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Titolo: Nell'Italia dei restauri una Venere non fa primavera

Descrizione: Richiamando il recente restauro della Venere di Botticelli, presentato dalla Galleria degli Uffizi il 2 marzo 1987, Castelnuovo offre il suo pensiero sulla tutela dei beni culturali. Sin dal titolo, l’articolo si dimostra critico verso gli interventi non dettati da ragioni strettamente conservative sui grandi capolavori, che attraggono gli sponsor e l’attenzione del pubblico; all’opposto il focus viene spostato sulla salvaguardia di quella parte del patrimonio più ammalorata e dimenticata, che necessiterebbe di interventi urgenti, come il caso del Camposanto di Pisa. Il restauro è illustrato non solo come un’operazione di risanamento, ma come un momento conoscitivo che, tramite l’osservazione diretta, le analisi scientifiche e l’indagine storica, permette di meglio comprendere l’opera e, in ultimo, il suo contesto originale.

Autore: Enrico Castelnuovo

Autore di contributo subordinato: Redazione del quotidiano

Fonte: Tuttolibri, anno 13, n. 542, p. 3 (supplemento a La Stampa)

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1987-02-28

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_51

Testo: Tuttolibri – Anno 13, n. 542, p. 3
(supplemento a «La Stampa» del 28 febbraio 1987)



Le polemiche per il recupero del nostro patrimonio artistico mentre da lunedì torna agli Uffizi il capolavoro di Botticelli

Nell’Italia dei restauri una Venere non fa primavera



C’è attesa per il ritorno della Venere di Botticelli agli Uffizi di Firenze: lunedì prossimo alle 11 sarà presentato a critici e autorità (e da martedì esposto al pubblico, nella sala della Niobe) il restauro dell’opera, curato da Alfio Del Serra e sponsorizzato dalla Fondiaria assicurazioni. Insieme alla «Nascita di Venere» si potrà rivedere «messa a nuovo», la pala dell’«Annunciazione».
Si allunga così la serie dei grandi restauri che, a partire dalla Sistina di Michelangelo, hanno aperto tra i critici un dibattito su priorità, tecniche e fini delle iniziative, pubbliche e private, per la salvaguardia del nostro patrimonio artistico: sulle polemiche in corso abbiamo chiesto un intervento a Enrico Castelnuovo.

Ogni giorno si legge di un restauro, che sia il Cenacolo o la Cappella Brancacci, la nascita di Venere di Botticelli o la volta della Cappella Sistina, la statua equestre di Marco Aurelio o i cavalli di San Marco o le colonne di Traiano o di Marco Aurelio. Si direbbe che molti dei nostri punti di riferimento visivi, che gran parte del nostro museo immaginario sia in corso di restauro, o appena restaurato, o in procinto di esserlo. Lo stesso attonito stupore che un tempo accompagnava le grandi scoperte archeologiche si riversa oggi sugli spettacolosi risultati del restauro di alcune opere celebri.
Come negli scavi si ha l’impressione di recuperare frammenti del passato che il tempo e gli uomini avevano nascosto non sotto terra ma sotto pesanti ossidazioni, strati di grossolani beveroni, di nerofumo, di sudiciume e di colle, di opache patine. I marmi tornano a brillare bianchi come la neve, le larghe superfici dell’affresco recuperano la loro chiara lucentezza, vernici ingiallite e veli di colla sono tolti come fossero vetri incrostati di sporco e il quadro torna a splendere mentre il pubblico applaude ammirato il miracoloso recupero della giovinezza.
E tuttavia le cose non sono così semplici e ce ne accorgiamo dalle grida d’allarme e dai sussurri, dalle polemiche, dalle preoccupazioni espresse che talora vengono scartate con fastidio perché turbano la felicità del recupero, appannano il nitore dei risultati, sabotano la miracolosa macchina del tempo. Può darsi che non sempre preoccupazioni, lamenti, avvertimenti e querimonie siano nel giusto e tuttavia converrà dar loro molta attenzione perché ogni restauro comporta certe opzioni, certe scelte, certe priorità, certe selezioni e a fronte di quanto si guadagna qualcosa si perde ogni volta.
Immagino che su un punto ci troveremo tutti d’accordo, sulla opportunità cioè di dare la precedenza ai restauri conservativi. Quando l’esistenza delle opere sia minacciata occorre intervenire d’urgenza, di fronte al marmo che si trasforma in gesso, all’arenaria che si sfalda, all’affresco che si sbriciola, al colore che si solleva dal supporto l’intervento è indispensabile, a meno di non accettare l’opzione di Ruskin che chiedeva che i monumenti potessero morire tranquillamente, come gli uomini. Tuttavia abbiamo troppa cattiva coscienza per comportarci in questo modo, perché sappiamo benissimo di essere responsabili dei gas di scarico, dei venti e delle piogge acide che distruggono prematuramente le opere. Potremmo a questo punto concludere che la priorità assoluta va ai restauri di salvataggio e di conservazione e che quelli di restituzione possono tranquillamente aspettare. Spesso però i due problemi sono strettamente legati e la rimozione di antichi interventi, colle, stucchi, ridipinture e via dicendo può essere necessaria e urgente proprio per la conservazione. Nessun criterio allora può essere assoluto, nessuna certezza può rimanere tranquillamente tale. Allora di fronte a questa situazione poniamoci qualche domanda. E la prima riguarderà necessariamente le priorità.
Uno dei più celebri monumenti italiani, il Camposanto di Pisa, ammirato da sempre e che nell’Ottocento venne addirittura considerato il gioiello e il culmine del medioevo italiano versa in condizioni assai gravi. Il marmo di alcuni antichi sarcofagi sta tramutandosi in gesso, molti degli affreschi staccati dopo la tragedia della guerra sono di nuovo ricoverati d’urgenza per interventi di consolidamento, altri – gran parte di quelli di Benozzo Gozzoli per esempio sono difficilmente visibili perché provvisoriamente accatastati nelle tribune del Battistero e anch’essi necessitano di urgenti interventi; le tombe terragne sono ancora bruttate dalle colate di piombo che nel 1944 scesero dal tetto in fiamme.
Così uno dei massimi monumenti dell’arte italiana va quietamente affondando. Non sarà male che tra volta Sistina e cappella Brancacci non ci si dimentichi di questa emergenza. E speriamo che si trovi uno sponsor disposto a integrare sostanzialmente i contributi della Regione e quelli che sarebbe giusto attendersi dallo Stato, perché se mai ve ne è uno sarebbe proprio questo il caso di un intervento d’urgenza con precedenza assoluta. È di un intervento globale che si estendesse dalle strutture architettoniche ai dipinti, alle sculture e che risolvesse una volta per tutte gli angoscianti problemi della climatizzazione e della protezione dell’ambiente.
Siamo e saremo portati a decretare il successo di quanto meglio risponde alle nostre attese, e queste possono essere molto diverse. Non si vuole negare con questo che molte analisi scientifiche non possano essere messe in opera, e che queste non costituiscano, per certi aspetti, uno strumento di controllo attendibile, né che altri controlli non siano possibili (la scoperta, per esempio, di singole parti di un affresco che essendo state ricoperte si sono meglio conservate può essere un esempio). Tuttavia per molti problemi non esiste soltanto un’opzione, una soluzione, ne possono esistere diverse. E molto resta, e per forza resterà, soggetto a interpretazioni, a criteri e a decisioni personali, sia pure attendibili.
Non è facile – né fino in fondo possibile – guardare un’opera con gli occhi con cui la videro i contemporanei. Per avvicinarsi a questa meta dovremo integrare le molte osservazioni pratiche, le molte analisi scientifiche ad una attentissima lettura dei testi del tempo che possono fornire molte straordinarie testimonianze sia sul piano delle tecniche che su quello dell’apprezzamento estetico, dei modi di percezione. Non infastidiamoci intanto se qualcuno chiede di prendere tempo, di affrontare e discutere le critiche, di considerare certi elementi, magari di rallentare i lavori. In molti casi, l’ottimo restauro sarà quello condotto con maggiore prudenza, quello in cui deliberatamente l’operatore potrà anche scegliere di rimanere un po’ indietro, a costo di risultati meno spettacolari.
Ci si domanda tuttavia quanto sia utile e opportuno porre tanti distinguo quando in mezzo a tutte le discussioni sulla estrema complessità delle decisioni da prendere e sulla insostenibile delicatezza e unicità dell’opera d’arte, la troupe di Portobello incoraggiata dal sindaco di Milano e con la benedizione del ministro dei Beni Culturali irrompe nello spazio rigorosamente off limits attorno al Cenacolo infrangendo la temporanea clausura che attorno all’affresco era stata stabilita proprio per poter ottenere, senza rischi di fiati umani e di bruschi cambiamenti di temperatura, dati affidabili e non inquinati della situazione. A quanto leggo questo fatto ritarderà di qualche tempo la delicata e urgente operazione. Cosas de Italia.
Enrico Castelnuovo

Botticelli: «La nascita di Venere», part. 
NOMI CITATI

- Benozzo di Lese [Benozzo Gozzoli]
- Botticelli, Sandro
- Del Serra, Alfio
- Fondiaria Assicurazioni [La]
- Gullotti, Antonio
- Michelangelo
- Pillitteri, Paolo
- Portobello [trasmissione televisiva]
- Ruskin, John


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Città del Vaticano
o Cappella Sistina
- Firenze
o Chiesa di Santa Maria del Carmine
▪ Cappella Brancacci
o Galleria degli Uffizi [Gallerie degli Uffizi]
- Milano
o Cenacolo Vinciano
- Pisa
o Battistero di San Giovanni
o Camposanto
- Roma
o Campidoglio
o Colonna di Marco Aurelio
o Colonna di Traiano
- Venezia
o Basilica di San Marco

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “Nell'Italia dei restauri una Venere non fa primavera,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/65.