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Titolo: La pecora di Giotto

Descrizione: Recensione dell’opera: Luciano Bellosi, La pecora di Giotto, Torino, Einaudi, 1985. Dedicato alla formazione di Giotto e alla sua opera nella Basilica di San Francesco di Assisi, Castelnuovo apprezza particolarmente questo studio per i risultati inediti e l’approccio innovativo. In particolare, rimarca l’attenzione di Bellosi per la moda e il costume rappresentati nelle scene – la foggia degli abiti e il taglio della barba di San Francesco – indagati per meglio datare gli affreschi. In chiusura il richiamo va al Giudizio sul Duecento di Roberto Longhi, per evidenziare come ancora allora pesassero pesanti preconcetti sulla lettura dell’arte del XIII secolo («Proporzioni», II, 1948, pp. 5-54, riedito in Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, vol. VII Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell’Italia centrale, 1939-1970, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 1-53).
Una copia dell’opera è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf”.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: La Stampa – Anno 119, n. 236, p. 3

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1985-10-25

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_46

Testo: «La Stampa» – Anno 119, n. 236 – Venerdì 25 ottobre 1985, p. 3


Nel ‘200 fiorì una nuova pittura

La pecora di Giotto


C’era una volta a Firenze un gran pittore chiamato Cimabue. Un giorno incontrò durante un viaggio un pastorello che su una lastra stava disegnando una pecora talmente bella e naturale da entusiasmare il celebre artista e da fargli chiedere al giovane di seguirlo e di diventare suo discepolo. Il nome dello sconosciuto pastore era Giotto.
Un secolo e mezzo doveva essere trascorso dalla data di quell’incontro quando Lorenzo Ghiberti lo raccontò, ma già Dante, in un celebre passo, aveva legato il nome di Giotto a quello di Cimabue. Malgrado le tante e antiche insistenze su questo nesso gli storici dell’arte hanno tendenza a considerare poco attendibile l’alunnato di Giotto presso Cimabue. Un libro affascinante di Luciano Bellosi (La pecora di Giotto, ed. Einaudi) viene a riproporre questa e molte altre questioni.
Bellosi ci ha abituato a clamorosi colpi di scena, anni fa propose di identificare l’autore del Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa con Buffalmacco, spostando radicalmente all’indietro la cronologia del ciclo e dando corpo e opere al nome del pittore burlone che spunta da tante pagine del Boccaccio e del Sacchetti. Il nodo che affronta ora è quello di Giotto, della sua formazione, della sua attività in quel cantiere straordinario che fu la basilica superiore di San Francesco ad Assisi, dei tempi in cui essa ebbe luogo, delle novità che apportò, delle sue conseguenze. Per far questo ha esplorato un terreno minato, un luogo di scontri e di battaglie.
La posta è capitale: sotto le volte della basilica superiore di Assisi è sorta una diversa concezione della pittura murale che si definirà nel suo nuovo modo di fingere lo spazio e che nel corso del Trecento finirà per dominare l’Europa. Per il controllo di questo luogo strategico si affrontarono, anche con violenza, il partito fiorentino e il partito romano. Il primo rivendicando al tandem Cimabue-Giotto l’esclusiva responsabilità dell’innovazione, il secondo propenso ad attribuire al romano Pietro Cavallini e all’eccezionale clima artistico che negli ultimi decenni del Duecento rinverdì, come un’estate di San Martino, le glorie della città papale, un ruolo determinante nella riscoperta e nel nuovo modo di rappresentare lo spazio in profondità.

Come si svolsero, dunque, gli eventi sotto le volte della basilica superiore? Come e per merito di chi si manifestò un nuovo modo di rappresentare? Si erano trovati qui a lavorare, ma in tempi che non è facile distinguere con precisione, diversi pittori di varia origine e provenienza. Prima di tutti un maestro transalpino aiutato da un artista romano, cui fecero seguito Cimabue, che lavorò nel coro e nei due bracci del transetto; quindi il romano Jacopo Torriti – con cui collaborarono alcuni maestri legati a Cimabue – che diede inizio, sulle pareti della navata, al ciclo di storie affrontate dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Un mutamento capitale sopravvenne, quando questo ciclo era già molto avanzato, con l’ingresso nel cantiere di un geniale pittore che trasformò il modo di dipingere sia da un punto di vista tecnico (adottando la tecnica del buon fresco in luogo del precedente fresco-secco) sia da un punto di vista formale. In questo artista, che dipinse tra l’altro sulla parete Nord le storie di Isacco, molti pensano di riconoscere il giovane Giotto. Quindi per ultime, dopo che i grandi temi antichi e venerati avevano trovato spazio, le storie di San Francesco vennero dipinte nella zona inferiore delle pareti della navata.
Luciano Bellosi disperde le tenebre che si addensavano su tanti punti di questa intricata situazione. E lo fa con argomenti diversi che subito incuriosiscono. Che partita si è giocata – per esempio – intorno alla barba di San Francesco? Per quale ragione le immagini ce lo mostrano prima barbuto poi sbarbato? Che significato politico e/o religioso ha avuto questo mutamento (un po’ come si fosse preso a rappresentare il Che Guevara senza barba per recuperarlo a una prospettiva riformistica), e cosa comporta per la datazione delle immagini?
Accanto a questa vengono seguite molte altre piste che aiutano a stabilire una cronologia: le fogge degli abiti e delle acconciature sono analizzate con quelle finezze di lettura in cui Bellosi è maestro. Ma l’autore non si ferma agli argomenti esterni allo stile, accumula anzi, a controllo, i nessi stilistici e produce una serie di confronti con dipinti precocemente datati che portano con evidenza il marchio di Assisi e che, di conseguenza, costituiscono altrettanti appoggi a una più antica datazione degli affreschi assisiati.
Uno spostamento cronologico anche leggero (la nuova data avanzata per le storie di San Francesco è l’inizio dell’ultimo decennio del Duecento) è un fatto clamoroso per tempi in cui ogni anno conta. È questa la proposta di Bellosi che ipotizza d’altra parte una presenza di Giotto assai precoce e precocemente avvertita (a partire dal 1286-7) nell’ambito toscano e un suo strettissimo contatto con Cimabue e con Duccio, già da allora non privo di conseguenze per questi ultimi nonché una datazione in tempi assai, ravvicinati di tutta la decorazione pittorica della basilica superiore, che sarebbe stata condotta avanti al tempo del pontificato di Niccolò IV, primo papa francescano, tra 1288 e 1292. Sarebbe in questi anni, caratterizzati da un pluralismo stilistico straordinario, che avrebbe preso forma il nuovo paradigma destinato a imporsi, che si sarebbe manifestata la nuova pittura.
Ma non è tutto. Bellosi infatti attribuisce un ruolo scatenante al primo maestro attivo nella basilica, il pittore transalpino. Sarebbe stata la sua concezione della pittura, intesa come strettamente legata all’architettura e capace di prolungarne gli effetti con altri mezzi, a spingerlo a inventare quell’illusionismo strutturale (evidente nel gioco continuo tra elementi pseudo-architettonici e personaggi) che impronta di sé l’intera decorazione della basilica superiore, fino a divenirne il motivo- chiave. La sua opera avrebbe provocato, prima da parte di Cimabue, quindi – e più particolarmente – di Giotto, una risposta condotta con strumenti e formule che non appartenevano al mondo gotico, bensì a una tradizione più antica di questo, recuperata e dotata di una nuova vitalità. Da questa provocazione e dalle risposte che suscitò sarebbe nato il nuovo rivoluzionario trattamento dello spazio in pittura.

Fra i tanti problemi affrontati dal Bellosi, questo, del ruolo della provocazione gotica nell’esplodere della nuova pittura, è uno dei più suggestivi, ma anche dei più enigmatici. È possibile che le opere assisiati del maestro transalpino abbiano avuto un ruolo di detonatore nell’infrangere le barriere di una tradizione, ma occorrerà tener conto del fatto che esempi analoghi andavano da tempo moltiplicandosi in Italia. Recenti scoperte hanno mostrato che nei primi decenni del Duecento – quando il pittore transalpino non aveva ancora iniziato la sua attività ad Assisi – l’interno della cattedrale di Modena era stato completamente decorato con una pittura illusionistica, pseudo-architettonica che continuava, fingeva, modificava, le forme dell’architettura.
Ci sarebbe anche da chiedersi se, e fino a che punto, tradizione bizantina e nuove proposte gotiche siano apparse ai contemporanei distinte e inconciliabili, come appaiono a noi dopo che, nel suo Giudizio sul Duecento, Roberto Longhi ha mostrato la pittura del Duecento irreparabilmente divisa tra Occidente e Oriente come tra due entità antitetiche, con tutte le capacità inventive e innovatrici da una parte e tutta la frusta vischiosità di una tradizione spenta dall’altra. Questa partizione, folgorante quanto parziale e personalissima, finisce forse per condizionare ancora il nostro modo di leggere i fatti di un gran secolo la cui ricchezza e la cui complessità si manifestano con evidenza sempre maggiore.
Enrico Castelnuovo

«Inganno di Giacobbe» (partic.) nella Basilica di Assisi 
NOMI CITATI

- Alighieri, Dante
- Bellosi, Luciano
- Boccaccio, Giovanni
- Buffalmacco, Buonamico
- Cavallini, Pietro
- Cimabue
- Duccio di Buoninsegna
- Einaudi
- Francesco d’Assisi, san
- Ghiberti, Lorenzo
- Giotto
- Guevara, Ernesto
- Longhi, Roberto
- Maestro Oltremontano
- Niccolò IV, papa [Girolamo Masci]
- Sacchetti, Franco
- Torriti, Jacopo


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Assisi [Perugia]
o Basilica superiore di San Francesco
- Firenze
- Modena
o Cattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo e San Geminiano
- Pisa
o Camposanto

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “La pecora di Giotto,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/60.