I due volti del Settecento (dettagli)
Titolo: I due volti del Settecento
Descrizione: Recensione delle mostre:
- Jean-Etienne Liotard, Genf 1702-1789. Sammlung des Musée d'art et d'histoire, Genf (Zurigo, Kunsthaus: 16 giugno-24 settembre 1978, a c. di Renée Loche);
- Johann Heinrich Füssli. 1741-1825 (Ginevra, Musée Rath: 17 giugno-1° ottobre 1978, a c. di Dagmar Hníková).
Una copia di entrambi i cataloghi è presente nel suo fondo librario, conservato dalla Biblioteca storica d’Ateneo “Arturo Graf” (Liotard - Füssli ).
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 112, n. 208, p. 13
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1978-09-08
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_7
Testo:
«La Stampa» – Anno 112, n. 208 – Venerdì 8 settembre 1978, p. 13
(pagina l’arte)
I due volti del Settecento
I musei di Ginevra e di Zurigo hanno fatto uno scambio estivo: l’uno ha mandato i suoi Liotard sulle rive della Limmat (al Kunsthaus fino al 24 settembre), l’altro i suoi Füssli su quelle del Lemano (al Museo Rath fino al 1° ottobre). Delle opere di questi artisti i due musei hanno raccolto delle collezioni eccezionali, uniche, tanto che la loro integrale esposizione assume una portata e un significalo ben più vasti di quello di un amichevole scambio intercantonale organizzato durante la stagione turistica.
La vicenda e la fortuna dei due pittori svizzeri hanno caratteri dissimili, anzi contrastanti. Quello di Johann Heinrich Füssli — o, per gli inglesi tra cui trascorse gran parte della vita, Fuseli — è un nome largamente conosciuto e numerose mostre gli sono state dedicate negli ultimi anni, da Zurigo (1968) ad Amburgo (1974), da Parigi (1975) a Milano (1978). Gli studi che gli ha consacrato Frederick Antal, pubblicati in Italia da Einaudi, hanno chiarito la sua singolare posizione di «classicista romantico» nell’Europa tra Sette e Ottocento e i caratteri sociali e culturali del suo ristretto pubblico e dell’intellettuale gruppo di committenti cui era legato. Il monumentale catalogo ragionato della sua opera, redatto da Gert Schiff (1973) ha definito il suo «corpus» e, ancora recentemente, il ruolo della sua pittura, colta, feticista, visionaria, nella nascita dell’arte moderna è stato evocato da Giuliano Briganti nel suo bel libro sui Pittori dell’Immaginario (cfr.: «Il fantastico alle origini dell’arte moderna» ne La Stampa, 20-1-1978).
Diverso il caso di Jean-Etienne Liotard, un ginevrino, viaggiatore come i nostri «vedutisti», da Roma a Costantinopoli, da Jassy a Vienna, da Parigi a Londra ad Amsterdam, celebrato dall’Algarotti che acquista per la Galleria di Dresda la «Belle Chocolatière» definendola «un Holbein in pastello», ritrattista della famiglia di Maria Teresa e di borghesi ginevrini o olandesi, di «effendi» turchi e di «gospodari» moldavi, indagatore fanatico del naturale. Fu questi un grande artista europeo, ammirato da Ingres, tale da porsi accanto a Chardin, ma la sua fama è scarsa fuor di Ginevra e particolarmente in Italia ove pur ne esistono, al castello di Stupinigi e alla Galleria degli Autoritratti agli Uffizi, opere bellissime.
In quest’anno 1978, bicentenario di tanti grandi ingegni del Settecento, da Voltaire a Rousseau, da Linneo a Piranesi, ci vengono così proposti due aspetti della pittura nel Secolo dei Lumi. Due aspetti diversi, opposti anche, ma con qualche riferimento in comune, uno principalmente: Jean-Jacques Rousseau.
Il 2 settembre 1765 Liotard, che ha passato la sessantina, scrive al filosofo ginevrino: «Signore, massimo dei miei piaceri è il cercare di pensare in modo semplice e naturale, senza pregiudizi. Solo la facoltà di comunicare attraverso il linguaggio i nostri pensieri ci rende superiori agli animali, è questa la fonte di tutte le nostre conoscenze, buone o cattive. Per tutto il resto io cerco di pensare come gli animali che non hanno pregiudizi, né cattive abitudini, né credo a quanto si dice senza sottoporlo a un esame. lo vorrei farvi conoscere delle singolari idee sulla pittura, vorrei mostrarvi opere di una pittura di tipo nuovo...».
Un anno dopo, nel 1766, Füssli, venticinquenne, incontra Rousseau a Parigi e scrive al suo mentore zurighese, il letterato Bodmer, «di esser stato per qualche ora felice quanto si può esserlo». L’ammirazione per Rousseau lo porterà poi a pubblicare, nel 1767, i «Remarks on the Writings and Conduct of J.J. Rousseau», una difesa di Jean-Jacques contro Voltaire, e fino agli ultimi anni, nelle sue conferenze londinesi del 1821-‘23, egli continuerà ad affermare e precisare le proprie idee rousseauiane. C’è da chiedersi cosa potesse avvicinare due artisti tanto diversi per generazione, origini, cultura, inclinazioni: intransigente sostenitore della fedeltà al vero l’uno, visionario e irrealista l’altro.
Fu di certo una comune insoddisfazione per un certo modo di intendere la pittura, un rifiuto di una concezione «ancien régime» che, per usare le parole di Füssli, riduce la pittura «al rango di semplice strumento del piacere sensuale, oggetto di lusso, bellezza insignificante, splendida colpa». Per i due artisti la tesi da combattere era quella di una pittura figlia e schiava della moda e, in quanto tale, creatura del lusso. Nel suo «Trattato sui principi e le regole della pittura» (1781) Liotard avversa proprio questa concezione: «Purtroppo – scrive nella prefazione — ci sono delle mode che si introducono nelle arti... e un’arte così bella, così nobile, cosi amica come la nostra, non dovrebbe essere soggetta ai versatili capricci della moda; oso sperare che, se i miei principi saranno seguili in tutto e per tutto, questa rivoluzione non abbia luogo». E Füssli quarant’anni dopo: «La pittura e la poesia non sono necessarie alla società, né soddisfano i bisogni vitali degli uomini. Frutti dell’immaginazione, dell’ozio o di una nobile contemplazione, strumenti della religione o dei governi, ornamenti della società e troppo spesso incantesimo dei sensi e oggetti di lusso, la loro eccellenza varia secondo la loro novità, la loro qualità, la loro eleganza... Un buon meccanico, un operaio esperto sono più importatili, più utili per la società e miglior sostegno dello stato che un artista o un poeta mediocri».
Da una parte nel vecchio Liotard, nato nel 1702 e figlio di un artigiano ginevrino, si precisa una idea della pittura come di un’onesta ed esigente manifattura che domanda di essere trattata con puntiglioso impegno, sempre confrontata al suo oggetto, su di esso instancabilmente controllata: si avverte la pretesa di giungere ad una rappresentazione definitivamente oggettiva che vanifichi le oscillazioni della moda e della storia. Dall’altra in Füssli, nato nel 1741 e quindi appartenente a una più giovane generazione, cresciuto in un ambiente di artisti e di letterati, nell’atmosfera dello Sturm und Drang zurighese, dandy e raffinato conoscitore di lingue classiche, ammiratore dell’antica poesia italiana, inglese, tedesca, fanatico dell’arte italiana, la grande pittura, l’unica che conti, è considerata un’impresa del genio e si fa strada una predilezione per gli effetti insoliti, grandiosi terrificanti.
Ragione e immaginazione, attenzione e sentimento sono gli opposti volti di un tempo che, come la statua bifronte di Giano, apre la nostra epoca, volti che si intrecciano e si rispondono nelle due mostre svizzere. Volti emblematicamente rappresentati in due opere del metodico artigiano ginevrino e dell’irrequieto intellettuale zurighese. Nell’una, esposta all’Accademia di San Luca a Roma nel 1752, Liotard si rappresenta con la barba «alla turca» fino alla cintura mentre fissa attento il suo sguardo verso lo spettatore e regge il pennello con mano sicura, nell’altra, un disegno acquarellato fatto a Roma da Füssli una trentina d’anni dopo, l’artista si nasconde il volto, accascialo sotto i resti giganteschi di un colosso di Costantino, schiacciato dalla grandezza degli antichi.
Per Liotard la natura è al di là della storia e può rimanere eternamente immutabile. Per Füssli la storia, l’Italia, sono tutto. Ma il peso della storia incrina la fiducia nella natura, la ragione vacilla di fronte alla scala superumana dei resti del passato. Così nel «Castello di Otranto» di Horace Walpole, il settecentesco prototipo del romanzo nero, un gigantesco cimiero caduto dal cielo uccide il giovane principe che si appresta alle nozze.
H. Füssli (Zurigo 1741-Londra 1825), «L’artista commosso dalla grandezza delle rovine antiche» (Zurigo, Kunsthaus).
NOMI CITATI
- Algarotti, Francesco
- Antal, Frederick
- Bodmer, Johann Jakob
- Briganti, Giuliano
- Chardin, Jean-Baptiste-Siméon
- Einaudi
- Füssli, Johann Heinrich
- Holbein
- Ingres, Jean-Auguste-Dominique
- Linneo, Carlo [Carl Nilsson Linnaeus]
- Liotard, Jean-Etienne
- Maria Teresa d’Asburgo, arciduchessa d’Austria
- Piranesi, Giovanni Battista
- Rousseau, Jean-Jacques
- Schiff, Gert
- Stampa [La]
- Voltaire
- Walpole, Horace
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Amburgo [Germania]
o Hamburger Kunsthalle
- Amsterdam [Paesi Bassi]
- Costantinopoli [Istanbul, Turchia]
- Dresda [Germania]
o Gemäldegalerie Alte Meister
- Firenze
o Galleria degli Uffizi [Gallerie degli Uffizi]
- Ginevra [Svizzera]
o Musée Rath
- Iași [Romania]
- Lago Lemano [Svizzera]
- Limmat [Svizzera]
- Milano
o Museo Poldi Pezzoli
- Parigi [Francia]
o Petit Palais
- Roma
o Accademia di San Luca
- Stupinigi [Torino]
o Palazzina di caccia
- Vienna [Austria]
- Zurigo [Svizzera]
o Kunsthaus Zürich
Collezione: La Stampa
Etichette: _PAGINA "l'arte", _RECENSIONE (mostra), Arte XVIII secolo, Svizzera
Citazione: Enrico Castelnuovo, “I due volti del Settecento,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/20.