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Titolo: E Raffaello inventò la natura

Descrizione: Intervento sulla fortuna di Raffaello (1483-1520), in occasione del quinto centenario della nascita. Castelnuovo offre una carrellata di pareri e valutazioni sul maestro, soffermandosi sulla Vita di Raffaello di Giorgio Vasari e sul Giudizio sul Duecento di Roberto Longhi («Proporzioni», II, 1948, pp. 5-54, riedito in Edizione delle opere complete di Roberto Longhi, vol. VII Giudizio sul Duecento e ricerche sul Trecento nell’Italia centrale, 1939-1970, Firenze, Sansoni, 1974, pp. 1-53).
A novembre e a dicembre Castelnuovo interviene nuovamente su Raffaello, recensendo su «La Stampa» due mostre dei suoi disegni inaugurate per l'anniversario.

Autore: Enrico Castelnuovo

Fonte: Tuttolibri, anno 9, n. 353, pp. 4-5 (inserto de La Stampa)

Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)

Data: 1983-04-02

Gestione dei diritti: Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale

Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)

Formato: application/pdf

Identificatore: Stampa_24

Testo: Tuttolibri – Anno 9, n. 353, pp. 4-5
(supplemento a «La Stampa» del 2 aprile 1983)



Il quinto centenario del pittore: critici e storici discutono la sua fortuna

E Raffaello inventò la natura



«Di Raffaello gli uomini vorranno sempre sapere. Del pittore giovane e bello che superò tutti gli altri. Di colui che doveva presto scomparire e di cui Roma intera pianse la morte. Una volta che le opere di Raffaello siano andate perdute il suo nome resterà radicato nella memoria degli uomini». Così Herman Grimm apre la sua celebre monografia pubblicata nel 1872 nella Berlino del cancelliere Bismarck. Al tempo della «Gründerzeit», della fondazione dell’impero tedesco, il professore prussiano eleva un monumento all’artista-eroe, giovane, bello, invincibile, destinato a scomparire nel fiore degli anni.
Ma più di un secolo dopo, nel cinquecentesimo anniversario della sua nascita, come si presenta a noi Raffaello? Tante rivalutazioni, tante scoperte, tante mode che si sono accavallate hanno forse messo un po’ nell’ombra questo nome magico? Certo quando declina il prestigio della tradizione classica sale quello dei movimenti che sembrano contrastarla.
John Ruskin per esempio, uno dei profeti della pittura moderna, non amava Raffaello e ricorda come in famiglia ci si dolesse che egli osasse confrontare Turner e Raffaello a tutto vantaggio del primo. In tempi più prossimi a noi André Malraux dichiarava che Raffaello lo lasciava indifferente. Conoscendo le sue preferenze la cosa non ci meraviglia: si tratta di un gusto che Roberto Longhi aveva annunciato scrivendo nel millenovecentotrentanove: «Oggi l’estrema squisitezza del miliardario sarà nel non far mancare alla sua raccolta una Madonna dei Berlinghieri o del Rubliev, un crocefisso romanico spoletino, uno scortecciato antependio di Catalogna... da Bloomsbury a Montparnasse, Enrico di Tedice e Matisse, Coppo di Marcovaldo e Rouault, gli antependia catalani e Picasso si pronunciano d’un fiato».
Resta che il problema non sta solo nel declinare di una norma o di un paradigma in un mondo vasto e policentrico in piena crisi di norme e di paradigmi, resta che per noi, oggi, Raffaello può sembrare difficile. Ma perché? Una chiave ce la offre un grande artista inglese del Settecento, certo non sospettabile di fermenti antiaccademici o di umori anticlassici: Sir John Reynolds. Ci ricorda la difficoltà che aveva avuto, la prima volta che li vedeva, a comprendere la complessità e la ricchezza degli affreschi delle Stanze, e come i guardiani gli avessero detto che molti stranieri venuti apposta a Roma per ammirarli ci passassero davanti senza accorgersene, salvo poi domandare smarriti alla fine del loro giro dove mai essi fossero.
All’inizio del Novecento, proprio mentre si concludeva un tempo in cui molto si era discusso di realtà, natura, realismo, un altro celebre lecturer della Royal Academy, Sir George Clausen, commentava l’episodio spiegando che evidentemente le impressioni della natura nella mente dei visitatori e in quella di Reynolds non corrispondevano a quelle che erano nella mente di Raffaello.
Sembrava dunque che ci fosse solo da intendersi su cosa fosse natura, e soprattutto su cosa fosse natura in pittura. Ma era stato proprio per reagire alle interpretazioni naturalistiche di Raffaello, alle domande di un pubblico che, davanti alla Scuola d’Atene poteva chiedersi perché mai Raffaello non avesse piuttosto rappresentato un mercato in una piazza romana, che Heinrich Wölfflin aveva pubblicato nel 1898 il suo libro L’Arte Classica, autentico itinerario alla scoperta delle norme del pieno Rinascimento italiano.
Oggi di Raffaello possiamo immediatamente apprezzare i grandi ritratti, siano essi ufficiali, come il Giulio II di Londra o il Leone X degli Uffizi, o privati come il Castiglione o l’Inghirami, possiamo esaltarci di fronte alla forma perfetta, alla serena armonia delle Madonne ma avere dei problemi (come li ebbe Reynolds) nelle Stanze, o rimanere esitanti di fronte agli arazzi della Sistina. Avere accesso al mondo di Raffaello comporta dunque porsi delle domande. Cosa significò, cosa comportò per Raffaello l’invenzione di una lingua figurata e delle sue norme?
Ce lo suggerisce Giorgio Vasari quando lo coglie mentre giunto a Firenze dopo essersi formato con il Perugino si mette a studiare «tutto stupefatto e meravigliato» la maniera di Leonardo che gli piaceva «più che qualunque altra avesse vista mai», quindi quella di Michelangelo «piena di difficoltà in tutte le parti» e, cosa straordinaria, «diventò quasi, di maestro, nuovo discepolo e si sforzò con incredibile studio di fare, essendo già uomo, in pochi mesi, quello che avrebbe avuto bisogno di quella tenera età che meglio apprende ogni cosa, e dello spazio di molti anni».
L’eroe delle Vite vasariane è Michelangelo e Vasari dovette compiacersi di mettere Raffaello al suo paragone e alla sua scuola, rivelandone quegli aspetti che più tardi, e in modo equivoco, verranno chiamati eclettici. Ma studiare, assorbire, assimilare, imitare per avanzare e sormontare è, per eccellenza, il modo di operare di chi si propone compiti assai difficili, di chi affronta i problemi dell’elaborazione di una lingua pittorica intesa come strumento modellizzabile che possa comunicare solenni contenuti. È la strategia di chi opera nella fiducia di potersi servire, per superarla, di tutta una tradizione, di chi discute alla pari con i committenti e i loro consiglieri eruditi utilizzando, e per così dire inverando, le loro stesse categorie di giudizio, di chi compete con i letterati creando pitture che si strutturano come poesie, di chi vuol fare della pittura uno strumento della cultura universale.
Di qui la crescita vertiginosa in tutte le direzioni, in modo da soddisfare attese ed esigenze diverse, di qui l’universo delle espressioni, delle fisionomie, dei gesti, l’ampliarsi delle composizioni, l’«invenzione delle storie e i loro capricci», le ricerche d’ombra e di scuro, di chiarezza e di splendore, le capacità cromatiche che puliture e restauri rendono sempre più evidenti, «la varietà e la stravaganza delle prospettive, de’ casamenti e de’ paesi» che pullulano – scrive sempre il Vasari – d’«alberi, grotte, sassi, fuochi, arie torbide e serene, nuvoli, piogge, saette, sereni, notte, lumi di luna, splendori di sole».
«Giace qui quel Raffaello – così ha dettato il Bembo per la tomba al Pantheon – che vivendo fece temere la natura di essere vinta, morendo di morire essa stessa». Le sue opere non cessano di riproporci i concetti di natura e di cultura, di esperienza e di norma nei loro nessi, quei poli appunto su cui si era esercitata la sua mediazione.
Gli storici dell’arte (e gli artisti) sembrano sempre di più affascinati da questo straordinario personaggio, dalle sue invenzioni, la sua polivalenza, la esigente coscienza dell’operare artistico, il suo stretto legame di protagonista, non di subordinato, con la corte romana e con il mondo contemporaneo. Con lui il pittore diviene archeologo, architetto, intellettuale, letterato, ideologo, uomo di corte, senza smettere per un solo momento di essere se stesso, senza rinunciare in nulla alla sua pittura: Ille hic est Raphael.
Enrico Castelnuovo

Raffaello: «Studio per il San Giorgio»; Raffaello: «Studio per l’Apollo del Parnaso» 
NOMI CITATI

- Bembo, Pietro
- Berlinghieri [famiglia]
- Bismarck, Otto von
- Castiglione, Baldassare
- Clausen, George
- Coppo di Marcovaldo
- Enrico di Tedice
- Giulio II, papa [Giuliano della Rovere]
- Grimm, Herman Friedrich
- Inghirami, Tommaso
- Leonardo da Vinci
- Leone X, papa [Giovanni di Lorenzo de' Medici]
- Longhi, Roberto
- Malraux, André
- Matisse, Henri
- Michelangelo
- Perugino
- Picasso, Pablo
- Raffaello
- Reynolds, sir Joshua
- Rouault, Georges
- Rublev, Andrej
- Ruskin, John
- Turner, Joseph Mallord William
- Vasari, Giorgio
- Wölfflin, Heinrich


LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Berlino [Germania]
- Città del Vaticano
o Cappella Sistina
o Stanze di Raffaello
- Firenze
o Galleria degli Uffizi [Gallerie degli Uffizi]
- Londra [Regno Unito]
o Bloomsbury
o Royal Academy of Arts
o National Gallery
- Parigi [Francia]
o Montparnasse
- Roma
o Pantheon

Collezione: La Stampa

Citazione: Enrico Castelnuovo, “E Raffaello inventò la natura,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/37.