Muore il Pantheon del Medioevo (dettagli)
Titolo: Muore il Pantheon del Medioevo
Descrizione:
Castelnuovo denuncia il pessimo stato di conservazione degli affreschi e degli apparati scultorei del Camposanto di Pisa: per il loro restauro la Regione Toscana aveva da poco stanziato 400 milioni e una giornata di studi aveva fatto il punto sul prossimo intervento (Le pietre di Pisa. Incontro di studio sul camposanto. Problemi di riassetto museografico, Pisa, Museo dell'Opera del Duomo, 21 novembre 1987). L’articolo ripercorre le vicende del sito, ribadendo il suo valore incomparabile e presentando la stratificazione della sua decorazione, sino alla progressiva “museificazione” – con l’espulsione dei monumenti funebri ottocenteschi – alla fine del XIX secolo. Castelnuovo auspica che siano stanziati i fondi necessari per un progetto di tutela e valorizzazione complessivo, che permetta di salvare e conservare le opere in loco, così da non perdere ulteriormente lo "spessore storico di questo monumento unico" (si fa riferimento alla richiesta di un finanziamento al Fondo per gli Investimenti e l’Occupazione, respinta).
Nell’articolo è citata la mostra Camposanto monumentale di Pisa. Affreschi e sinopie, a c. di Mario Bucci e Licia Bertolini, tenutasi nel giugno 1960 al termine del restauro alle strutture architettoniche del Camposanto.
Nell’archivio di Castelnuovo si conserva il programma della giornata di studi, promossa da Regione Toscana, Comune di Pisa, Soprintendenza per i beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Pisa, Scuola Normale Superiore e Università degli Studi di Pisa: si evince che, oltre a presiedere il comitato scientifico, ha aperto i lavori e moderato la sessione pomeridiana in cui è intervenuto (Per il Camposanto).
Autore: Enrico Castelnuovo
Fonte: La Stampa, anno 121, n. 291, p. 3
Editore: La Stampa; digitalizzazione: Archivio storico dell'Università di Torino (2023)
Data: 1987-12-12
Gestione dei diritti:
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale
Relazione: Inventario del fondo Enrico Castelnuovo, unità archivistica «La Stampa» (Archivio storico dell'Università di Torino)
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Identificatore: Stampa_59
Testo:
«La Stampa» – Anno 121, n. 291 – Sabato 12 dicembre 1987, p. 3
Dopo un convegno per il restauro del Camposanto di Pisa
Muore il Pantheon del Medioevo
Il celebre monumento è in uno stato di penosa desolazione - Risorto nel 1960 dall’incendio che durante la guerra ne aveva divorato tetto, porte e molti capolavori, non ha mai avuto una sistemazione definitiva - Affreschi in attesa di restauri, altri nascosti in depositi, sarcofagi che si sgretolano - La Regione Toscana ha stanziato 400 milioni, ma non bastano.
PISA — II Camposanto di Pisa, monumento di ricchezza eccezionale, dalle valenze e dai significati più diversi, per secoli considerato il più straordinario capolavoro dell’Italia medievale, è oggi in uno stato di penosa desolazione. Costruito a partire dalla fine del Duecento, decorato per la massima parte nel Trecento e nel Quattrocento (ma ancora nel Cinque e nel Seicento), venne volta a volta utilizzato come una chiesa, le cui pareti affrescate proponevano il cammino verso la salvezza, come un reliquiario gigantesco e suntuoso per la terra che era stata portata dai luoghi santi e a cui si attribuivano virtù miracolose, come la monumentale affermazione di una continuità con l’antica Roma testimoniata alto e forte dalla spettacolosa riunione entro le sue mura di una folla di sarcofagi classici reimpiegati a servir da sepolcri per le grandi famiglie pisane, come cimitero il cui suolo era marcato da un’infinità di tombe terragne, come un Pantheon delle patrie memorie dove, a partire dal Settecento, i grandi ingegni vennero convenientemente ricordati e celebrati, come un museo infine dove, in età napoleonica, si accumularono e vi esibirono i cimeli medievali.
L’eccezionale spessore storico del monumento non gli viene soltanto da oggetti materiali e tangibili, da pitture, sculture, lapidi, tombe, sarcofagi che nel corso del tempo si sono depositati, aggregati nelle gallerie, sopra le pareti. Ma anche da quelle tracce immateriali che, come avviene ai fili d’una ragnatela che appaiono improvvisamente in evidenza quando raccolgono qualche goccia d’acqua, intessono attorno al Camposanto una gabbia leggerissima, ma assolutamente concreta, visibile o invisibile a seconda di come la si guardi.
Questa gabbia, evanescente ma solida, è fatta dalle immagini che del monumento sono state date, dai modi in cui, in tempi successivi, esso e stato letto, sentito, inteso, rivissuto. Per secoli archeologi, viaggiatori, curiosi, scrittori, architetti, eruditi, pittori, disegnatori sono penetrati sotto le arcate del Camposanto spinti da vane motivazioni e interessi provando volta a volta differenti emozioni. Chi ne ammira l’architettura fragile e leggera, chi come Humbert de Superville o Johann Anton Ramboux ne disegna gli affreschi trecenteschi, chi, come Coleridge, rimane abbacinato dall’immagine della morte che, nel dipinto di Buffalmacco, scende a tagliare con la falce i destini umani, chi si ferma a studiare i sarcofagi classici, chi schizza su un foglio le architetture ornate delle pitture di Benozzo Gozzoli. Ruskin ci passa le mattine a disegnare, Gustave Moreau ferma in acquarello le sue misteriose gallerie.
Affascinato dal monumento un re di Prussia, Federico Guglielmo IV, padre del futuro imperatore Guglielmo I, progetta di costruire accanto al Duomo nuovo di Berlino una replica del Camposanto che vuole ornata di affreschi, come l’antico modello e perciò chiama da Monaco il celebre pittore di storia Peter Cornelius. Quanto a Leo von Klenze, l’architetto che accanto a Luigi I di Baviera aveva cercato di trasformare Monaco in un’altra Atene, in un’altra Firenze, raffigura suggestivamente il braccio Ovest del Camposanto in una tela che nella Neue Pinacothek di Monaco sta accanto a una sua immaginaria ricostruzione del Partenone, quasi si trattasse di due monumenti altrettanto emblematici, apogei di due civiltà.
Oggi le sue mura prive degli affreschi sono scrostate, le lapidi tombali offuscate da schizzi di piombo fuso e spesso illeggibili, i monumenti restanti sono velati dalla polvere mentre il marmo dei sarcofagi comincia a sfarinare, a mutarsi in gesso. Ancor prima della guerra una parte delle sculture conservate nel Camposanto ne fu allontanata, le une per il loro pregio e la loro importanza per essere raccolte in un museo (e oggi sono nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo), le altre per estere esiliate in meno onorevoli luoghi in quanto poco consone con la medievale maestà del luogo. II senso dell’operazione fu quello di selezionare e museificare un determinato numero di opere medievali di singolare importanza e di allontanare un certo numero di monumenti funebri ottocenteschi (ma non solo ottocenteschi) che con la loro fitta presenza potevano turbare la percezione degli spazi architettonici, la visione degli affreschi.
Agendo in questo modo si cominciò, tuttavia, a spelare il monumento come fosse una cipolla, a togliergli una parte significativa del suo spessore. Venne poi la guerra e durante il passaggio del fronte, nell’estate del 1944 una cannonata diede fuoco al tetto. Mancava l’acqua e non fu possibile domare l’incendio, così le travi si consumarono e caddero incenerite al suolo, il piombo della copertura, fuso dal calore, scese in schizzi e rivoli, bruciarono le porte di legno, si arrostirono, e talvolta si sgretolarono, gli intonaci degli affreschi.
Fu allora rapidamente posto mano al distacco delle pitture. Durante l’operazione vennero in luce le sinopie, i portentosi e rapidi disegni in terra rossa di Sinope che gli antichi pittori avevano tracciato sull’arriccio per sperimentare certe soluzioni, per avere una guida nella composizione e nell’impaginazione dell’affresco. Non si era mai vista una galleria di disegni del Trecento cosi ricca come quella che emerse dietro le figure dipinte da Traini, da Buffalmacco, da Taddeo Gaddi, da Andrea da Firenze, da Antonio Veneziano, da Spinello Aretino, da Pietro di Puccio. Le nuove scoperte catturarono le immaginazioni con le qualità dello schizzo, la rapidità, la spontaneità.
«L’esquisse fait bouger le chef-d’oeuvre» aveva scritto Focillon e nel tratto personale, immediato, fulmineo del disegno si lesse l’eloquente gesto dell’artista, il suo fare più autentico non offuscato da convenzioni o interpolazioni. Si procedette così con lo stacco delle sinopie a mettere in salvo questa impareggiabile serie che venne ordinata e disposta in un apposito museo, posto sull’altra parte della piazza nell’antico ospedale di Santa Chiara.
E gli affreschi? Alcuni erano andati definitivamente perduti come la misteriosa e splendida Assunzione, forse opera del mitico Stefano celebratissimo fra gli allievi di Giotto, che posta sopra una porta non poté reggere alle fiamme che salivano dai battenti. Ma molto venne salvato e per la massima parte, rimontato su nuovi supporti. Rifatto il tetto, consolidate le strutture architettoniche una grande mostra in cui furono presentati molti degli affreschi staccati venne a celebrare, nel 1960, la resurrezione del Camposanto. Ma non tutto andava per il meglio. Malgrado l’intenzione di non tenere all’aperto che per la durata della mostra gli affreschi staccati, molti cicli finirono per restarvi permanentemente in mezzo alle incertezze dei tecnici che allontanarono per molto tempo le decisioni per una soluzione definitiva. Così i più celebri, quelli del Trionfo della Morte, del Giudizio e della Tebaide furono messi al riparo in una sala, gli altri rimasero nelle gallerie in più diretto e quotidiano contatto con gli agenti atmosferici. Venticinque anni dopo la grande mostra – e malgrado che l’Opera del Duomo abbia chiamato al capezzale del malato i più illustri specialisti – non rimaneva che constatare lo stato di gravissimo degrado degli affreschi en plein-air e ricoverarli d’urgenza per nuovi trattamenti.
La situazione è oggi questa: mentre alcuni affreschi in migliori condizioni di conservazione sono ancora visibili in una sala del Camposanto, altri sono ricoverati in un provvisorio lazzaretto all’interno stesso del monumento per ricevere le cure del caso, altri sono accatastati e invisibili nelle tribune del Battistero utilizzate come temporaneo deposito, altri ancora in genere frammenti di bordure ma di splendente qualità attendono ancora di essere fissati su un telaio.
Esistono ancora, tuttavia, fondate speranze di poter ritrovare molto di quanto ci si è abituati a credere perduto. I trattamenti e le puliture cui sono stati sottoposti, certi affreschi tra i più rovinati e illeggibili del grande Antonio Veneziano hanno permesso recuperi inaspettati, come si può constatare entrando nella Cappella dal Pozzo, il quartier generale d’emergenza dei restauratori dove queste opere sono ora conservate.
Ma il Camposanto non è fatto solo di affreschi, anche se questa ne è la componente che versa in peggiori condizioni e per cui maggiormente urge una soluzione. È fatto anche di sarcofagi classici oggi in grave pericolo, di tombe terragne, offuscate dal piombo, di monumenti cinque e seicenteschi oggi accatastati nei depositi, di cimeli ottocenteschi esiliati nel cimitero moderno. Si tratta di elaborare un progetto d’insieme che permetta di recuperare e salvare le opere in pericolo, di studiare e verificare le condizioni per la loro conservazione in loco per ritrovare, nella misura in cui ciò sia possibile, lo spessore storico di questo monumento unico.
Per arrivare a questo occorrono almeno due condizioni: una mobilitazione delle più diverse competenze e un ingente impegno finanziario. Una risposta soddisfacente sul primo punto viene dalla larga e appassionata partecipazione di specialisti alle giornate di studio sul Camposanto organizzate dal Comune di Pisa, dalla Regione Toscana, dalla Scuola Normale Superiore, dall’Università, dalla Soprintendenza e dalla preparazione di un prossimo incontro sui problemi del restauro. Ma c’è la grossa questione dei finanziamenti. La Regione Toscana s’è mossa con un primo stanziamento di 400 milioni ma sono necessarie somme ben maggiori. La richiesta di includere il Camposanto nei progetti del Fio (Fondo investimenti occupazione) è rimasta, inspiegabilmente, inascoltata.
D’altra parte quanto leggiamo su prestigiose operazioni di restauro finanziate da sponsor privati ci spinge a constatare con angoscia come questo caso ben più urgente e inderogabile di molti altri interventi di cui tanto si parla, sia per lo più taciuto e ignorato. Uno dei più celebri monumenti d’Italia sta calando a picco nella indifferenza dei più. «Tutte le ore feriscono, l’ultima uccide», è scritto sotto la meridiana del campanile di una valle alpina. Ultima necat: per il Camposanto di Pisa è già molto tardi.
Enrico Castelnuovo
Pisa. La Galleria ad Est del Camposanto, straordinario museo-memoriale affollato da testimonianze di storia e di arte
NOMI CITATI
- Andrea di Bonaiuto [Andrea da Firenze]
- Antonio Veneziano
- Benozzo Gozzoli
- Buffalmacco, Buonamico
- Coleridge, Samuel Taylor
- Comune di Pisa
- Cornelius, Peter von
- Federico Guglielmo IV, re di Prussia
- FIO [Fondo per gli Investimenti e l’Occupazione]
- Focillon, Henri
- Gaddi, Taddeo
- Giotto
- Guglielmo I, imperatore di Germania
- Humbert de Superville, David Pierre Giottino
- Klenze, Leo von
- Ludwig I, re di Baviera
- Moreau, Gustave
- Opera della Primaziale Pisana
- Pietro di Puccio
- Ramboux, Johann Anton
- Regione Toscana
- Ruskin, John
- Soprintendenza di Pisa [Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno]
- Spinello Aretino
- Stefano Fiorentino
- Traini, Francesco
LUOGHI E ISTITUZIONI CITATI
- Berlino [Germania]
o Duomo di Berlino
- Monaco di Baviera [Germania]
o Neue Pinakothek
- Pisa
o Battistero di San Giovanni
o Camposanto
▪ Cappella dal Pozzo
o Museo dell’Opera del Duomo
o Scuola Normale Superiore
o Spedale di Santa Chiara
o Università degli Studi di Pisa
Collezione: La Stampa
Etichette: _Convegno, _Restauro, Toscana, Tutela del patrimonio culturale
Citazione: Enrico Castelnuovo, “Muore il Pantheon del Medioevo,” Enrico Castelnuovo sulla carta stampata. La Stampa e Il Sole 24 Ore, ultimo accesso il 17 dicembre 2024, https://asut.unito.it/castelnuovo/items/show/73.