La verità dei pittori (dettagli)
Titolo: La verità dei pittori
Descrizione:
Castelnuovo sottolinea come il contesto in cui gli artisti vivono li ispiri e influenzi i loro “schemi rappresentativi”: per illustrare questa tesi, sono portate ad esempio le illustrazioni del Paradiso perduto di John Martin (1789-1854), dove il tunnel di Londra sotto il Tamigi diventa il modello per le tenebrose caverne, e le scene bibliche del pittore olandese Frans Post (1612-1680), in cui la flora e la fauna si presenta affine a quella copiata durante la spedizione in Brasile promossa da Maurizio di Nassau. Questo caso introduce la seconda questione toccata nell’articolo, la pittura come strumento per conoscere il mondo e registrare la “realtà” nell’Olanda del XVII secolo.
Sono citati un convegno tenutosi a Rotterdam (Arte, tecnica e società, da identificare), in cui Castelnuovo era intervenuto su Martin e il rapporto tra arte e rivoluzione industriale e la monografia di Svetana Alpers, Arte del descrivere. Scienza e pittura nel Seicento olandese, di cui aveva curato la prefazione (Bollati Boringhieri, 1984; I ed. The Art of Describing. Dutch Art in the Seventeenth Century, 1983). Una copia dell’opera è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 118, n. 289, p. 3
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1984-12-07
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_40
Testo:
«La Stampa» – Anno 118, n. 289 – Venerdì 7 dicembre 1984, p. 3
Arte e scienza nel '600 olandese
La verità dei pittori
Da anni non andavo a Rotterdam. Ci sono tornato per un piccolo convegno su temi, vastissimi, «Arte, tecnica, società» organizzato in vista della creazione di un centro per lo studio delle arti visive. Qui l'università è nata da pochi anni dalla confluenza della facoltà di medicina con la Scuola di studi economici e la sua modernità si manifesta vigorosamente nelle strutture, negli edifici che la ospitano, nel suo stesso funzionamento. Malgrado tutto riemerge però l'antica immagine dell'Olanda cui siamo attaccati, quella che ci hanno consegnato i suoi pittori.
Dall'alto del grattacielo che ospitava il convegno la vista domina sulla città rinata dopo la guerra, sul recentissimo quartiere con le case ad albero dalle pareti a quarantacinque gradi, sulle sedi delle grandi multinazionali Shell e Unilever, sul più gran porto del mondo; eppure nella bruma gli edifici moderni si confondono e il vero dominatore è il fiume: si abbraccia a volo d' uccello uno di quei vastissimi paesaggi fluviali che i pittori olandesi sapevano spalancare nei loro quadri.
Uno dei punti di forza e dei caratteri distintivi orgogliosamente e programmaticamente rivendicato dall'Erasmus Universiteit è l'interdisciplinarietà, così al convegno erano seduti accanto storici e sociologi, designers, musicisti e cibernetici, storici dell'arte ed economisti. Si parlava della cultura popolare nella civiltà industriale, o di Peter Behrens e dell'AEG, vale a dire di come una grande industria avesse precocemente saputo marcare la propria immagine affidando la forma dei propri edifici e dei propri prodotti a un geniale architetto e designer mentre workshop e interventi singoli illustravano gli usi dei computergraphics nella produzione visiva o i nuovi orizzonti che l'onnipresente computer aveva aperto alla musica.
Dovevo parlare dei rapporti tra arte e rivoluzione industriale. Mi venne fatto così di accennare all'uso di nuovi schemi rappresentativi da parte di alcuni artisti ottocenteschi e di come, per esempio, il pittore visionario John Martin – la cui sala è una delle meraviglie della Tate Gallery – vissuto in pieno mutamento tecnologico e sociale, si fosse servito di formule ispirate dalle rappresentazioni del nuovo tunnel sotto il Tamigi per evocare le oscure spelonche e le caverne del «Paradise Lost» di Milton.
Era una prova di come il mutamento da ambiente naturale ad «ambiente tecnico» avesse avuto particolari conseguenze nel campo figurativo: un passo di un vecchio e celebre poema veniva illustrato con schemi nuovi, nati per tutt'altra occasione.
Poche centinaia di metri separavano il convegno dalle stupende collezioni di pittura del Museo Boymans. Qui mi sono trovato davanti a un dipinto che non ricordavo di avere mai visto. Un grande quadro con due personaggi che si affannavano attorno a un'ara da cui saliva una colonna di fumo. Niente di particolare nel soggetto, un episodio – l'offerta di Manoah – descritto nel Libro dei Re, un tema biblico bene accetto alla cultura protestante del Seicento.
Ma ciò che era straordinario era l'ambiente dove il fatto si svolgeva. Un armadillo si trascinava pigramente in primo piano, mentre dietro di lui si intrecciavano piante carnose a larghissime foglie, cactus, palme, grandi fiori, frutti esotici e scintillanti. La scena alto testamentaria era ambientata in un paesaggio alla Douanier Rousseau, descritto con un'attenzione e una minuzia che ne mettevano in evidenza gli aspetti più esclusivi e singolari.
II quadro era stato dipinto nel 1646 da Frans Post, un pittore di Leida tornato pochi anni prima dal Brasile dove aveva accompagnato il principe Maurizio di Nassau, che si era cimentato in un tentativo di colonizzazione di breve durata. In fondo era un caso analogo a quello di John Martin: come questi aveva introdotto nella rappresentazione del Palazzo del Pandemonio del «Paradise Lost», effetti nati dall' osservazione dei tunnel e delle nuove forme di illuminazione, così Post aveva profuso a piene mani nella scena biblica il repertorio zoologico e botanico che aveva imparato a conoscere e a rappresentare in terre lontane.
Questi adattamenti, per giunta, prendevano un senso preciso: John Martin, testimone critico e pessimista dei rivolgimenti causati dalla rivoluzione industriale, inseriva tratti del nuovo paesaggio artificiale in una rappresentazione dell'inferno; Frans Post, che aveva vissuto fiduciosamente gli anni della rivoluzione scientifica e dell'espansione commerciale olandese, attribuiva alla Terra Promessa le caratteristiche del nuovo mondo e lo caratterizzava come Terra Promessa.
Un libro affascinante di Svetana Alpers, Arte del descrivere. Scienza e pittura nel Seicento olandese, pubblicato in questi giorni da Boringhieri, insiste sulla funzione di conoscenza del mondo e della realtà attribuita alla pittura nell'Olanda del XVII secolo e cita tra molti altri l'esempio della spedizione di Maurizio di Nassau, che fu accompagnato da un gruppo di scienziati e di artisti incaricati di fornire un corpus di testimonianze visive sulla nuova terra, i suoi abitanti, la sua fauna, la sua flora, sugli insediamenti, le fattorie, le manifatture.
La funzione conoscitiva della pittura trova una conferma e una consacrazione nella mappa del Brasile dovuta ai pittori del principe. È significativo però il fatto che una volta tornato in patria, Frans Post abbia continuato a dipingere (fino a farne una specialità) vedute brasiliane che ormai non avevano più il fine conoscitivo di quelle create sul luogo, ma che erano evidentemente ricercate, a causa del loro sapore esotico, come rare curiosità.
Poco distante dalla tela di Post, in un'altra sala del Boymans si trova un'eccezionale testimonianza di quella che potremmo chiamare la funzione di sorpresa e gratificazione attribuita alla pittura in un piccolo, meraviglioso quadretto legato al museo da quel finissimo conoscitore che fu Vitale Bloch.
Siglata da Dirk van Delen nel 1637 – l'anno in cui Maurizio di Nassau sbarcava in Brasile con i suoi pittori per conto della Compagnia delle Indie Occidentali – la tavoletta riunisce gli oggetti più preziosi che un'altra Compagnia – quella delle Indie Orientali questa volta – importava in Occidente.
Accanto a diversi e bellissimi esemplari di conchiglie dei mari australi sta uno splendido vasetto di porcellana, proprio di quelli che in Cina in quel tempo venivano prodotti per l'esportazione che contiene un unico tulipano, un superbo esemplare di una delle specie più rare e costose che siano siate coltivate ai tempi della «tulipomania» seicentesca. Il tutto adunato con estrema semplicità e presentato con precisione lenticolare.
Rappresentare per conoscere, ma anche selezionare e trasformare per sorprendere sono funzioni non necessariamente contraddittorie. Le indagini su intenzioni, funzioni e fruizioni della pittura potranno portare qualche luce sui nessi tra arte, tecnica e società. Malgrado rotture e lacerazioni il passato non è tanto lontano dal futuro. Almeno in Olanda.
Enrico Castelnuovo
Dirck van Delen: «Natura morta» (1637, Rotterdam)
NOMI CITATI
- AEG Turbinenfabrik
- Alpers, Svetlana
- Behrens, Peter
- Bloch, Vitale
- Bollati Boringhieri
- Compagnia britannica delle Indie orientali
- Compagnia olandese delle Indie occidentali
- Delen, Dirck van
- Giovanni Maurizio, principe di Nassau-Siegen
- Martin, John
- Milton, John
- Post, Frans
- Rousseau, Henri
- Shell plc
- Unilever
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Londra [Regno Unito]
o Tate Gallery
o Thames Tunnel
- Rotterdam [Paesi Bassi]
o Erasmus Universiteit Rotterdam
o Museum Boijmans Van Beuningen
- Tamigi [Regno Unito]
Collezione: La Stampa
Etichette: _Convegno, _RECENSIONE (pubblicazione), Arte olandese, Arte XIX-XX secolo
Citazione: Enrico Castelnuovo, “La verità dei pittori,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/54.