fu, nel senso più vasto, uno studioso delle culture, della psicologia, delle tradizioni, del pensiero religioso, della magia, della filosofia. Il suo modo personale di porsi dei problemi e la sua fiducia di poterli risolvere scompigliò non poco, e dovrebbe continuare a scompigliare, le tranquille coscienze e il tran tran non troppo avventuroso degli storici dell’arte. Perché Aby Warburg non si limitò a descrivere i come, voleva conoscere anche i perché.

Lettore di Darwin
Nessuno storico dell’arte avrebbe oggi il coraggio di mettersi a spaziare su campi tanto diversi, e questo perché in un modo o nell’altro ognuno ha interiorizzato una certa idea dell’autonomia del fatto artistico. Sarà pronto a cercare nessi, parallelismi, contatti, ma in fin dei conti non penserà che per intendere un panneggio mosso, un’espressione patetica, sia opportuno risalire molto indietro, fino alle passioni e agli orientamenti emotivi di un’età primitiva e violenta. Sarà talmente convinto e, certo, a ragione, del fatto che nel passaggio tra percezione della realtà e sua raffigurazione entrano in gioco una tal quantità di elementi, dal peso delle convenzioni a quello delle mediazioni e delle tradizioni, che non gli verrà mai in mente di cercare spunti ne L’espressione delle emozioni negli animali e nell’uomo di Darwin; mentre, proprio a questo proposito, il giovane Warburg annotava nel suo diario di viaggio a Firenze (1890): «Finalmente un libro che mi aiuta».
E ugualmente sorprendente per uno storico dell’arte di oggi sarebbe il rivolgersi all’opera di uno psicologo positivista, come Mito e Scienza di Tito Vignoli di cui Warburg nei suoi anni universitari sembra aver fatto il suo «livre de chevet».
In testi come questi Warburg cercava degli spunti, dei suggerimenti, delle guide proprio mentre stava lavorando su Botticelli; accanto ad essi c’erano le ricerche sull’origine e la natura dei simboli di Th. Vischer, le lezioni sulle origini del mito greco nel pensiero primitivo di Usener. E ciò basterà per intendere da quanto lontano partissero le ricerche di Warburg sul Rinascimento italiano, area principale dei suoi interessi.
A lui interessava di sapere in che modi e perché forme, formule e immagini classiche fossero state riprese a distanza di tanti secoli e in un contesto tanto diverso; cosa potessero scorgere i committenti, gli artisti, il pubblico del ‘400 fiorentino in immagini che avevano trasmigrato da un sistema culturale ad un altro; per quali vie e per quali motivi un’antica ninfa potesse resuscitare sotto i panni di una giovane ancella che, in un affresco del Ghirlandaio, assiste alla nascita della Vergine; sotto che forme e per quali motivi gli dei della mitologia pagana potessero apparire in un’epoca e in un clima religioso affatto diversi, cosa scorgessero i fiorentini del ‘400 nei quadri, negli arazzi e nei costumi del Nord.
Per arrivare a trovar risposte a queste domande Warburg non rinunciava ad alcuna traccia, ad alcun indizio, ad alcuna testimonianza: «Il buon Dio sta nel dettaglio» fu una delle sue massime. Era uno storico della cultura nel senso indicato da Burckhardt e tentava di superare ogni steccato, ogni barriera per giungere a una ricerca totalizzante. Ed era mosso da interessi che non erano tradizionalmente eruditi. Voleva studiare sul campo come un etnologo cosa fosse il pensiero mitico dei primitivi e per questo fece un viaggio nel Nuovo Messico per osservare da vicino la cultura degli indiani Pueblo, il loro modo di pensare, di simbolizzare, di rappresentare.

I demoni e la ragione
Ci si può chiedere quanto questi problemi avessero a vedere con una ricerca sulle riemergenze classiche nel Quattrocento: sta di fatto che si cominciava a scoprire che le civiltà classiche non erano fiorite, come da tempo si celebrava, sotto il segno di Apollo e della forza tranquilla, del controllo sulle passioni. Nietzsche ne aveva, messo in luce un altro aspetto, quello del pathos dionisiaco e Warburg ne era stato profondamente colpito. Le doppie polarità, le situazioni conflittuali tra due modi di essere, tra la serenità e il pathos, l’eterno scontro tra Roma e Alessandria o più semplicemente i contrasti tra soggetti classici e fogge di abiti «alla franzese» ebbero sempre per Warburg una forte attrazione. Volle seguire gli aspetti oscuri del mondo primitivo, le credenze nei demoni, nei segni astrali attraverso le loro reincarnazioni fino all’età di Lutero per mettere in luce situazioni eternamente periclitanti, lotte per il controllo razionale, crisi, contraddizioni.
Forse non è possibile definire sommariamente il metodo di Warburg a causa della vastità stessa dei suoi interessi. Generalmente si parla di analisi warburghiana in relazione a ricerche iconografiche o iconologiche, ma questo non è che un aspetto particolare della sua ricerca. Potremmo dire che Warburg ha fondato una scienza delle immagini che si propone di seguire la persistenza e l’utilizzazione di esse attraverso trasmigrazioni, cambiamenti di significati e di funzioni, che permette di identificare e di mettere in rapporto le formule che si ripetono nel tempo, come le celebri «Pathosformeln», le «formule del patetico» che si potevano trovare nella raffigurazione di una Menade classica come in quella di una donna piangente sulla tomba di un banchiere fiorentino.
Potremmo anche dire che promuovendo questa storia delle immagini Warburg è stato un pioniere della «degerarchizzazione» del campo figurativo. E potremmo aggiungere che egli è stato certo uno dei paladini dell’interdisciplinarietà quando agli inizi del secolo, con il suo agire e con i suoi scritti, incitò a non tener conto «degli autorevoli guardiaconfini della nostra attuale storiografia dell’arte» (1907) e prese a costruire la biblioteca aperta in tante direzioni.
Per altri aspetti egli ci appare un grande protagonista della storia sociale dell’arte perché nei suoi studi i committenti hanno un gran peso, non inferiore a quello degli artisti. Ma a ben guardare storia delle immagini, degerarchizzazione del campo figurativo, interdisciplinarietà, storia sociale dell’arte sono gli elementi con cui Aby Warburg ha posto le fondamenta di uno sterminato edificio, quello di una nuova storia culturale nella quale le testimonianze visive hanno un gran peso.
Oggi un’avvincente monografia di Ernst Gombrich («Aby Warburg. Una biografia intellettuale», Feltrinelli, 322 pagine, 43.000 lire) viene a ricordarci quest’uomo di genio. È un libro bello anche se parziale. Gombrich accetta, e nei suoi studi ha mostrato di saper portare avanti con somma intelligenza e maestria, certi aspetti della ricerca di Warburg, insistendo in particolare su quelli relativi alla trasmissione delle formule, mentre diffida di certi approcci e di certi interessi tanto da rischiare di proiettare a tratti sul protagonista un aspetto tormentato, indeciso, talora velleitario che probabilmente non gli appartennero a tal grado.
Quando, nel 1971, questo libro uscì in Inghilterra subì sulle colonne del «Times Literary Supplement» una stroncatura appassionata quanto violenta da parte di Edgar Wind che vi vide una diminuzione e una incomprensione dell’opera e della portata di Warburg. A mezzo secolo dalla sua scomparsa questa grande figura ha dunque ancora l’attualissima capacità di suscitare scontri e passioni.
Enrico Castelnuovo

Aby Warburg con un indiano Pueblo

NOMI CITATI
- Alighieri, Dante
- Botticelli, Sandro
- Burckhardt, Jacob
- Darwin, Charles
- Ghirlandaio, Domenico
- Gombrich, Ernst
- Lutero, Martin
- Nietzsche, Friedrich
- Nuova Italia [La]
- Usener, Hermann
- Vignoli, Tito
- Vischer, Friedrich Theodor
- Warburg, Aby
- Wind, Edgar

LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Amburgo [Germania]
o Warburg Institute
- Firenze
- Londra [Regno Unito]
o The Warburg Institute

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Warburg: tutti gli indizi per svelare le opere d’arte,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/45.